Stupri Caivano, Parsi ad Affari: "Stop con le passerelle: lo Stato è assente"

La psicoterapeuta Maria Rita Parsi dialoga con Affari per indagare lo sfondo degli ultimi terribili episodi di violenza sessuale di gruppo

di Eleonora Perego
Caivano e Palermo, nel cerchio Maria Rita Parsi
Cronache

Stupri di gruppo, Maria Rita Parsi ad Affari: "Stato carente e responsabile"

Palermo, Caivano, Enna, Milano. Storie, anzi tragedie, di violenza, stupro, branco. Giovanissime e giovanissimi “protagonisti” di racconti cruenti, anche troppo per la realtà dei loro anni. Sullo sfondo, quasi in una dimensione parallela, politici e comunicatori che – con molti scivoloni – commentano, con distacco o al contrario con eccessivo pathos, l’orrore vissuto dalla 19enne palermitana, o ancora dalle cuginette del Napoletano. E poi c’è la premier, Giorgia Meloni, che proprio oggi si è recata a Parco Verde di Caivano, a rivendicare: “Lo Stato c’è”.

LEGGI ANCHE: L’Italia stuprata/ Non si fermano le violenze: 17enne denuncia un artigiano

LEGGI ANCHE: Stupro di gruppo su una minorenne a Milano, un arresto e un ricercato

Ma lo Stato, fino ad ora, dov’era? La responsabilità per le violenze sessuali di cui si parla è chiaramente personale, e imputabile agli aggressori. Però la stessa responsabilità richiama la presenza – o meglio dire l’assenza? – di istituzioni e “agenzie educative”; e a rimanere fuori da questa catena di “colpe” sono e devono essere solamente le vittime.

Affaritaliani.it ha approfondito l’argomento con la professoressa Maria Rita Parsi, psicopedagogista, psicoterapeuta e Presidente della Fondazione Movimento bambino.

Partiamo proprio dalla visita di Meloni a Caivano, per ribadire che “lo Stato c’è”. È davvero così o lo Stato è responsabile in qualche modo di quanto avvenuto in tutti questi casi.

La responsabilità dello Stato è totale. Basti pensare alle agenzie educative, che sono tre. La prima è la famiglia, la seconda è la scuola, quindi le istituzioni e quindi lo Stato. Ritengo che nelle scuole debbano essere considerate primarie alcune materie, come l’educazione all’uso “virtuoso” del virtuale”, l’educazione sessuale, civica. Queste dovrebbero essere ampliate in maniera importante addirittura dalle elementari, per insegnare i diritti dei minori soprattutto.

Ad oggi non deve esistere che ogni scuola non abbia una equipe antropo-psico-sociopedagogica che possa cogliere i segnali che sicuramente i ragazzini, venendo da famiglie “tradizionali” o in condizioni di criminalità e degrado (disfunzionali), mostrano.

LEGGI ANCHE: Meloni a Caivano: "Bonificheremo l'area, il centro sportivo riaprirà nel 2024"

Lo Stato ha dimostrato di mancare in situazioni periferiche, nelle periferie delle città e nelle situazioni di degrado e di povertà. Situazioni che vanno assistite incrementando i luoghi di accoglienza e di supporto, oltre le parrocchie e i centri sportivi, culturali, che possano educare i giovani. E sempre lo Stato, dove sa che c’è un degrado non solo dell’ambiente circostante ma anche culturale, derivante dalla povertà, deve provvedere, perché è proprio dai luoghi del degrado che parte la criminalità. Invece lo Stato è stato carente in senso assoluto, perché ha lasciato nelle mani della criminalità la gestione di certi luoghi, portando lo stato criminale a sostituirsi allo Stato legale.

E la terza agenzia qual è?

Sta diventando lo stesso virtuale: non possiamo sottovalutare gli effetti dei contenuti terrificanti che può avere il deep web, e poi i like, l’eclatanza, l’importanza che i ragazzini danno e il consenso che cercano nel virtuale.

E attenzione, perché una responsabilità ce l’hanno anche i comunicatori: se si parla continuamente di fatti di cronaca senza analizzarli nel profondo, dando “bollettini di guerra costanti” che parlano di malessere sociale, di fatti di cronaca orrorifici, mostruosi… si generano due effetti: da un lato il mostruoso “mostra”, ammonisce; dall’altro lato incrementa il pericolo di “slatentizzare” lo stesso male: gente che sta male può trovare nella violenza a cui si dà tanta attenzione un motivo per mettersi al centro dell’attenzione negativa. Chi fa questo lavoro di comunicare deve capire che questi episodi da un lato scandalizzano, dall’altra rinforzano e addirittura aprono possibilità di azione in coloro che stanno male, in ragazzini che hanno problematiche di impotenza, di odio nei confronti delle donne in particolare.

In che senso?

Le donne sono l’origine della vita degli esseri umani. Continuiamo a parlare dell’invidia del pene in una società maschilista e patriarcale, ma non pensiamo al fatto che il patriarcato si è rafforzato e affermato per l’invidia che aveva del potere delle donne a dare la vita.

E siccome il potere più forte del “dare la vita” è il potere di “dare la morte”, di che cosa si fanno forza queste persone che si sentono impotenti di fronte a chi dà la vita? Di dare la morte, di stuprare, di uccidere, violentare, intimorire, mettere la donna in una condizione di subalternità e soggezione per punire il corpo, impedire movimenti.

Parliamo soprattutto di “branco” in questi casi...

E che cos’è il branco, se non un insieme di persone fragili e impotenti che per sentirsi potenti, con la rabbia e l’odio che covano se la prendono con coloro che considerano più impotente, ossia la donna? E ne penalizzano il corpo, e ne penalizzano la vita e la marchiano anche grazie anche a quelle donne che odiano le donne.

E a tutti coloro che dicono: “è una poco di buono, una puttana”, che penalizzano, calunniano, sporcano la donna perché si prende le stesse libertà degli uomini.

A questo proposito cosa ne pensa della polemica sorta attorno alle parole del compagno di Meloni, Andrea Giambruno?

Io sono contro le droghe, l’alcol, pornografia… a tutte le forme di dipendenza. Avvertire in forma corretta tutti e in generale è una cosa; dare alle ragazze, nello Stato in cui siamo, un ammonimento è un'altra. Dire “State attente che se bevete trovate il lupo” significa dire che le ragazze non lo possono fare mentre i maschi sì. Né i maschi né le ragazze devono poter accedere con facilità a forme di dipendenza come queste!

Magari le parole sono state dette per buona fede, luogo comune, ma si tratta solo di accorgimenti per evitare qualcosa di negativo. Quello che conta in assoluto è non colpevolizzare le vittime, perché altrimenti le induciamo non solo a vergognarsi dell’accaduto, ma anche a vergognarsi di essere delle vittime.

Tags:
caivanodonnagruppopalermosocialstuproviolenzavittima