Serena Mollicone, la Cassazione dispone l'Appello bis. La storia dell'omicidio di Arce
Il caso di cronaca accaduto 24 anni fa
Serena Mollicone, la Cassazione dispone l'Appello bis
Ci sarà un nuovo processo di appello per il delitto di Arce in cui morì Serena Mollicone. Lo hanno deciso i giudici di Cassazione accogliendo l'istanza della Procura generale della Corte d'Appello di Roma contro l'assoluzione dell'ex comandante della caserma di Arce, Franco Mottola, della moglie Anna Maria e del figlio Marco che erano accusati dell'omicidio avvenuto nel giugno del 2001 nel centro del Frusinate. Serena Mollicone, dalla morte alla sentenza in Cassazione: la storia dell'omicidio di Arce.
La storia
Serena Mollicone scompare dalla sua casa di Arce, in provincia di Frosinone, il primo giugno del 2021. La sparizione venne denunciata alle forze dell'ordine. Il corpo senza vita della giovane venne ritrovato due giorni dopo a Fontecupa, nel territorio di Anatrella, una piccola frazione di Monte San Giovanni Campano, poco distante dal luogo della scomparsa.
I fatti
La mattina del primo giugno 2001 Mollicone lascia l’ultima traccia della sua vita alle 9.30 del mattino all’ospedale di Isola del Lori, dove si era recata per una radiografia ai denti. Da quel momento più nulla. Diverse persone raccontarono nei giorni seguenti, nel pieno delle ricerche, di averla vista, chi in un negozio, chi per strada. Testimonianze per lo più risultate infondate. Quel pomeriggio avrebbe dovuto prima incontrare il suo ragazzo e poi recarsi di nuovo dal dentista. Non essendosi presentata né al primo e nemmeno al secondo appuntamento il padre denunciò la scomparsa. Erano le 22.
Immediate scattarono le ricerche effettuate dalle forze dell’ordine assieme a decine di parenti, amici, conoscenti e semplici compaesani. Due giorni dopo, la mattina del 3 giugno, uomini della Protezione Civile ritrovarono il corpo di Serena nel boschetto di Fonte Cupa, ad Anatrella. Il corpo era nascosto da arbusti e fogliame. La testa era all’interno di un sacchetto di plastica, le mani e i piedi erano legati con del nastro adesivo e del filo di ferro. Accanto a lei alcuni effetti personali, non la borsa, l’orologio, le chiavi di casa e il suo cellulare. L’autopsia stabilì il decesso per asfissia: non ci fu alcun tipo di violenza carnale.
L’inchiesta
Al centro del lavoro egli inquirenti finì anche il padre della vittima, Gugliemo Mollicone, ed il fidanzato della ragazza, Michele Fioretti, il cui alibi venne però verificato e confermato più volte. Nel settembre 2002 venne iscritto nel registro degli indagati Carmine Belli, carrozziere di Arci che raccontò ai Carabinieri di aver visto Serena ancora viva litigare con un giovane, dai capelli biondi. Belli venne prosciolto dalle accuse in tutti e tre i gradi di giudizio. La svolta nel 2011 quando la Procura di Cassino ha iscritto nel registro degli indagati l’ex fidanzato di Serena, la madre, Rosina Partigianoni, l’ex Maresciallo dei carabinieri, Franco Mottola, il figlio, Marco ed il carabiniere Francesco Suprano con l’accusa di omicidio volontario ed occultamento di cadavere.
Nel 2016 il corpo di Serena venne riesumato per una nuova autopsia. Secondo la Procura la ragazza sarebbe stata uccisa presso la caserma dei Carabinieri di Arce e che una delle porte fosse stata l’arma del delitto; ipotesi contestata dai consulenti della difesa. Le indagini si chiusero nel 2019, con la richiesta di rinvio a giudizio di 5 persone, tra cui 3 carabinieri: il maresciallo Mottola, la moglie Annamaria e il figlio Marco vennero accusati di omicidio aggravato, il sottufficiale Vincenzo Quatrale venne imputato per concorso in omicidio e per istigazione al suicidio di Tuzi, mentre il carabiniere Francesco Suprano per favoreggiamento. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, a colpirla sarebbe stato il figlio di Mottola, Marco, probabilmente facendo sbattere la testa di Serena contro una porta all'interno della caserma.
Il processo
Il processo cominciò il 19 marzo 2021 contro tutti e 5 gli imputati. Il 15 luglio 2022 dopo 46 udienze la Corte d’Assise di Cassino assolse tutti gli imputati da ogni capo d’accusa per non aver commesso il fatto. Il 12 luglio 2024 la Corte d’Appello di Roma confermò la sentenza di assoluzione anche in secondo grado.
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