Willy, fratelli Bianchi: "Dite che non siamo scesi dall'auto". Patto d'onore

La ricostruzione dell'aggressione e i tentativi di depistaggio degli assassini. Tutti i dettagli in un libro in uscita

Cronache
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Omicidio Willy, il tentativo dei fratelli Bianchi di insabbiare tutto

L'omicidio di Willy Monteiro Duarte, avvenuto il 6 settembre 2020 a Colleferro, continua a far discutere ed emergono nuovi retroscena sulla quella tragica notte di due anni fa, nonostante siano già arrivate le condanne in primo grado per gli autori dell'aggressione. I fratelli Marco e Gabriele Bianchi sono stati condannati all’ergastolo, Mario Pincarelli a 21 anni e Francesco Belleggia a 23. Un libro in uscita dal titolo: "40 secondi. Willy Monteiro Duarte: la luce del coraggio e il buio della violenza", scritto da Federica Angeli, svela alcuni aspetti della tragica vicenda ancora nascosti. Il primo tentativo dei fratelli Bianchi - si legge sulla Stampa - è quello di siglare una sorte di patto d'onore con gli altri amici presenti alla rissa e far dire a tutti che loro sono sì arrivati in via Bruno Buozzi ma non sono neanche scesi dalla macchina. Uno dei tre amici dei Bianchi farà presente che il piano non può funzionare, che c’erano decine e decine di testimoni.

Sia il pm che il giudice, quell’8 settembre, - prosegue la Stampa - chiederanno a Belleggia se è stato intimidito e minacciato a dire una bugia e lui risponde con vaghezza: «Loro sono un po’ così che… cioè, come posso dire… che… “sennò annamo a finì in mezzo ai guai”, dato che avevano dei precedenti». Di fronte alla bocciatura del patto, passano al piano B: «La responsabilità è di tutti». E i loro tre amici tutti insieme, o meglio Omar, dice: "Ma come famo a di’ ’sta cosa? Hai visto la gente che c’era? Vi hanno visto tutti". In aula Francesco espliciterà meglio la dichiarazione sulle indicazioni che avevano dato i Bianchi: «Dite mo’, se ce vengono a cercà i carabinieri, che non siamo scesi, dite che vi siamo venuti a prendere perché c’era una rissa dove voi vi siete trovati coinvolti. Noi siamo rimasti in macchina, non dite che siamo scesi sennò ci collegano subito all’aggressione, e ci incolpano».