Massimo Recalcati, penna preziosa. Il suo libro fa tornare in mente Proust...
“Il lapsus della lettura. Leggere i libri degli altri”
Giornata mondiale del libro
Di recente ho letto un libro bellissimo. Il testo ha un titolo molto singolare “Il lapsus della lettura. Leggere i libri degli altri”. Già il titolo suggerisce la generosità del suo autore. Il volume l’ha pubblicato Castelvecchi, con la postfazione di Cristina Guarnieri. Lo scrittore è Massimo Recalcati, penna preziosa e visionaria della nostra contemporaneità, e anche qui con forza legge le opere di filosofi, biblisti, poeti, psicanalisti, artisti, critici letterari, registi, scrittori.
Potrei fare l’elenco dei nomi che Recalcati interpreta, decodifica, suggerisce, ma preferisco che siano i lettori a scoprire le sue letture, perché è notevole la scelta, è precisa e sincera. Il libro è una mappa meravigliosa di opere, di artisti stupendi. “Il lapsus della lettura. Leggere i libri degli altri” è un testo ponderoso che non annoia mai e cattura dalla prima all’ultima parola. È un libro che sorprende.
Sfogliandolo ho pensato alle mie letture e mi è tornato in mente un passo di Proust, a proposito delle opere e della ferita degli artisti, come spesso Recalcati ricorda. "Sono essi (i nevrotici) e non altri, che hanno fondato la religione e composto i capolavori. Mai il mondo saprà quello che deve loro, e soprattutto ciò che essi hanno sofferto per darglielo. Noi gustiamo le incantevoli musiche, i bei quadri, mille cose raffinate, ma non sappiamo ciò che esse sono costate a coloro che le inventarono, in insonnie, pianti, risa spasmodiche, orticarie, asme, epilessie, e in un'angoscia da morire, che è peggio di tutto quanto."
Le parole di Proust credo che possano accompagnare perfettamente l’intera opera di Recalcati, penso al suo libro dedicato a Van Gogh, le pagine potenti per Telemaco e per Sartre. Recalcati nei suoi libri parte sempre dall’osservazione del dolore, ad esempio dei protagonisti appena citati e narra anche della magnifica possibilità che ognuno di noi ha di trasformare il male in creatività, mettendosi di continuo dalla parte di se stessi. Alleandosi alla verità, dedicandosi alla costruzione di un amore, alla ‘costruzione’ della propria identità e quindi della vita.
A tal proposito scrive Recalcati: “Nella parola di Gesù, il peccato è uno solo: avere paura della vita, seppellire il proprio talento, non fare frutti. Gesù dice: "non temere la vita, non devi avere paura della vita, devi giocare la partita della vita con tutte le tue forze, con le risorse, con i talenti che hai ricevuto. Non metterli sottoterra, non diventare un fico secco.” L'albero non si giudica dal colore della pelle, non si giudica dalla sua etnia, dalla sua lingua. L'albero si giudica dai frutti che produce. Noi siamo i nostri frutti.”
E ricordo, sempre per sottolineare l’amore per la vita che percorre la sua opera,un indimenticabile passaggio da “Il complesso di Telemaco”: “Mio padre, lo ricordo camminare davanti a me con il passo di un gigante le domeniche mattina quando andavamo insieme a visitare i bancali della serra dove giacevano doloranti le sue piante malate. Il suo italiano incerto e dialettale lasciava allora misteriosamente il posto al latino. In quella lingua antica e sconosciuta pronunciava i nomi delle malattie e quello delle sue piante. Leggeva sulle foglie (morsicate da insetti invisibili dai nomi più misteriosi o invase da muffe e da maculature spettrali) il loro dolore per poi preparare le pozioni magiche per il trattamento che le avrebbe guarite. Aveva fatto tutto questo dal nulla. Aveva accettato la scarna eredità materiale del padre - che aveva una certa passione per il lavoro della terra. […]
Nel mio lavoro clinico ho sempre avuto una passione per la dimensione della diagnosi differenziale, per individuare la struttura soggettiva particolare che orienta il discorso del soggetto. Da dove veniva questa passione? Il ricordo infantile di mio padre dedicato al dolore delle foglie contiene il nocciolo della mia eredità. Cosa ho ereditato? Non un regno, non una discendenza illustre, non geni, né beni, ma una testimonianza silenziosa del desiderio. Osservavo mio padre chino sulle sue piante. E sapevo che quella era la sua vita, quello il suo lavoro, quella la sua soddisfazione, quello il suo mondo. Togliere il dolore delle piante, restituire loro la vita, farle crescere forti. Salvarle dalle muffe, dal male, dalle colonie extraterrestri di insetti invisibili. Dedicarsi a leggere e a curare le foglie. E cosa sono diventato io? Non sono forse uno che legge il dolore delle foglie? Che legge gli uomini come se fossero foglie? Non sono forse diventato questo? Uno che prova a leggere e a curare il dolore scritto sulle foglie dell'humus umano?
”Ecco che le parole di Massimo Recalcati conducono al cuore del suo ultimo libro, “Il lapsus della lettura. Leggere i libri degli altri” e il cuore è: accudire e amare la parola dell’altro, mettersi in ascolto dell’altro, essere un ‘libro aperto,’ per scoprire nuovi mondi, per inventarne, perché noi possiamo inventare le rose per non essere dei corpi morti. Studiare vuol dire rinnovarsi, aprirsi, vivere e in un passaggio della sua opera Recalcati cita sua madre per sottolineare l’importanza della lettura, dello studio, del aver ereditato il desiderio per la vita; lei una volta gli disse: “Non fare come me, tu che puoi. Se studi non te ne pentirai.” Ancora una volta la lezione di Recalcati è di non chiudersi mai nel proprio mondo, come sua madre gli aveva insegnato, ma di innamorarsi della vita, delle sfumature dei colori.È proprio vero che l’atto d’amore più grande di una madre e di rendere liberi i propri figli. Di far ereditare loro il desiderio per la vita, non per la morte.Lucrezia LerroMassimo Recalcati, “Il lapsus della lettura. Leggere i libri degli altri”. Castelvecchi editore