La trap e il limite dell’osceno

Quando la narrazione musicale incontra i limiti costituzionali

di Avv. Maria Pia Leziroli e Avv. Solange Marchignoli

Tony Effe

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La trap e il limite dell’osceno

Moltissimi giovani consumano certa musica Trap con estrema, naturale faciloneria: sesso, droga, degrado nelle periferie, corsa al denaro, violenza, sono temi di grande attualità, ma nel contempo di scontata, acritica accoglienza. Il reale è brutale, la narrazione non si pone limiti, tutto è spietatamente vero. In questo genere si possono riconoscere i caratteri di una tragedia, che si crede di allontanare rincorrendo ciò che appare facile, poco impegnativo, nel sommo disprezzo dei valori della vita e delle leggi.

L’Opera musicale riceve protezione dalla legge speciale a condizione che sia riscontrabile in essa “un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore”. Kronos, per i greci dio del tempo, ha radice da crao, creo. La creazione avviene nel tempo e la creatività ne è figlia. Parlare di creatività conduce necessariamente all’ineffabile e meraviglioso mondo delle Muse, parola la cui radice indo-germanica MA(N) e sanscrita manyè, penso, induce Schenki a tradurre: “Colei che aspira, che agogna, che ha il pensiero rivolto a qualcosa”. Dalla parola Musa, per consonanze e assonanze, si arriva alla Musica.

“Nel senso antico e primitivo la parola musica comprendeva tutto ciò che riferivasi alle Muse, ossia ogni scienza ed arte atta a svegliare l’idea di cosa gradevole e bene ordinata. Oggi si applica principalmente all’Arte di esprimere “gl’interni sentimenti, mediante suoni modulati”. Viene da chiedersi se ancora questa definizione si adatta a certi testi di genere trap.

Si potrebbe obiettare che il pensiero è libero e liberamente spendibile, ma l’art. 21 della Costituzione, in armonia con l’art. 2, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, non prescinde dai principi del rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume (“a causa della sua particolare rilevanza”) e del libero sviluppo psichico e morale dei minori.

Arte e  scienza sono “libere” (art. 33), ma sempre nel rispetto dell’altrui onore. Il legislatore ordinario è il solo soggetto, che può porre limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, nel caso in cui vi sia giustificazione nella necessità di tutelare altri beni, costituzionalmente rilevanti. Stato e Istituzioni, poi, secondo la Corte, vantano il diritto alla tutela penale del loro “prestigio”, in aggiunta a quella dell’onore individuale dei loro titolari.

Non sono infrequenti, nel genere musicale in parola, riferimenti, in senso spregiativo, ad ogni forza pubblica, allo Stato, alle istituzioni. Il fondamento della legittimità costituzionale del reato di vilipendio è ravvisato nella protezione dell’onore delle persone giuridiche pubbliche, in quanto funzionale ad assicurare l’espletamento dei loro compiti. Queste ultime quindi sono legittimate ad intervenire in difesa dei suddetti principi.

La nostra Costituzione, all’art. 21, vieta le pubblicazioni contrarie al buon costume a presidio del bene fondamentale della dignità umana. Il Vocabolario nomenclatore, per cui “osceno” significa “offensivo del pudore”, alla voce pornografia così scrive: “l’oscenità stessa idealizzata”, parola che il Vocabolario etimologico fa derivare dal latino obscénus (ob a cagione e coenum melma, a sua volta dal greco koinòn, immondo). Se pudore è provare vergogna di fronte all’”osceno”, dobbiamo riconoscere quanto questo sentimento sia oggi messo in discussione dai comportamenti di chi crea, produce e pubblica certa musica, “idealizzandone” le volgarità, da cui risulta difficile non farsi “infangare”.

Quale precipitato di questa sorta di “premessa maggiore” della “morale statuale”, è possibile spendere qualche riflessione sulla punibilità di certi testi e, dunque, dei loro autori (trapper), in base al diritto penale. Premettendo sin da ora che i contratti discografici, editoriali etc., non prescindono mai dall’inserimento di rigorose clausole di manleva, anche su eventuali contenuti illeciti nei testi, gli spazi, in tal senso, sono essenzialmente due: da un lato il concorso di persone nel reato, qualora un certo testo ispiri un delitto e, dall’altro, l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 414 c.p. (istigazione a delinquere).

Nel primo caso, è necessario che vi sia una reciproca consapevolezza, sia da parte dell’autore materiale del reato, sia nell’autore dei testi, in merito al delitto. Ciò significa, in concreto, che l’artista deve poter essere considerato il concorrente morale (nelle forme dell’istigatore o del determinatore dell’altrui azione) e l’ascoltatore come il soggetto determinato all’azione da parte dell’altrui “concorso morale”. Appare evidente che un simile rapporto sinallagmatico è assai complesso da provare e rischierebbe di essere destinato al fallimento probatorio (salvo ipotesi di testi espliciti “ad personam” propri del fenomeno “social” del c.d. “dissing”).

Diverso e ben più concreto è il rischio che l’autore di un testo sia imputato di istigazione a delinquere ed apologia di reato. In effetti, per contestare questa fattispecie, non è necessario il sinallagma, che invece è imposto dall’art. 110 c.p., ma è sufficiente provare “il pericolo”, insito in un certo testo, di favorire la commissione di un qualsivoglia reato.

Questo spazio giuridico penalistico comporta, quale correlato di sistema, materia di responsabilità penale anche della casa discografica, alla luce della legge sull’editoria e sulla conseguente “posizione di garanzia”, rilevante ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p. Quando ci si interroga sui principali temi del Trap, il pensiero corre al Simposio, in quanto il sesso vi è trattato in modo sideralmente antitetico a questo tipo di musica. I suoi “cantori” infatti, i trapper, propongono e impongono tale argomento, diversamente dominante nella lunga narrazione dei protagonisti dell’opera platonica, dove Socrate sovrasta tutti con immagini di grande forza pedagogica ed etica.

In breve, Amore vi è protagonista assoluto, ma le parole, che lo definiscono, sublimano questa naturale pulsione in un abile esercizio retorico e dialettico, dove le forti suggestioni erotiche sono totale dominio della mente. Prova, che si può parlare di sesso e celebrarlo con grande vigore eudemonico, senza nemmeno nominarlo. E tanto meno brandirlo, come un primitivo con l’ascia di guerra.

Questa intellettuale capacità appare propriamente arte, creazione della mente. Ogni epoca ha saputo elaborare nell’arte tratti permanenti di umanità. Omero, Eschilo, Sofocle sono ancora oggi attuali con il loro pensiero, al di là delle società molto diverse in cui sono vissuti. Sono vivi in quanto scopritori della grandezza dell’uomo, nella raffigurazione dei suoi conflitti e delle sue passioni, avendone nel contempo presagito le infinite possibilità. Prometeo, Tantalo, Ulisse, Antigone ne sono eterna testimonianza.

Ernest Fischer ci aiuta a comprendere che, se nel passato l’arte era magia e mito, strumento per dominare una realtà sconosciuta, ed in seguito è diventata aperta alla libertà della ricerca interiore, a seconda dei tempi e delle loro ragioni, essa non è mai descrizione scientifica dell’esistente. Tanto meno può essere appiattimento canoro su temi, dove l’Uomo si perde e consuma la sua Umanità, disabilitandosi, come “io”, a congiungersi con una vicenda o esistenza estranea, a identificarsi con l’altro, a operare nel mondo per farne veramente parte con la forza creatrice dell’immaginazione.

Sono temi, quelli di certa trap, cantati da questi moderni “aedi”, dai canoni ripetitivi e prevedibili, e dalla logica necrofila, dove thanatos, pulsione di morte ed autodistruzione, prevale su eros, principio di vita. Conosciamo il potere evocativo, scatenante della parola, soprattutto quando titilla pulsioni distruttive, autodistruttive, vittimistiche e pessimistiche, proprie di quel materialismo, analizzato da Marx nei “Manoscritti economico- filosofici, dove il denaro è paradigma dell’assoluto potere di annullare il brutto e di rendere onnipotente il possessore.

Chi lo possiede è oggetto di venerazione, idolo da imitare nella cieca, ingenua, acritica convinzione che, facendo come dice lui, la strada per ottenere quel che ha l’incantatore sia facile. Possiamo  pertanto certificare la rappresentazione di un bello apparente, alla stregua di un Paese dei Balocchi, che ben sappiamo a cosa e dove conduce. Pinocchio, da burattino facile preda del Gatto e della Volpe,  diventa uomo quando acquisisce la coscienza di sé, quella che nel paese dei balocchi non si troverà mai.

Avv. Maria Pia Leziroli
Avv. Solange Marchignoli
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