Dazi, guerra Ue-Usa: così Meloni ha convinto von der Leyen ad avere un atteggiamento più soft con Trump

I dettagli dell'imminente viaggio negli Usa della premier

di Vincenzo Caccioppoli

Ursula Von Der Leyen

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Il britannico Starmer sulla stessa linea della premier


Si lavora alacremente a Palazzo Chigi per preparare la missione di Giorgia Meloni a Washington, probabilmente il 15 o il 16 aprile prossimo. Non poteva essere un momento più opportuno per la premier italiana di essere ricevuta alla Casa Bianca. Secondo alcune indiscrezioni addirittura c’è chi dice che la diplomazia italiana abbia lavorato appositamente per ritardare l'incontro, dopo il 2 aprile, il “liberation day", giorno dell'annuncio dei dazi.

“Meloni, malgrado qualcuno vuol far credere il contrario, è considerato sia a Bruxelles che a Washington forse il miglior mediatore possibile nei nuovi delicati equilibri che si sono venuti a creare tra Europa e Usa. Anche se da poco a Palazzo Chigi, ha mostrato un senso innato nell’arte della diplomazia. Da tempo ha capito che incontrare Trump prima del 2 aprile sarebbe stato sostanzialmente poco utile. Mentre adesso, con i mercati finanziari in subbuglio e le prime inevitabili crepe all'interno anche della stessa amministrazione americana, il suo peso negoziale potrebbe essere certamente maggiore", dice un alto diplomatico di lungo corso.

Malgrado, quindi, le strumentali critiche da parte delle opposizioni in merito ad una ipotetica irrilevanza della premier, con inerenti ironie sul suo ruolo da pontiere, il prossimo viaggio a Washington potrebbe davvero essere di fondamentale importanza non solo per l'Italia ma per l’Europa tutta. Secondo fonti della Commissioni, sarebbe stata proprio la Meloni a convincere la presidente della Commissione ad abbassare i toni della polemica con gli Usa e a spingere per il negoziato a tutti i costi. Una guerra dei dazi è il giusto ragionamento che si fa a Palazzo Chigi non servirebbe a nulla e sarebbe controproducente soprattutto per le imprese e famiglie europee.

Sulla stessa linea sarebbe anche Starmer, il premier britannico, che ne ha parlato anche con Macron, il più irritato con l’amministrazione americana. Mentre la Germania è in una posizione più attendista, confidando comunque in una ripresa economica grazie al riarmo e alla sua forza di fuoco del bilancio pubblico. Le posizioni, insomma, all’interno della Ue sono ancora assai fluide. Ma Meloni sta cercando di assumere un atteggiamento responsabilmente prudente.

All’interno della nuova amministrazione americana, il nostro paese e la premier sono tenuti in alta considerazione, al di là di quello che qualcuno voglia far credere, ben più dell’isterico Macron e dello stesso Starmer (con cui Trump ha mostrato di non avere un grande feeling). Basti pensare al chiaro e diretto riferimento alla presidente del consiglio italiano fatto due giorni fa, dal segretario al Commercio Usa Howard Lutnick, uno degli strateghi insieme a Robert Lighthizer della politica dei dazi.

Per questo motivo la premier italiana da giorni predica prudenza e non pare gradire le urla scomposte di Macron che vorrebbe guerra aperta con gli Usa. Sul tema e sulla contro risposta europea alle tariffe aleggia, infatti, tensione tra Roma e Parigi che vorrebbe l'attivazione dello strumento anti coercizione economica per fronteggiare la guerra commerciale ma su cui Palazzo Chigi frena: "I francesi alimentano divisioni e pensano ai loro interessi".

Perché poi la questione ruota tutta lì. A parole sono tutti solidali, ma poi quando si tratta di curare i propri interessi nazionali, ognuno pensa per sé. La Meloni, nel suo prossimo incontro con il tycoon, dovrà cercare di mediare (e in questo ha già dimostrato di essere bravissima) per arrivare ad una sintesi tra le differente posizioni presenti oggi in Europa. A tal riguardo Palazzo Chigi vuole mantenere una linea non allarmista e soprattutto non dare seguito ai francesi, accusati di "creare tensioni".

Si preannunci un bilaterale pieno di sfide per la premier, su cui sembra concentrarsi tutta la speranza delle autorità Ue. "Chi ha il numero di telefono di Trump, chi ha rapporti personali tra i leader, ora è meglio che li usi" ha commentato Maros Sefcovic, Commissario europeo per il commercio, la sicurezza economica, le relazioni interistituzionali e la trasparenza. L'Italia, secondo Meloni, "non smetterà di esportare negli Usa" pur dovendo affrontare e risolvere la nuova sfida commerciale, che è stata giudicata "sbagliata" dalla presidente del Consiglio in quanto "non favorisce né l'economia europea né quella americana".

Secondo le stime presentate dal Centro Studi di Confindustria e riportate dal presidente Emanuele Orsini, come suggerisce Il Sole 24 Ore, le imprese italiane potrebbero subire perdite comprese tra i 7 e i 14 miliardi di euro, equivalenti allo 0,3-0,5% del PIL nazionale, e dunque sono necessari interventi tempestivi e coordinati. La strategia delineata dal governo italiano si articola su più fronti: da un lato, Meloni ha espresso perplessità riguardo l'ipotesi di rispondere ai dazi americani con contromisure analoghe: "Non sono convinta che la scelta migliore sia quella di rispondere a dazi con altri dazi, perché l'impatto potrebbe essere maggiore sulla nostra economia rispetto a quello che accade fuori dai nostri confini". La premier ha invece sottolineato l'importanza di "aprire una discussione franca, nel merito, con gli americani" con l'obiettivo di "arrivare a rimuovere i dazi, non a moltiplicarli".  

Ma allo stesso tempo ha affidato all’ efficientissimo centro studi, creato anni fa dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, uno studio approfondito sull'impatto settoriale dei dazi americani, in preparazione a un confronto con i rappresentanti delle categorie produttive previsto nei prossimi giorni. L'obiettivo dichiarato è quello di elaborare soluzioni condivise e mirate alle specifiche esigenze dei diversi comparti industriali. Sul fronte europeo, Meloni ha delineato una serie di proposte che l'Italia intende portare all'attenzione dei partner comunitari. Tra queste, spicca l'ipotesi di "sospendere le norme sul Green Deal in tema di automotive", uno dei settori maggiormente colpiti dai dazi americani con un'imposizione del 25%. La premier ha inoltre citato la necessità di interventi più coraggiosi sul fronte energetico, considerato "un fattore di competitività", e una semplificazione normativa per alleggerire il carico burocratico sulle imprese. 

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