Borse mondiali a prova di varianti. Milano di un soffio fuori la top five

Lo scatto dei listini azionari di tutto il mondo nonostante le varianti Delta e Omicron: Piazza Affari chiude il rally in sesta posizione. La classifica

di Marco Scotti
Economia
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Il guadagno medio è stato del 13,43% in un anno

Un anno di forte ripresa per i listini mondiali. Lo scenario, per certi versi ovvio, è suffragato dai numeri. Affaritaliani.it ha controllato le performance di 18 piazze mondiali. Complessivamente, il guadagno medio è stato del 13,43% in un anno. Ma ovviamente ci sono grandissime differenze. Partiamo dall’Europa. Piazza Affari ha concluso questi 12 mesi in crescita del 21,44%. Un’ottima performance che però si colloca al quarto posto nel Vecchio Continente.

Il che ci riporta a una grande verità: anche se il sistema Paese sta funzionando, con una previsione di crescita del Pil superiore al 6%, le imprese italiane sono poco presenti in Borsa, specialmente per quanto riguarda quei segmenti più dinamici e innovativi che hanno registrato tassi di crescita particolarmente significativi. Per finanziare le proprie attività, infatti, ancora troppo spesso vediamo la banca come unica possibilità, mentre l’idea di condividere la sovranità aziendale viene vista in maniera negativa da un tessuto imprenditoriale che si compone al 92% di Pmi.

Al primo posto in Europa figura la borsa francese: il Cac 40 termina i 12 mesi in crescita del 27,5% e si classifica al primo posto assoluto a livello globale. Benissimo anche la “frugale” Amsterdam che, nonostante nuove pesantissime restrizioni introdotte per arginare la variante Omicron, ha guadagnato oltre il 25% nel corso di questi 12 mesi. Fa meglio di Milano anche Zurigo, piazza finanziaria fuori dall’area euro ma comunque inserita nel tessuto economico continentale, che cresce di oltre 22 punti percentuali. Registrano una risalita inferiore all’Italia la Germania, con il Dax in ascesa di circa il 15%; il Portogallo (Lisbona a +13%); il Regno Unito, anch’esso fuori dall’Europa ma ovviamente parte integrante della finanza continentale, anch’esso in crescita del 13%; e l’Ibex di Madrid che sale “solo” del 4,77%. Bene anche Mosca che aumenta la propria capitalizzazione del 15,7%.

I listini azionari asiatici

Allontanandosi dal Vecchio Continente, merita di essere esplorata in maniera approfondita l’Asia. Il listino giapponese del Nikkei, infatti, ha visto aumentare il proprio valore dell’8%. Anche i titoli quotati allo Shanghai Comp sono cresciuti di oltre otto punti percentuali. Meno blasonato rispetto ai due “colleghi”, il Bse di Mumbai fa registrare una performance molto convincente e chiude l’anno in aumento di oltre il 23%. Percorso del gambero, invece, per Hong Kong, con l’Hang Seng che cala del 12%; e per lo Shanghai-Shenzhen Csi, che vede limare di un punto percentuale il proprio valore. Interessante provare a capire quali siano le motivazioni della contrazione. Prima di tutto viene naturale pensare che la Cina, ripartita ben prima degli altri Paesi, abbia per forza di cose dovuto scontare una “normalizzazione” delle aziende quotate sui due listini.

(Segue: le piazze azionarie americane...)

C’è da riflettere, inoltre, sulle crescenti tensioni geopolitiche tra Usa e Pechino. Gli effetti a lungo termine del braccio di ferro, così come l’incremento esponenziale dei costi della logistica e delle materie prime, sono tutti argomenti che terranno banco nei prossimi mesi quando – varianti permettendo – si dovrebbe capire che faccia avrà l’economia del post-Covid.

Le piazze azionarie americane

Spostiamoci, infine, nelle Americhe. Ottima la performance delle borse statunitensi con lo S&P500 che arriva secondo – di un’incollatura – a livello mondiale e guadagna in 12 mesi oltre il 27%. Bene anche il Dow Jones, che registra un incremento di oltre 18 punti percentuali. Da notare, inoltre, che il Nasdaq, pur con una “prova” molto convincente (+21%), non sfonda le quotazioni come ci si sarebbe potuti attendere dopo un biennio in cui i titoli tecnologici sono diventati ancora più potenti.

Chiudiamo con il Brasile. L’indice Bovesba terminerà l’anno con un calo di oltre il 10%. L’economia del Paese sudamericano sta vivendo un momento complesso. Secondo l’Ispi, infatti, il tasso d’inflazione dovrebbe essere alla fine del 2021 intorno al 10%. Se i Paesi occidentali iniziassero una politica di aumento dei tassi, gli investitori esteri potrebbero scegliere di abbandonare il Brasile creando ulteriori pressioni.