Tragedia funivia, Nerini e Perocchio ai domiciliari
Accolto il ricorso del procuratore capo di Verbania Olimpia Bossi contro l'ordinanza del gip che aveva messo in libertà due dei tre fermati
La Corte d'Appello di Torino ha accolto il ricorso del procuratore capo di Verbania Olimpia Bossi contro l'ordinanza del Gip Donatella Banci Buonamici che aveva rimesso in libertà due dei tre fermati all'indomani della tragedia della funivia del Mottarone, Enrico Perocchio e Luigi Nerini. La decisione è arrivata ad un mese dall'udienza. I giudici hanno anche riconosciuto l'esigenza della misura cautelare dei domiciliari.
Cosa prevedeva l'ordinanza del gip di Verbania oggi annullata dal Tribunale del Riesame di Torino? Erano state le dichiarazioni degli altri dipendenti della società di gestione della Funivia del Mottarone, a confermare, secondo il magistrato, da un lato gli indizi a carico di Gabriele Tadini e dall’altro fatto venir meno il valore della chiamata in correità a carico di Enrico Perocchio e Luigi Nerini. Sulla base di queste considerazioni, nella notte del 29 maggio scorso, al termine di una giornata di interrogatori di garanzia, il gip che i quel momento aveva in mano il fascicolo della tragedia della Funivia del Mottarone, Donatella Banci Buonamici, aveva disposto il ritorno in libertà di Nerini e Perocchio e gli arresti domiciliari per Tadini.
Dalle testimonianze dei dipendenti - aveva scritto il gip nell'ordinanza oggi rigettata dal tribunale del riesame - “appare evidente il contenuto fortemente accusatorio nei confronti del Tadini”, perché “tutti concordemente hanno dichiarato che la decisione di mantenere i ceppi era stata sua, mentre nessuno ha parlato del gestore o del direttore di servizio”. E queste dichiarazioni “smentiscono” la “chiamata in correità” di Tadini nei confronti di Nerini e Perocchio. “Tadini – scriveva il gip – sapeva benissimo di avere preso lui la decisione di non rimuovere i ceppi, sapeva perfettamente che il suo gesto scellerato aveva provocato la morte di 14 persone, e sapeva che sarebbe stato chiamato a rispondere anche e soprattutto in termini civili del disastro causato.
E allora – prosegue il giudice – perché non condividere questo immane peso, anche economico, con le uniche due persone che avrebbero avuto la possibilità di sostenere un risarcimento danni? Perché non attribuire anche a Nerini e Perocchio a decisione di non rimuovere i ceppi?” “Tadini – aggiungeva ancora il Gip – sapeva benissimo che chiamando in correità i soggetti forti del gruppo il suo profilo di responsabilità, se non escluso sarebbe stato attenuato. Allora perché non farlo”?
Il giudice delle indagini preliminari esprimeva anche una valutazione sull’approccio che la Procura ha tenuto nella prima fase dell’inchiesta. “Palese – scriveva Banci Buonamici - è al momento della richiesta di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare la totale mancanza di indizi a carico di Nerini e Perocchio che non siano mere, anche suggestive supposizioni” e parlava di “scarno quadro indiziario”.
Un quadro che a suo parere si era ancora “più indebolito” con gli interrogatori di garanzia svoltisi nel carcere di Verbania. Il fermo, infine, era da annullare perché non esisteva il pericolo di fuga degli indagati. Un giudizio tranchant anche al riferimento fatto dai pm di Verbania al "clamore mediatico nazionale e internazionale" dell'incidente della funivia del Mottarone per sostenere il "pericolo di fuga" dei 3 fermati. Un riferimento – concludeva il gip – di “totale irrilevanza" : non si può far ricadere su un indagato il "clamore mediatico”.