Banche, calano gli incagli ma i crediti non performing iniziano a preoccupare
Ma il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Per quanto riguarda il variegato mondo del credito, la risposta corretta è: entrambi. A testimoniare questo momento complesso da decifrare, due indagini: quella di PwC sul mercato italiano dei crediti deteriorati e quella dell’Abi sulle sofferenze nette. La confusione è ancora elevata, ma non perché le banche non sappiano fare il loro mestiere, ma perché diventa complesso stabilire che cosa succederà dopo la fine delle moratorie.
Dunque, intanto è bene precisare che i segnali che arrivano dall’Europa sono meno drammatici di quanto inizialmente preventivato. L’Eba, per bocca del numero uno Enria, ha già dichiarato che è il momento giusto per allentare progressivamente le tutele e le garanzie. Il governatore di Bankitalia Visco ha ricordato che la situazione è seria ma non drammatica. E allora perché questa difficoltà a capire che cosa succederà?
Perché, come detto, non si sa ancora come considerare i crediti cosiddetti “Stage 2”, ovvero in bonis ma che mostrano qualche profilo di rischio. Secondo PwC, nel corso del 2020 questa tipologia di profilo è cresciuto di circa 64 miliardi di euro, arrivando a rappresentare il 14% degli impieghi complessivi. A fine marzo di quest’anno, gli Stage 2 erano rispettivamente oltre il 30% dei crediti in moratoria e oltre il 10% dei prestiti con garanzia pubblica.
Non solo: i volumi lordi di Non-Performing Exposure (Npe), sempre secondo Pwc, si sono ridotti del 70% negli ultimi 5 anni, passando da 341 a 99 miliardi alla fine del 2020. Ma lo stock cumulato di incagli, includendo anche la porzione in capo agli investitori vale oltre 350 miliardi ed è uno dei portafogli più interessanti in Europa. E PwC stima che entro i prossimi due anni e mezzo l’ammontare complessivo potrebbe aumentare tra gli 80 e i 100 miliardi. Allarme rosso? No, ma l’attenzione va tenuta sempre molto alta.
D’altro canto, come detto c’è anche la voce “rassicurante” dell’Abi, che parla di un mercato tutto sommato tranquillo. Le sofferenze nette delle banche italiane sono scese a 18 miliardi di euro a maggio 2021, in riduzione del 31,3% rispetto allo stesso periodo del 2020 e soprattutto dell’80% rispetto a novembre 2015. Il rapporto tra impieghi e sofferenze nette è dell’1,04% a marzo.
Rimane semmai difficile continuare a fare il mestiere della banca. A giugno, infatti, i tassi d’interesse sulle operazioni di finanziamento si sono mantenute su livelli particolarmente bassi, sui minimi storici: il tasso medio è pari al 2,2% (era al 6,18% nel 2007); il tasso medio sulle nuove operazioni è dell’1,16%, mentre era arriato al 5,48% 14 anni fa. Per quanto concerne l’acquisto di abitazioni, infine, ci si attesta all’1,44% medio, contro il 5,72% di fine 2007.
I depositi sono aumentati, a giugno, di circa 145 miliardi di euro rispetto ad un anno prima (variazione pari a +8,9% su base annuale), mentre la raccolta a medio e lungo termine, cioè tramite obbligazioni, è scesa, negli ultimi 12 mesi, di poco più di 18 miliardi di euro in valore assoluto (pari a -8,1%). Il tasso di interesse medio sul totale della raccolta bancaria da clientela (somma di depositi, obbligazioni e pronti contro termine in euro a famiglie e società non finanziarie) è in Italia lo 0,47%, (stesso valore nel mese precedente).
Il margine (spread) fra il tasso medio sui prestiti e quello medio sulla raccolta a famiglie e società non finanziarie rimane in Italia su livelli particolarmente infimi, a giugno 2021 risulta di 173 punti base (175 punti base nel mese precedente), in marcato calo dagli oltre 300 punti base di prima della crisi finanziaria (335 punti base a fine 2007).