Strage Varese, l'uscita in mutande sul balcone e la bruciatura col fiammifero
Alessandro Maja era ossessionato dal risparmio di soldi e accusava moglie e figli. "Sono un mostro". "Ci sono riuscito". Gli scatti d'ira improvvisi
Strage Varese, Maja e quel timido tentativo di suicidio poco credibile
Sulla strage di Varese emergono nuovi retroscena. Alessandro Maja ha ucciso moglie e figlia e ferito gravemente anche l'altro figlio, il più grande. L'architetto aveva premeditato tutto stando a quanto racconta il nonno della piccola Giulia. "La sera prima dell'omicidio si era seduto sul letto di mia nipote e le ha chiesto scusa". Maja era ossessionato dal risparmio dei soldi, nonostante la sua azienda fosse in salute e soffriva di improvvisi scatti d'ira. Dopo il duplice omicidio con trapano, cacciavite e martello si è chiuso in se stesso. Una trincea di silenzio rotta però dalle frasi pronunciate negli spostamenti tra il primo e il secondo ospedale, e il carcere.
Prima affacciandosi in mutande dal balcone all’alba di mercoledì, dopo il massacro nella villetta, aveva urlato: «Ci sono riuscito», a conferma di un piano sanguinario ideato e coltivato per settimane fino alla sua attuazione, armato di cacciavite, trapano e martello. Ma nelle ultime ore, - prosegue il Corriere - Maja ha iniziato a maledirsi, la testa fra le mani e una frase ribadita: «Sono un mostro». Se abbia già iniziato a orientare la linea difensiva, non è dato sapere. Di sicuro quel presunto tentativo di togliersi la vita dopo il massacro è stato piuttosto una messinscena: Maja aveva dei lievi tagli a polsi e addome; inoltre aveva una leggera bruciatura a un sopracciglio, causata dalla fiammella di un cerino.