Sgarbi contro Report: "Non è la stessa opera": l'inchiesta sul quadro rubato
Il sottosegretario alla Cultura nega ogni accusa, ma un frammento trovato lo incastrerebbe. I carabinieri del nucleo di Tutela indagano...
"Report" torna all'attacco sul quadro rubato ed asfalta Vittorio Sgarbi: il sottosegretario respinge le accuse
Si riapre il caso del quadro rubato. Report, il programma di inchieste su Rai3, nella puntata di ieri ha portato alla ribalta l’inchiesta firmata con il Fatto Quotidiano su Vittorio Sgarbi e il quadro di Rutilio Manetti trafugato nel castello di Buriasco nel 2013. L'inchiesta svela che l'opera di Sgarbi, esposta a Lucca nel dicembre 2021 e quella derubata, consegnata al restauratore Gianfranco Mingardi nel 2013, sarebbero la stessa opera. Da un'attenta analisi infatti, un frammento ritrovato al castello di Buriasco, rimasto incastrato nella cornice dopo il furto, dimostrerebbe che il dipinto rubato e quello restaurato coincidono.
L’unica differenza visibile con l’opera rubata è una fiaccola in alto a sinistra, presente nell’opera di Sgarbi. La scansione, visionata da esperti di altissimo livello, dimostrerebbe- secondo Report- che sarebbe stata aggiunta in un secondo momento, in quanto la zona è priva delle crepe tipiche di un dipinto vecchio. Toccherà ora ai carabinieri del nucleo di Tutela, che da settimane indagano sulla vicenda, trovare e visionare l’opera per chiarire in modo inconfutabile se un sottosegretario alla Cultura abbia o meno nella sua collezione un’opera d’arte rubata.
La replica di Sgarbi
Intanto però Sgarbi, al magazine di arte "Arts Life" ha smentito categoricamente qualsiasi tipo di furto: "L’ esercizio maniacale contro di me è su fotografie e su testimonianze improbabili. La storia è molto più semplice: in un edificio del Seicento presso Viterbo, la Maidalchina, acquistata da mia madre nel 2000, fra centinaia di mattoni, di infissi, di porte originali d’epoca, emerge, reimpiegata in una intercapedine della scala, una tela con alcune figure. Il soggetto è un episodio della vita di San Pietro che risulta documentato in un registro d’archivio nel 1649. Non fatico a riconoscerne l’autore in Rutilio Manetti, pittore senese attivo anche a Firenze e a Roma. Al ritrovamento e al recupero assiste un amico che era venuto in più occasioni".
"È con lui-continua Vittorio- che trasportiamo l’opera a Ferrara, dove rimarrà in deposito fino al giorno in cui un autista, che ben ricorda, con altre opere, la porterà nello studio del restauratore Gianfranco Mingardi a Brescia. Mingardi aveva tempi lunghi e, talvolta, indugiava e tratteneva le opere anche per molti anni. Quando, dopo alcuni anni, il dipinto ritornò, io, come era già accaduto, mi mostrai insoddisfatto dell’intervento e lo affidai a un altro restauratore".
"A restauro concluso l’opera è stata esposta alla mostra “I pittori della luce” a Lucca, e vista da migliaia di persone tra i quali illustri critici che non osservarono né anomalie né integrazioni né rifacimenti e, tanto meno, pensarono di essere davanti a una riproduzione fotografico".
Il racconto prosegue: "Un tale Samuele, titolare di un laboratorio fotografico a Correggio, fu da me chiamato per bonificare alcune superfici con guaine isolanti durante il Covid, e poi incaricato della riproduzione della “Nascita di Venere” per la mostra su Botticelli al Mart di Rovereto. L'esito fu disastroso e criticato dai conservatori del museo che poterono misurarne l’inadeguatezza: Denis Isaia e Beatrice Avanzi. Impari fu il risultato al confronto con il leader nel campo, la società Factum arte di Adam Lowe, con sede a Madrid, che raccomando per qualità e impegno. Di qui deriva l’inspiegabile astio nei miei confronti del giovane Samuele che, avendo sempre lavorato nonostante la modesta qualità, ha cercato e ottenuto di farsi intervistare per dire cose insensate e calunniose. Fra queste la preoccupazione postuma di aver tenuto in laboratorio un’opera rubata, che era invece il dipinto di mia proprietà, molto diverso dalla copia ottocentesca che io avevo visto anni prima nel castello di Buriasco.
Sgarbi dichiara che "il collegamento del furto di quella con le dichiarazioni false e diffamatorie di persone animate da spirito di rivalsa porta alle ricostruzioni illogiche dei giornalisti, ossessionati dal caso che non esiste. Spiegherò dati assolutamente semplici. Come i quadri si giudicano nella loro fisicità, sugli originali, così è possibile procedere ad analisi per accertarne l’autenticità e gli eventuali interventi più recenti. È una cosa semplice, alla quale io provvederò spontaneamente, fornendo i risultati delle ricerche che in parte ha già condotto la più importante società diagnostica italiana, la Editech di Maurizio Saracini. E che io consegnerò, su richiesta, alle autorità competenti".
"Per quale ragione una trasmissione del servizio pubblico, quale dovrebbe essere “Report” (e non lo è, visto che ormai sembra dedita a delegittimare esponenti del Governo e della maggioranza politica che lo sostiene), pagata dai cittadini, deve fare da spalla e supporto a “Il Fatto”, giornale fazioso, inattendibile, popolato da giornalisti rancorosi e frustrati, che fa propaganda per i 5 Stelle? Lo chiamano, impropriamente, “giornalismo d’inchiesta”, ma è solo la prosecuzione della lotta politica attraverso l’inganno e le menzogne. Devo difendermi da una accusa assurda", conclude amaramente il sottosegretario alla Cultura.
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