8 marzo 2024: cinque figure femminili da conoscere

Cinque donne straordinarie che hanno fatto la storia e che oggi ritrovate in libreria

di Chiara Giacobelli
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Culture

In occasione della Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne proponiamo cinque libri di recente uscita che raccontano altrettante figure femminili, affascinanti e fuori dal comune, alcune realmente esistite altre appartenute al mito.

Un augurio a tutte le donne prima di iniziare questo articolo, sperando in tempi che vedranno un sempre maggiore riconoscimento della parità dei diritti e una drastica diminuzione della violenza di genere. Oggi abbiamo qui scelto cinque titoli recentemente apparsi nelle librerie di tutta Italia per raccontare alcune delle più affascinanti figure femminili di sempre. Chi si occupò per prima di medicina e chi incantò generazioni a venire grazie alla forza del mito; chi affiancò uomini di grande fama e finì per essere amata persino più del consorte e chi nacque regina, ma senza la fortuna di un trono; e poi la madre di tutte le madri, colei che diede la vita a Leonardo Da Vinci, eppure sulla cui vita tuttora si sa ben poco. Ecco i romanzi che vi proponiamo per omaggiare queste donne e con esse tutte le donne del mondo.


 

1)  Virdimura di Simona Lo Iacono (Guanda)

Nonostante fu una delle primissime donne al mondo a praticare con tanto di licenza la professione medica, in un’epoca in cui si trattava di un mestiere prettamente maschile e bastava poco per essere tacciate di stregoneria, il nome di Virdimura non è rimasto celebre nei secoli quanto avrebbe dovuto. Certamente sono in molti, specie nel settore e in ambito femminista, a conoscerne la storia e ad ammirarne il coraggio, tuttavia Virdimura non si è mai trasformata in un personaggio di fama internazionale al pari di figure femminili che si sono imposte in altri ambienti. È proprio per questo che il romanzo di Simona Lo Iacono, scrittrice e magistrato di origini siracusane, recentemente pubblicato da Guanda costituisce un testo fondamentale nella letteratura femminile, medica e non solo. Si tratta sì di una biografia, ma forte di un tono piacevole, romanzato e discorsivo, tale da renderla una lettura adatta a tutti. Poco più di duecento pagine redatte con ampi caratteri che consentono di ripercorrere l’affascinante vita di un’ebrea catanese dotata di immensa tenacia: fu infatti tra le prime a potersi dire una dottoressa a tutti gli effetti, non tanto perché sapeva curare e svolgere persino mansioni di chirurga – questo già lo avevano fatto altre audaci donne prima di lei – quanto per essere riuscita a ottenere presso la Commissione dei giudici di Catania il titolo di magistra.


 

Nata da una famiglia ebrea e abituata sin da piccola a seguire il padre medico nelle sue peregrinazioni per l’isola, fece proprie con facilità da una parte le nozioni che l’amato genitore le insegnava, dall’altra un forte senso della giustizia: fu quest’ultimo a spingerla a curare soprattutto i poveri, a mettersi in prima fila durante le epidemie e a non fare mai distinzione di razza o di religione, come d’altra parte sancisce anche il giuramento di Ippocrate. Non sembrerebbe nulla di eccezionale, visto con gli occhi di oggi, se non fosse per il fatto che Virdimura visse nel Trecento, in pieno Medioevo, un’epoca in cui una donna che curava gli infermi, somministrava infusi e conosceva le erbe veniva accusata con molta facilità di essere una strega. E in effetti anche a lei toccò difendersi da certe accuse, così come lottare per mantenere la propria indipendenza o per mettere a tacere i nemici, arrivando a votare la sua vita allo studio, all’intransigenza e in parte alla solitudine. «La medicina non esige bravura, solo coraggio» usava ripeterle suo padre, da tutti conosciuto come «il più alto dei giudei, il più forte, il più santo»; probabilmente quest’aura mitologica e di massima stima che aleggiava attorno al genitore e maestro Urìa la aiutò nell’ardua impresa di essere considerata una professionista, fino all’impensabile traguardo di ottenere la licenza per curare: un unicum nella storia di Catania – e forse del mondo intero – in pieno Medioevo.

In questo romanzo così piacevole e interessante che si legge in pochi giorni, la Lo Iacono non si limita a raccontare la storia professionale della sua beniamina attraverso lo stratagemma di partire dalla fine – quando cioè Virdimura si ritrova davanti alla commissione dei giudici in attesa che venga deciso il suo futuro, ovvero la concessione o meno di quella licenza a cui tanto tiene –, ma ne segue anche le vicende personali: dall’infanzia felice accanto al padre al legame particolare che da sempre la avvicinò alla medicina, al punto tale da farla innamorare proprio di un medico, l’amico d’infanzia Pasquale, di cui poi divenne l’orgogliosa moglie. Ancora, l’autrice ci porta nell’intimo della donna, della curatrice, della magistra, ma anche di colei che da alcuni per un certo periodo venne definita semplicemente come «Virdimura, non vedova, non ammogliata, non figlia, non sacerdotessa, non santa», il che equivaleva a dire, tra le righe, prostituta, se non persino strega. Dunque un romanzo che, narrato in prima persona e con lo stile particolare di amalgamare i discorsi diretti all’interno del racconto eliminando le virgolette, fa luce sulla vita e sulla storia di una donna da cui di certo abbiamo molto da imparare.


 

2)  Atalanta di Jennifer Saint (Sonzogno)  

Se avete già letto e apprezzato Arianna ed Elettra, è probabile che siate già corse in libreria ad acquistare Atalanta o che lo stiate per fare. In questi anni la scrittrice inglese Jennifer Saint si è infatti imposta al pubblico internazionale grazie a suoi originali e interessanti romanzi incentrati sulle figure femminili del mito, raccontate per la prima volta dal loro stesso punto di vista. Si tratta, in realtà, di un filone che ha preso campo con il crescente movimento femminista e che ha visto la rilettura dei principali miti antichi (per lo più greci e latini, ma non solo) attraverso gli occhi delle protagoniste, invece che degli uomini. Dunque una storia di eroine e non più di eroi, per ridare spazio, voce e valore a tutte coloro che per secoli sono state sempre messe in secondo piano. La Saint, nello specifico, ha scelto di concentrarsi non tanto sul mito in sé, quanto piuttosto nella figura che esso racconta: in Arianna, ad esempio, la storia della figlia di Minosse si intreccia a una serie di leggende e personaggi della Grecia antica, collegandosi così non soltanto al celebre racconto del filo di Arianna e della sua storia d’amore con Teseo, ma permettendo una vera e propria rispolverata dei classici greci studiati a scuola.


 

In questo caso Jennifer Saint ha deciso di dedicare il suo ultimo romanzo, in Italia appena uscito per Sonzogno – che detiene i diritti dell’autrice –, all’eroica (qui è proprio il caso di dirlo) Atalanta, tanto impavida e coraggiosa quanto caduta quasi nell’oblio tra le protette degli dei. A salvarla da morte certa quando suo padre, il re dell’Arcadia, decise di abbandonarla - come spesso si soleva fare con le figlie femmine non eredi al trono - fu infatti una delle più potenti e fascinose tra le dee: Artemide, altresì nota come Diana. La piccola divenne la sua “creazione”, poiché fu grazie all’impegno della dea e alla cura delle ninfe della foresta se Atalanta, ben lungi dal morire, crebbe come una bravissima guerriera, tenace e impavida, in grado di tenere testa a un esercito. Persino a quello di Giasone, pensò Artemide, quando decise di inviarla insieme agli Argonauti alla ricerca del vello d’oro. Capiamo quindi già da queste poche righe quanti miti si intreccino ancora una volta attorno a una singola figura: dalla storia dell’Arcadia alla dea Minerva, dal leggendario vello d’oro all’altrettanto noto Giasone, dalla caccia al cinghiale calidonio alla tragica morte di Meleagro. Storie che a loro volta, essendo frutto della tradizione orale ben prima di essere messe per iscritto, non possiedono mai un’unica versione, ma più interpretazioni che nel corso dei secoli sono state modificate, arricchite, trasformate, reinterpretate. Fino ad arrivare al 2024 e a Jennifer Saint, che qui ci racconta la sua personale versione dei fatti.

Accanto alla figura indomita e potente, nota per le abilità nella caccia, nella lotta e nella corsa, scopriamo una donna piena di contraddizioni e di fragilità come qualunque essere umano; una donna, soprattutto, incapace di sfuggire al potere dell’amore quando ne viene travolta, nonostante gli avvertimenti della dea e la consapevolezza del rischio a cui va incontro. L’altro aspetto interessante di questo romanzo dal ritmo serrato e dai dialoghi brevi, che si susseguono in un rapido botta e risposta, è la molteplicità di figure storico/mitologiche che l’autrice mette in campo, mostrando tutta la sua passione per la materia. Ritroviamo infatti Eracle e Medea, Mela e Giasone, Eete e Meleagro, Orfeo e Ippomene, Partenopeo e Afrodite. Più o meno famosi, i personaggi dell’antichità ci sono quasi tutti – o quantomeno sono in molti – perciò Atalanta è anche un bellissimo spunto di lettura per aprire ad altri studi, ad approfondimenti, a ulteriori strade, storie, sentieri sconosciuti, ripercorrendo la tradizione orale del nostro passato.    

3)  La leggenda di Anita di Enrico Brizzi (Ponte alle Grazie)

Quanto a lungo la storia ha tramandato le eroiche vicende di Giuseppe Garibaldi, tacendo del tutto o quasi quelle della sua compagna Anita? Per anni, decenni, secoli. Eppure, a un certo punto il vento è cambiato e si è sentita la necessità di raccontare anche le grandi donne al fianco dei grandi uomini: Ana Maria Ribeiro è stata senza dubbio una di queste. Non è soltanto la sua personalità forte, sognatrice, idealista e ardita a suscitare fascino, ma anche la sua storia, che se non fosse reale parrebbe appositamente inventata per confezionare un romanzo avvincente. Nata povera in una famiglia del Brasile nella prima metà dell’Ottocento, Ana dovette accettare molto e mettere da parte altrettanto nella prima fase della sua vita, quando fu costretta a rinunciare a certi valori, alla libertà, all’istruzione che avrebbe voluto, sposando peraltro un uomo non scelto da lei. Sebbene il suo carattere ribelle fosse chiaro sin da bambina non soltanto ai genitori, ma all’intera comunità in cui viveva, per Ana forse i sogni non si sarebbero mai trasformati in realtà se un giorno il destino non avesse fatto approdare proprio sulle coste brasiliane il giovane e bel combattente Giuseppe Garibaldi. Se fu lui a infiammare l’animo di lei o viceversa poco importa, poiché di fatto i due si trovarono, persone affini con valori condivisi, travolti entrambi da una passione che non lasciò spazio a ripensamenti.


 

Da allora, Ana Maria Ribeiro lasciò la sua patria e seguì sino all’altro capo del mondo quell’uomo che le aveva cambiato l’esistenza come un fulmine a ciel sereno; divenne Anita Garibaldi, fu moglie e madre, ma fu anche combattente al suo fianco, protettrice dei più deboli, sempre in prima fila quando c’era da rivendicare diritti o credere nell’Italia. Anita fu amata in vita tanto e forse più del suo consorte, poiché a differenza del marito il popolo la percepiva come un’amica, una di loro: laddove Giuseppe era l’eroe intoccabile da ammirare da lontano, Anita era la sorella, la confidente, l’ascoltatrice, colei che sapeva dare tutta sé stessa e non era immune alla sofferenza. Così, a poco a poco la figura di Anita Garibaldi è entrata nella letteratura, nel cinema, nel teatro, nei musical e ora arriva in libreria con un romanzo appassionato e coinvolgente a firma di Enrico Brizzi: La leggenda di Anita, edito da Ponte alle Grazie.

Brizzi è, per chi non lo conoscesse, l’autore del bestseller internazionale Jack frusciante è uscito dal gruppo: da alcuni dei suoi libri sono stati tratti film e pièce teatrali, mentre da diversi anni è passato a pubblicare per Ponte alle Grazie. Questa è però una storia diversa da tutte quelle scritte da lui fino ad oggi: intanto perché si tratta di una vera e propria biografia – seppur molto romanzata e più simile a una favola che non a un saggio storico –, in secondo luogo per la capacità di calarsi nei panni di una donna e darle voce intimamente, pur restando all’uso della terza persona. Il libro, inoltre, è strutturato come un diario/memoriale, con tanto di date e luoghi, cosicché l’aspetto storico e geografico assume una rilevanza particolare, dando al contesto un ruolo principe nelle vicende narrate. Di Anita Garibaldi non era innamorato soltanto suo marito e il popolo di allora, ma lo sono tuttora migliaia di donne che in lei si riconoscono, o che la percepiscono come una paladina della giustizia. Non importa neppure per quale fazione politica si parteggi, perché il personaggio di Anita ha la grande forza di essere trasversale, nella sua “capacità di spegnere la paura”, in quell’urlo “viva la libertà!” e nell’indipendenza sempre ricercata. D’altronde, in questo romanzo c’è molto altro sulla vita di Anita, tratto da ciò che Ana era prima di Garibaldi: la sua infanzia, il rapporto con i genitori, l’atteggiamento un po’ dissoluto che più volte portò sua madre a chiamarla cabra, il non volersi accontentare. Basti dire che Giuseppe sbarca a Rio de Janeiro soltanto a pagina 130 del libro e il loro incontro arriva solo a pagina 177, dopo che entrambi hanno passato pessimi momenti e superato difficoltose peripezie.

Nonostante la mole di documenti e carte in merito non manchi, La leggenda di Anita è un titolo che ben si confà al romanzo di Brizzi, in quanto l’autore ci mette tanto del suo, a livello di fantasia e di dettagli con cui cura ogni singola scena. I capitoli sono brevi, avvincenti, ricchi di avvenimenti, serrati nei dialoghi e a volte intrisi di una vena di ironia che pervade l’intera storia in sottofondo e la rende ancora più simpatica. Se già Giuseppe e Anita sono due eroi del popolo, due combattenti di umili origini rimasti modesti nonostante i successi, il modo in cui Brizzi riesce a raccontarli li rende ancora più umani, vicini, in grado di suscitare empatia; dunque una leggenda che in realtà smonta la leggenda e torna alla fonte, alla persona piuttosto che al personaggio, alla donna o all’uomo al posto dell’eroe o dell’eroina. Infine, come già detto il ricchissimo contesto storico, accurato e ben studiato, rende il tutto ancora più interessante e completo.

4)  Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo di Carlo Vecce (Giunti)

Della nostra selezione, questo è l’unico titolo che ha già avuto del tempo per imporsi come uno dei più apprezzati dai lettori, in quanto è uscito nelle librerie all’incirca un anno fa edito da Giunti ed è ancora tra i maggiormente venduti. D’altra parte, Leonardo Da Vinci è un personaggio immortale, senza tempo e di interesse universale; inoltre, ogni volta che esce un film, o viene allestita una mostra, o si tiene una conferenza, senza considerare eventuali anniversari, si torna subito a parlare del genio, e di conseguenza anche della figura di sua madre. Così sfuggente da diventare un personaggio quasi leggendario al pari del figlio, ma per ragioni diverse: mentre su di lui si è detto e saputo talmente tanto da trasformarlo secolo dopo secolo in un mito realmente esistito, su di lei non si è mai detto quasi nulla, se non – in base alle ultime ricerche – che probabilmente era una ragazza di umili ragioni, secondo alcuni schiava, forse con uno stretto legame con l’Oriente.


 

A far luce su questa nuvola di sentito dire e di versioni contradditorie, avanzando una propria ipotesi con qualche fondamento, è stato il professor Carlo Vecce, che insegna all’università di Napoli L’Orientale ed è specializzato in particolar modo nello studio del Rinascimento, con un focus ancor più specifico sull’opera e sulla figura di Leonardo. Il suo romanzo Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo ha immediatamente scalato le classifiche, forse anche perché per la prima volta ci si è concentrati su una donna e non sui tanti uomini (colleghi, allievi, prediletti, maestri, critici, committenti e ammiratori) entrati nell’orbita del genio. Da tutti coloro Caterina si distingue per la sua presenza assai più importante ed essenziale, ma al contempo per la sua assenza, dalla vita di Leonardo ma anche dal successivo racconto della stessa. Vecci ha pubblicato svariati romanzi e saggi di successo, tra cui La biblioteca di Leonardo del 2021; aveva quindi già ottenuto lustro e fama come scrittore oltre che come studioso, ma questo libro è stato in grado di fare qualcosa in più, non soltanto a livello di vendite, ma soprattutto di interesse e ammirazione da parte di un pubblico femminile (e ovviamente femminista). Non si tratta di una biografia vera e propria né di un testo storico, tuttavia non si pensi che la lettura sia di poco conto: oltre cinquecento pagine, anticipate da una mappa del mondo allora conosciuto, che ripercorrono, tra fatti, personaggi, avventure e disavventure, il percorso a ostacoli di questa ragazza selvaggia, nata libera, ma poi andata incontro a un destino non proprio felice. La sua intera esistenza sarebbe probabilmente stata dimenticata del tutto e lei stessa non avrebbe goduto di grandi soddisfazioni se non fosse stato per il fatto che quel figlio molto amato dato alla luce non era un essere qualunque: era Leonardo Da Vinci.


 

Da sua madre Leonardo prese molto, a cominciare dalla curiosità nei confronti del mondo, dal desiderio di scoprirlo e in particolare dallo stretto legame con la natura; quando ancora era padrona di sé stessa, Caterina amava cavalcare sugli altopiani del Caucaso (o almeno così ci racconta Vecce), perdendosi nelle valli e nelle foreste per entrare in contatto con gli alberi, gli animali, le figure religiose che pensava si nascondessero dietro alla meraviglia della vita. Leonardo andò oltre, poiché a lui quella natura così prodigiosa non bastava osservarla e sentirla: voleva capirla, tanto che passò una vita intera a studiare ogni essere vivente, ogni moto o forza della fisica, nonché a imitarli, specie il magico volo degli uccelli. Ma da Caterina Leonardo prese anche la testardaggine, la tenacia, l’indipendenza, quel carattere così acerbo e al contempo indomabile che permise a lei di recuperare, caso pressoché unico per l’epoca, la libertà perduta, e a lui di eccellere sopra ogni altro. 

Il romanzo di Vecce è prima di tutto una biografia accurata e ricca di dettagli, sviluppata attraverso una bella narrativa che dà prova del suo talento come scrittore, oltre che delle sue immense conoscenze storiche. Dopodiché, è un viaggio nel Rinascimento che ci porta dal Caucaso a Costantinopoli, da Venezia a Firenze, dapprima in catene – attraverso gli occhi di una schiava non disposta a sottomettersi – e in seguito in qualità di amante del ricco notaio fiorentino Piero Da Vinci. C’è dunque una mole non indifferente di studi e di ricerche dietro a questo piacevole e allettante testo, tuttavia sia chiaro: ad oggi non esistono prove certe circa la vita di colei che generò Leonardo, né è possibile sapere con certezza chi fosse. Questo romanzo, seppur denso di nozioni, fondato su documenti e alquanto avvincente, non va pertanto preso come una verità unica e imprescindibile, ma, al pari di altri libri pubblicati da Vecce, va inteso come una fiction storica, in cui alla realtà si uniscono la fantasia e la creatività dell’autore. Ciò nulla toglie al valore del testo, ma dev’essere ben tenuto a mente dal lettore.

“Questa storia è partita nel momento in cui mi sono trovato davanti un documento incredibile che io non conoscevo, nessuno lo conosceva – ha raccontato il professor Vecce a Rai Cultura – parlava della liberazione di una ragazza, di una schiava, di nome Caterina. Il documento era scritto da un notaio, Piero Da Vinci, che è il padre di Leonardo”. Spiega ancora Vecce che proprio da questa scoperta è partita la sua impegnativa ricerca attorno al documento: i nomi e le informazioni che conteneva, nonché il ritrovamento di altri scritti che lo hanno portato alla stessa conclusione. Ovvero, a suo parare, questa schiava di cui si parla è la madre di Leonardo. Il romanzo edito da Giunti non è tuttavia soltanto storia; c’è molto di attualità nella figura della donna – ma potremmo dire per esteso dell’essere umano – che attraversa mari e vive enormi sofferenze per approdare in un Paese lontano che non conosce, dove talvolta viene sfruttata, calpestata nei propri diritti, strappata persino dai figli che ama. È una storia che, purtroppo, si ripete, seppur in forme diverse, ed è anche per questo se oggi è più che mai importante raccontarla, in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne.

5)  La regina senza trono. Amalasunta, figlia indomita di Teodorico il Grande di Ornella Albanese (Mondadori)

La scrittrice Ornella Albanese, di cui avevo in passato già recensito Il falconiere dei re, torna in libreria con Mondadori e con un altro romanzo storico, che questa volta vede protagonista una donna. La regina senza trono è Amalasunta, figlia indomita di Teodorico il Grande: un personaggio pressoché dimenticato nel corso dei secoli e proprio per questo ancora più interessante da riscoprire. Siamo nel lontano 495 d.C., poiché questa volta l’autrice decide audacemente di tornare ancora più indietro nel tempo rispetto all’epoca di Federico II di Svevia; ci troviamo inoltre tra le bellezze di Ravenna, terra magnificamente impreziosita dai mosaici che consigliamo di visitare più volte, trattandosi di un Patrimonio dell’Umanità di immenso valore. Nello specifico, ci si sofferma nella Chiesa di Santa Croce, dove le pareti raccontano la storia che è stata e quella che verrà. Amalasunta è la figlia di Teodorico il Grande, re degli Ostrogoti, e come tutte le figlie femmine dei sovrani è condannata ad un grande peso: non essere nata maschio, dunque impossibilitata a governare. Nonostante il nome scelto dalla madre che significa forte Amala, è difficile celare la delusione del padre alla notizia del mancato erede, come d’altra parte dev’essere successo a migliaia di uomini – non soltanto re e nobili – per altrettante migliaia di anni.


 

Forse è anche per questo se Amalasunta cresce quasi come un maschio: libera, selvaggia, dedita alle attività sportive ben più di quelle femminili, come la caccia, le cavalcate, le passeggiate nei boschi; e tuttavia in lei germoglia anche l’amore per la cultura, grazie all’ambiente stimolante della corte in cui si ritrova a vivere. Come altre dopo di lei (molto meno prima di lei), Amalasunta assapora a poco a poco il piacere dell’indipendenza e porne fine per essere usata come pedina a scopi politici, sposando qualcuno che non ama scelto da altri per lei, non è tra i suoi piani. Eppure è pur sempre la figlia di un re…

Ancora una volta l’Albanese si conferma una bravissima scrittrice con una penna fluida e accattivante, in grado di catturare l’attenzione del lettore, creare pathos e introdurlo nella storia fino a sentire al pari di amici i personaggi che ne fanno parte. Ci porta ad innamorarci insieme alla protagonista e a fare il tifo per lei, dando vita a un romanzo storico che è prima di tutto l’appassionante vita di una donna fuori dal comune e poi una favola d’amore intrisa di sogno e magia. Sono forse proprio le scene romantiche quelle che più hanno fatto battere il cuore alle lettrici, sebbene va detto che La regina senza trono è uscito in libreria da pochissimo per Mondadori e quindi ciò che vi proponiamo è una vera e propria novità letteraria.

«Scrivere un romanzo storico è una meravigliosa avventura che permette di riempire gli spazi vuoti, creando pensieri, i dialoghi e le emozioni di quei personaggi di cui conosciamo solo una sequenza di avvenimenti che gli storici chiamano “vita”» dichiara l’autrice nella nota finale del libro. Qui precisa anche che, sebbene la maggior parte dei personaggi sia realmente esistita, ha dovuto inevitabilmente fare ricorso alla propria immaginazione e inventare parti di fantasia, specie a fronte di un periodo storico tanto lontano, in merito al quale le fonti scarseggiano. Anche qualora ci si possa basare su qualcosa di scritto, gli studiosi hanno quasi sempre tramandato le gesta degli uomini più che delle donne, perciò quasi mai qualcuno si è preso la briga di mettere in luce le emozioni, la personalità, le intime contraddizioni, speranze o passioni di una donna, seppur celebre o importante che fosse. Lo fa la Albanese in questo romanzo che piacerà senza alcun dubbio agli amanti del genere e che consiglio di leggere, facendolo seguire da un’accurata visita di Ravenna. «Un altro aspetto del romanzo storico che amo molto è l’opportunità che mi offre di descrivere gli edifici non come ci appaiono oggi, ma come erano in origine – scrive ancora l’autrice – È per questo che faccio muovere Amalasunta e suo padre lungo il nartece che congiungeva la chiesa di Santa Croce al bellissimo mausoleo di Galla Placidia, e che oggi non esiste più».

Dunque una storia che possiede tutti gli ingredienti giusti per conquistare le lettrici: la passione d’amore ostacolata tra una principessa e uno schiavo, la figura femminile che precorre i propri tempi e si pone come esempio di rivendicazione della propria indipendenza, un grande sovrano in un potente regno, un’intricata corte dove non mancano intrighi e sotterfugi, amici ma anche numerosi nemici, momenti di avventura e altri di impagabile vittoria.

«Il mare aveva sfumature verdi nel blu. Le onde gli davano vita. Amalasunta lo amava perché era imprevedibile, così dolce e crudele. Musica di onde e poi mugghiare di burrasca. Accogliente come una madre e poi spietato come un dio sanguinario. Racchiudeva i colori del cielo, quelli delle alghe, le striature delle correnti, il bianco candido delle onde quando si infrangevano. Spinse il cavallo verso la riva e lo fece galoppare nell’acqua bassa, mille spruzzi salati sulla pelle, sulle labbra, tra i capelli».