Racconti estivi, un divertente viaggio low cost che non farò mai più
In ricordo di David Foster Wallace
Solo la letteratura ci salva da questa campagna elettorale
Fra poco si celebra il triste anniversario del suicidio (il 12 settembre 2008) di David Foster Wallace, uno dei più rivoluzionari scrittori del secolo che ha lasciato opere memorabili quanto complesse (pensiamo a “Infine Jest”), che ha fatto il più bel discorso possibile agli studenti (nella raccolta “Questa è l’acqua”) lontano anni luce della retorica di Steve Jobs, che ha saputo far ridere come solo le persone di intelligenza sopraffina sanno fare. Ed è proprio da questo ultimo spunto - quando Wallace scrisse “Una cosa divertente che non farò mai più” in cui racconta le follie di una crociera - che ho tratto ispirazione e ho cercato di raccontare ironicamente (ma non più di tanto) un viaggio low cost che ormai rappresenta uno standard universale. Così ho scelto di viaggiare come odio viaggiare per capire com'è. Partenza da un medio aeroporto, volo delle 17:10 verso Atene.
Ho elemosinato un passaggio a un amico per accompagnarmi in aeroporto perché non bisogna cedere ad alcun privilegio di taxi o costose navette. Arrivo in aeroporto alle 14:30 con largo anticipo, in perfetto stile vacanziero previdente perché non si sa mai. Le file si confondono con la calca di gente in entrata al terminal in una coreografia da villaggio turistico. Osservo questo spaccato sociale fatto di bermuda Terranova, cappelli di paglia, borselli, porta documenti che potrebbero contenere un mutuo. Osservo e ascolto coppie che si fanno domande surreali, che commentano altri vacanzieri, che si chiedono l'un l'altro se hanno i documenti, se hanno portato tutti i costumi, se hanno spento il telefonino anche se mancano ore alla partenza (oltre a non essere al Pentagono).
Poi c'è il capitolo famiglie, qui si assiste al meglio. Bambini urlanti, adolescenti che si rimpinzano di pizzette, mariti che danno pillole di saggezza alle mogli, padri che impartiscono regole di buon vivere ai figli. Intanto è passata la prima ora. Quello che provo è un misto di divertimento e senso del ridicolo. Sembra di essere in un set cinematografico dove il regista ordina alle comparse cosa fare, ma senza successo. Arrivo a depositare il bagaglio dopo due ore, poi mi precipito all'imbarco dove la fila è anche qui chilometrica. La coreografia qui si evolve con i pullover (per il freddo dell’aereo) che escono da borse a mano che potrebbero contenere il mio intero armadio, i discorsi fra i vacanzieri si focalizzano sul volo, sul tempo di percorrenza, sulla solidità dell'aereo, sull'ora di arrivo, sul tempo a destinazione, sull'eventuale ritardo. Siamo al rullaggio, le coppie raggiungono la loro massima intimità tenendosi la mano, qualcuno chiude gli occhi pregando che vada tutto bene, andrà tutto bene.
Appena in quota, il popolo low cost, liberato dalla cinture di sicurezza, sembra un gregge senza pastore, tutti si alzano e vanno alla toilette (anche se siamo partiti da 10 minuti), urlano, camminano come forsennati avanti e indietro, qualcuno ha tirato fuori un libro fresco di acquisto maneggiato con sospetto, a metà della prima pagina qualcuno molla e si appisola. A fine vacanza questi libri resteranno quasi intonsi, al massimo saranno lette quattro pagine per poter raccontare in ufficio di aver letto parecchio. I più tirano fuori un tablet e si cimentano in giochetti stupidi. La fatica della partenza iniziata all'alba, se non il giorno prima, comincia a farsi sentire. Dopo l'atterraggio i volti dei vacanzieri sono segnati, lividi, gli aliti fetidi, trasuda la stanchezza, ora cominciano le tensioni. Assisto a scontri titanici di coppia e marette famigliari perché una volta messo piede a terra iniziano i problemi veri: come uscire dall'aeroporto e raggiungere la prossima meta.
Fino ad ora il popolo low cost è stato tenuto insieme dalla fila, dagli annunci in lingua italiana, dalla complicità di gregge, ora bisogna cavarsela da soli. Armati di smartphone e guide turistiche, i vacanzieri vanno alla ricerca del mezzo low cost per raggiungere un albergo, il porto, ecc. Bus, metro, navette sembrano un ginepraio inespugnabile, la lingua non aiuta. E così il regime del viaggio low cost si sgretola di fronte alla perentoria decisione: siamo in vacanza, prendiamo un taxi! In una sorta di rivalsa esistenziale, in un sussulto d'orgoglio da soccombente di Bernhard, questo taxi riporta i nostri eroi fra gli agi ma con la consapevolezza del loro stato di umili servitori di un mondo che, aggiungiamo noi, ha creato questi viaggi della disperazione per regalarci l'illusione di una vacanza. Il mio viaggio continua il giorno dopo su un mastodontico traghetto che porterà i vacanzieri in varie isole.
Qui si consuma l'ultimo miglio prima del sognatissimo mare cristallino. Arrivati a bordo c'è la rincorsa al bar dove non trovo molto di commestibile; brioche, muffin, torte sono plasticoni colmi di acidi grassi al cubo, lucidi, gonfi, grandi, il popolo low cost si alimenta di cose grandi. Io scelgo il digiuno, ma il mio cuore è colmo di questa umanità che se osservata con disincanto e ironia è molto più autentica di tante finte ostentazioni. Quasi quasi mi aggrego a qualcuno di questi gruppi e proseguo la vacanza con loro…scherzo, la mia missione è finita, rientro di corsa a godermi le vacanze vere, ovvero vivere la mia città deserta, deserta e meravigliosa, magari in compagnia di Foster Wallace (perché solo la letteratura ci salva da questa campagna elettorale).