Spopolamento, in Italia una casa su quattro non è permanentemente occupata

I dati Istat, aggiornati al 2021, segnalano un'emergenza spopolamento nel paese

di Redazione
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Cronache

In Italia circa 1 abitazione su 4 non è occupata

Negli ultimi decenni, si è verificato un spostamento graduale della popolazione dalle zone interne verso le aree centrali del paese, con una distribuzione non sempre lineare. Il fenomeno è guidato dalla presenza di servizi e opportunità lavorative maggiori nelle zone più centrali. Tale migrazione ha impatti significativi sulla disponibilità di abitazioni, con situazioni di emergenza nelle zone più attraenti a causa della scarsità di case, mentre nelle aree periferiche si trovano edifici inutilizzati o adibiti a seconde case.

Questi temi sono cruciali per le amministrazioni, che devono adattare la fornitura di servizi in base alla densità di popolazione e al tipo di residenze presenti. È pertanto importante esaminare le aree del paese con un'elevata presenza di case non occupate. Questi dati sono identificati dall'Istat nel contesto del censimento permanente della popolazione e delle abitazioni, con i dati più recenti risalenti al 2021. Si considerano abitazioni permanentemente occupate quelle in cui almeno una persona ha la propria dimora abituale. L'Istat integra la rilevazione censuaria con il registro statistico dei luoghi, focalizzandosi sugli edifici e le unità abitative.

Tra le abitazioni non occupate permanentemente rientrano non solo le strutture disabitate, ma anche le seconde case, specialmente nelle località turistiche. Questo indicatore rivela informazioni interessanti sull'effetto dello spopolamento e della sovrappopolazione in alcune regioni del paese. Nel 2021, le abitazioni registrate in Italia ammontano a circa 35,3 milioni, con 9,6 milioni di esse non occupate permanentemente. Questa percentuale varia notevolmente nelle diverse regioni, con quote inferiori nelle aree centrali (22,3%), del nord-est (23,1%) e del nord-ovest (26%), e percentuali più elevate nel sud (32%) e nelle isole (34,9%). A livello regionale, la Valle d'Aosta presenta la maggiore percentuale di case non abitate permanentemente (56%), seguita da Molise (44,6%), Calabria (42,2%) e Abruzzo (38,7%). Le percentuali più basse si registrano in Emilia-Romagna (21,8%), Lombardia (21,2%) e Lazio (19,5%).

Considerando le province, le prime dieci per la percentuale di case non occupate presentano valori superiori al 50% in quattro di esse: Sondrio (56,1%), Aosta (56%), L'Aquila (53,2%) e Imperia (50,7%). Al contrario, le percentuali più basse si osservano a Milano (12,4%), Cagliari (11%) e Prato (7,8%). L'incidenza di abitazioni non permanentemente occupate aumenta allontanandosi dai centri con servizi. Le amministrazioni centrali riportano un'incidenza del 16,9%, seguite dai poli intercomunali (23,3%) e dai comuni cintura (24,2%). Nei comuni intermedi, la percentuale raggiunge il 37%, salendo al 47,9% nei comuni periferici e al 56,3% in quelli ultraperiferici. Nelle aree interne, la percentuale media è sistematicamente superiore alla media nazionale, mentre nelle zone più vicine ai poli e nei poli stessi il valore è in linea o inferiore a quello nazionale.

L'altitudine del comune influisce anche sull'incidenza di abitazioni non permanentemente occupate. Nelle zone pianeggianti, la percentuale è del 18,9%, salendo al 26,2% nelle colline interne. Montagna e collina litoranea presentano valori del 32% e 33,1% rispettivamente. Tuttavia, è nella montagna interna che il fenomeno è più diffuso, con il 47% delle abitazioni non occupate permanentemente. Per "abitazioni non occupate", si intendono quelle vuote o occupate esclusivamente da persone non residenti abitualmente, calcolate dall'Istat attraverso dati censuari e amministrativi. La definizione delle aree interne segue l'ultima classificazione, mentre per la zona altimetrica si applica la metodologia Istat.

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