Allarme sulle imprese, si moltiplicano quelle insolventi. L'ondata che fa tremare l'intera economia
L’Italia si trova in prima linea in questa nuova emergenza: la stima di oltre 9.200 casi di default aziendale per il 2024 segna un incremento del 22% rispetto all’anno precedente
Imprese, enorme ondata di insolvenze. Economia a rischio
Allianz Trade lancia l’allarme: l’economia globale sta scivolando verso un terreno sempre più scivoloso, un sentiero irto di ostacoli in cui le insolvenze aziendali si moltiplicano a un ritmo impressionante. Le previsioni per il 2024 segnano un preoccupante +11% su scala mondiale, con un ulteriore incremento stimato del 2% per il 2025.
Un trend che non risparmia nessuno e che lascia intravedere conseguenze potenzialmente devastanti, non solo per le imprese, ma per l’intero sistema economico. È come se il tessuto imprenditoriale, già colpito e indebolito da crisi sanitarie ed economiche senza precedenti, stesse cedendo sotto il peso di uno scenario sempre più difficile da affrontare.
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L’Italia si trova in prima linea in questa nuova emergenza: la stima di oltre 9.200 casi di default aziendale per il 2024 segna un incremento del 22% rispetto all’anno precedente. È un segnale drammatico, che lascia poco spazio all’ottimismo e anzi riporta a galla la cruda realtà: il nostro tessuto economico è estremamente fragile e sembra destinato a una continua instabilità. L’orizzonte non è dei migliori neanche per il 2025 e 2026, con previsioni che parlano di 9.700 insolvenze nel primo anno e 10.000 nel secondo, a conferma di un trend ormai consolidato e che non mostra segni di inversione.
Ma cosa significa questo per il Paese? Non sono solo numeri. Dietro ogni default c’è una catena di conseguenze che si estende ben oltre le mura aziendali, andando a toccare famiglie, comunità e interi settori economici. Il pericolo non è solo per gli imprenditori, ma anche per i lavoratori.
Secondo le stime di Allianz Trade, oltre 1,6 milioni di posti di lavoro sono a rischio in Europa e Nord America entro il 2025: uno scenario di precarietà lavorativa che rischia di minare alla base la fiducia e la stabilità economica di milioni di persone.
A soffrire di più in Italia sono settori vitali, come il commercio, l’edilizia e la manifattura. Il commercio, in particolare, con un impatto del 24% sul totale delle insolvenze aziendali, è il primo a risentire di un calo di consumi e della difficoltà delle imprese a competere con le grandi piattaforme digitali internazionali. L’edilizia, da parte sua, sta vivendo un periodo di incertezza legato ai cambiamenti nelle normative, agli aumenti dei costi delle materie prime e alle difficoltà di accesso al credito, registrando un aumento delle insolvenze pari al 18%. Anche il settore manifatturiero, con un contributo del 17% al totale, è in grande sofferenza, minacciato dalla concorrenza globale e dalla crescente difficoltà a sostenere investimenti in innovazione.
In questo panorama sconfortante, solo il settore immobiliare sembra rappresentare un’eccezione, ma si tratta di un sollievo relativo. Il nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza, se da un lato introduce la possibilità di procedure stragiudiziali per evitare il fallimento ufficiale, dall’altro non riesce a bloccare il flusso delle insolvenze: è come se il problema venisse tamponato, ma mai risolto alla radice.
La vera domanda, allora, è se l’Italia e l’Europa siano davvero pronte a fronteggiare l’impatto di questa nuova ondata di insolvenze. L’accelerazione economica prevista per il 2025 e 2026 potrebbe rappresentare una luce in fondo al tunnel, ma è una luce debole, che rischia di essere oscurata da un contesto globale sempre più volatile. Se le misure non saranno tempestive e strutturali, rischiamo di assistere a un effetto domino in cui l’instabilità delle imprese si tradurrà in una crisi occupazionale, in una perdita di fiducia e, in ultima analisi, in una nuova fase di recessione economica.
Alla fine, resta una domanda sospesa: quante di queste imprese riusciranno a resistere? E quante, invece, saranno spazzate via, lasciando un vuoto incolmabile nel tessuto economico e sociale del Paese?