Brooks Brothers, il lento declino delle camicie amate da Wall Street
Il celeberrimo marchio entrato a far parte della famiglia Luxottica nel 2014 è stato ceduto a un fondo. E ha chiuso lo storico negozio milanese
Chiude il negozio milanese di Brooks Brothers
Chi non ricorda Gordon Gekko arringare la “sua” Wall Street al grido di “è tutta una questione di soldi, il resto è conversazione”? La brillantina di Michael Douglas, il suo sigaro tra le dita e la sua parlata poggiavano su un altro elemento irrinunciabile: la camicia di Brooks Brothers bicolore. Ebbene, poco più di 30 anni dopo il film di Oliver Stone che faceva luce sul mondo degli yuppy (e sulle sue contraddizioni), del mitologico marchio nato nel 1818 è rimasto ormai poco. Inizialmente, i presidenti americani avevano scelto questa griffe per vestirsi. Poi, appunto negli anni ’80, i potenti avevano scelto il marchio della “doppia B”. In Italia, Paolo Scaroni, amministratore delegato di Enel ed Eni per citare solo le ultime esperienze, aveva una autentica passione per questa camicia.
Poi però qualcosa è cambiato. In Via San Pietro all’Orto a Milano - un tempo cuore pulsante del capoluogo “da bere”, in cui si poteva incontrare con facilità Massimo Moratti, sempre pronto a due chiacchiere sulla sua Inter – il negozio Brooks Brothers non c’è più. La boutique, che confinava anche con il dentista dei vip, lo Studio Verri, oggi ha lasciato il posto a un negozio di abbigliamento che vende, tra gli altri marchi, proprio il simbolo di Wall Street.
Ma che cosa è successo al brand? Sono cambiate le condizioni di mercato, certo. Il fast fashion e l’altissimo di gamma hanno di fatto spazzato via la “borghesia” della moda e oggi chi vuole fare acquisti si orienta tendenzialmente su Zara e H&M da una parte o su marchi iconici e costosissimi. Un nome per tutti, Gucci, che è oggi la gallina dalle uova d’oro nella pur ricchissima galassia di Kering e di Francois-Henry Pinault.
Ma non solo: alla base del declino e della scomparsa dalle scene più importanti ci sono anche altri avvenimenti che hanno caratterizzato gli ultimi 20 anni dell’azienda. Nel 2001 Marks & Spencer ha venduto per 225 milioni di dollari Brooks Brothers a Retail Brand Alliance, una società di proprietà di Claudio Del Vecchio, figlio del patron di Luxottica. E già qui si ha la prima discontinuità con il passato: i prodotti, rigorosamente “Made in Usa”, vengono ora realizzati altrove, a parte le cravatte e la fascia alta del marchio.
Rapido balzo in avanti e siamo al 2017, quando l vendite iniziano a essere sempre più “stagnanti” intorno al miliardo di dollari. Questo soprattutto per un mutato gusto del mercato. Meglio il fast fashion, come detto, ma meglio anche un abbigliamento più casual, con la moda della Silicon Valley (pullover) che si impone sempre più. Poi il Covid rappresenta un ulteriore problema per l’azienda, che si trova a dover chiudere i tanti negozi in giro per il mondo a causa del lockdown, senza che l’online riesca in qualche modo a sopperire alle esigenze di cassa.
Nel 2020 la svolta: viene dichiarato il fallimento, tramite la procedura del Chapter 11, nonostante le rassicurazioni di Del Vecchio, che garantisce che il debito è al di sotto dei 300 milioni di dollari. Ma il proprietario, però, non nasconde di voler chiudere gli stabilimenti americani (di cui uno a Long Island) per razionalizzare i costi. Si alza il vessillo del “Made in” cui il figlio del patron di Luxottica risponde ringhiando che le fabbriche statunitensi non hanno mai dato un gande contributo al fatturato. Si ventila la chiusura di oltre 50 sedi (il 20% del totale) in Nord America. Il 12 agosto dello stesso anno Brooks Brothers viene venduto a Simon Property Group (Sparc Group), il più grande operatore di centri commerciali negli Stati Uniti, e ad Authentic Brands Group, una società specializzata nella gestione di licenze di marchi controllata dal fondo d'investimento BlackRock per una cifra vicina ai 325 milioni. I nuovi proprietari si sono impegnati a continuare a gestire almeno 125 punti vendita Brooks Brothers in tutto il mondo (rispetto ai 424 del pre-Covid). Evidentemente quello di Milano non era considerato strategico. Peccato, però. Un altro simbolo abbattuto.