Caporalato e subappalti, i numeri della vergogna. Nord e Sud, nessuno si salva

Dall’alta moda ai cantieri navali, dalla raccolta fragole ai libri: quando caporalato e subappalti mostrano un sistema

di Antonio Amorosi
Economia

Caporalato e subappalti, un dramma soprattutto nel Nord e Centro Italia, oltre l'agricoltura al Sud

Il caso che ha colpito la Giorgio Armani operations, parliamo di produzione di borse e accessori in subappalto ad aziende che a loro volta si appoggiavano a opifici che sfruttavano la manodopera cinese, non è isolato.

Tra gli accadimenti eclatanti solo degli ultimi mesi va ricordato come a gennaio l’azienda di moda Alviero Martini spa è stata affiancata da amministratori giudiziari. Parliamo di una storia di borse di lusso, fabbricate da cinesi sfruttati, pagati per ogni tomaia 1,25 euro e per ogni fibbia 50 centesimi. La Alviero Martini spa non è stata oggetto di indagine né a conoscenza di quanto accadesse nelle imprese subappaltanti.  Ed è ancora vivo il ricordo dei morti per il crollo a Firenze del cantiere Esselunga: si è calcolato vi fossero 30 ditte in subappalto.

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Il meccanismo emerge nell’alta moda come in tanti altri settori. In Italia è difficile parlarne o anche solo censire i fenomeni subappalti e caporalato, che in molti casi viaggiano a braccetto. Farlo oramai è un mezzo miracolo. Il compianto esperto di appalti, forse il bravo in circolazione, Ivan Ciccone ha speso anni a raccontare un sistema “che quasi nessuno intende fermare”, diceva sempre. A censire il fenomeno ci ha provato qualche anno fa, con un lavoro più unico che raro, l’Anac, in una raccolta dati categorizzata per subappalto, forma giuridica delle società, importi medi dei contratti, aree regionali in cui si esercitano.

Il quadro normativo attuale, successivo al 2011, con la UE che vuole maggiore concorrenza e quindi dà via libera a più subappalti, ha ulteriormente peggiorato il contesto, descritto.

Quando il lavoro è dichiarato e in chiaro, iniziamo dalla localizzazione territoriale, osservando tutti i settori. E’ la Lombardia, con 2.276 subappalti, la regione in cui si esercita di più il meccanismo, seguita dal Piemonte con 1.201, poi c’è la Toscana con 659, il Lazio con 394, la Liguria con 374, la Puglia con 172, l’Emilia Romagna con 171 e le Marche con 165. A seguire le altre regioni con numeri minori. Un meccanismo che viene esercitato soprattutto nel Centro-Nord.

Per la forma giuridica invece le società di capitali sono 1.943, il 44,7% del sistema; le società in accomandita per azioni 75, l’1,7%; le società a responsabilità limitata 1.727, il 39,7%; le società per azioni 141, il 3,2%; le società di persone 777, 17,9%; ditte individuali 1.139, il 26,2%; le società cooperative e consorzi 106, il 2,4%; le altre forme 31, l’ 0,7; non classificate 350, l’ 8,0%.

Ecco poi i contratti in subappalto analizzati e gli importi per classe d’importo, a base di gara di riferimento: 6 contratti vanno dai 15 ai 20 milioni di euro; 5 contratti dai 5 ai 15 milioni di euro; sono 599 i contratti da 1 milione a 5; da mezzo milioni di euro a un milione sono 576 contratti; 1375 i contratti dai 150.000 ai 500.000 euro.

Neanche a dirlo, gli importi più significativi per peso e qualità sono tutti localizzati al Nord e nel Centro Italia.

Un sistema oggi che muta ulteriormente, grazie alla UE, nonostante il tentativo di opposizione del governo italiano. La UE ha imposto nei Paesi aderenti un sistema di subappalti più liberi, per favorire la concorrenza. Ma questo si è innestato in sistemi, come quello italiano, già con particolari criticità. Con il Codice 36/2023 che cambia la normativa italiana degli appalti ogni subappaltatore a sua volta può affidare "a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, con organizzazione di mezzi e rischi a carico del subappaltatore". Il Codice degli Appalti del 2016 diceva invece che, "l'esecuzione delle prestazioni affidate in subappalto non può formare oggetto di ulteriore subappalto". Ora questa norma non esiste più.

Ma il subappalto è solo una faccia della medaglia: c’è anche il caporalato. Anche solo pochi anni il ministero dell’Agricoltura ha dichiarato che fossero circa 400.000 i lavoratori finiti nel sistema del caporalato agricolo. Ma c’è qualcosa di più.

Nel 2021 il Laboratorio sullo sfruttamento lavorativo, promosso dal Centro di ricerca interuniversitario l’Altro Diritto e Flai Cgil, ha monitorato 260 inchieste giudiziarie aperte dalle Procure di tutta Italia per comprendere il fenomeno del caporalato. Le situazioni più critiche sono sempre localizzate nel Nord e nel Centro: in Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Lombardia.

Nel report i racconti si accavallano e trattano non solo di inchieste di sfruttamento stile campagne meridionali, settore tessile toscano e campano, camerieri, baristi, banconisti, addetti al carico e scarico merci, panificatori, commessi del centro Italia. Si va da storie di sfruttamento dove l’imprenditore di formazione Bocconiana sfrutta l’immigrato, chiamandolo “negro di merda” (per un’attività di raccolta fragole a pochi chilometri dal Duomo di Milano, non nelle campagne del meridione) a un sistema di società che arriva fino a Uber. E' coinvolto addirittura il settore dei libri. Siamo nel 2018, nel polo logistico di Stradella, nei pressi di Pavia, con 700 lavoratori in sciopero che bloccano per sei giorni le forniture nelle librerie italiane. “I numeri sono spaventosi: i lavoratori dovevano spostare fino a 10.000 libri in turni da 12 ore”, racconta il report. “Di notte, il mio compagno mi vedeva piangere sempre perché avevo dolori ovunque, in particolare forti dolori alle braccia e alle gambe. Sono stata in cura all’ospedale”, dice una voce riportata nelle carte dell’inchiesta, scrive il curatore del lavoro, Antonello Mangano.

Infine i grandi appalti navali, dove gli operai del Bangladesh, denunciano un sistema che parte da piccole ditte in subappalto e termina al colosso numero uno del settore: Fincantieri. Un meccanismo generale che andrebbe fermato ma che sembra connaturato col sistema di sviluppo in cui viviamo.

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