Cina, volano gli investimenti sostenibili: ma c'è ancora troppo carbone
La produzione di carbonio del Paese è stimata quattro volte quella dell'India, ma la Cina produce il doppio delle rinnovabili rispetto al concorrente più vicino
La Cina è come un Giano bifronte: da un lato è leader mondiale nello sviluppo delle energie rinnovabili, avendo installato più del doppio della capacità (misurata in gigawatt, GW) rispetto al suo concorrente più prossimo nell’ultimo decennio in termini di energia sia solare che eolica; dall’altro, nello stesso periodo, ha registrato il maggior aumento di capacità di generazione dal carbone, quasi il quadruplo rispetto a quanto osservato in India.
Il governo cinese ha annunciato di voler raggiungere il picco delle emissioni prodotte dalle centrali a carbone entro la fine dell’attuale piano quinquennale che termina nel 2025, ma le nuove centrali con una vita utile di 40 anni non si conciliano con un obiettivo di azzeramento delle emissioni nette entro il 2060. La Cina è un paese di grandi progressi e grandi opportunità, ma anche di grandi contraddizioni.
In termini assoluti, la Cina fornisce l’apporto più consistente alle emissioni globali, ma questo è dovuto per lo più alle sue dimensioni. Su base pro capite, le emissioni cinesi sono molto più contenute di quelle degli Stati Uniti e pressappoco in linea con quelle dell’UE, con la differenza, tuttavia, che dopo più di un secolo di aumento delle emissioni, l’UE si trova adesso su una traiettoria discendente, diversamente dalla Cina.
Un altro punto da considerare è che i dati sulle emissioni a livello nazionale si riferiscono a quelle derivanti dall’attività produttiva. Di conseguenza, le emissioni generate dalla produzione di beni cinesi che vengono consumati nell’UE o negli USA sono rilevate nell’impronta di carbonio della Cina. Se prendessimo in esame le emissioni associate ai consumi pro capite, la Cina si posizionerebbe probabilmente molto meglio dell’UE, degli Stati Uniti e del Regno Unito.
Visti i nuovi obiettivi “net zero” della Cina e la sua leadership nel settore delle rinnovabili – il paese produce il 70% dei pannelli solari e la metà dei veicoli elettrici a livello mondiale, e controlla una quota significativa di molti materiali che sono alla base della tecnologia di batteria – non c’è da stupirsi che gli investitori abbiano preso di mira il mercato cinese delle rinnovabili.
Il crescente interesse degli investitori, specialmente di quelli consapevoli dei fattori ESG, ha spinto le imprese a porre maggiore attenzione alle informative sulla sostenibilità. L’uso del lavoro forzato nelle filiere produttive è una particolare area di rischio su cui gli investitori pongono attualmente molta enfasi.
Verso la fine del 2021 è prevista la pubblicazione di un programma di decarbonizzazione più dettagliato. Questo potrebbe risolvere alcuni dei dilemmi posti dalle centrali a carbone, ed è probabile che si concentri su tre aree chiave: determinazione del prezzo del carbonio, finanza verde e investimenti tecnologici. Tali sviluppi potrebbero accelerare lo scenario già favorevole.
Si tratta di un’opportunità di enormi dimensioni: l’International Renewable Energy Agency (IRENA) prevede che entro il 2050 saranno necessari 8.519 GW di energia solare in uno scenario di innalzamento delle temperature inferiore a 2°C, in linea con l’accordo di Parigi; parliamo di un aumento pari a 18 volte i livelli del 2018. Si ritiene che l’Asia, e soprattutto la Cina, rappresenterà più del 50% della potenza fotovoltaica complessiva installata, contro il 20% del Nord America e il 10% dell’Europa.
Le previsioni sull’eolico onshore dipingono un quadro simile, con 5.044 GW richiesti entro il 2050, nove volte la capacità installata nel 2018. L’IRENA stima che oltre il 50% di questa capacità si troverebbe in Asia. Alla luce dei recenti annunci, che segnalano un deciso cambiamento nell’enfasi sulla transizione energetica, del miglioramento degli standard di informativa e della significativa gamma di opportunità, crediamo che valga la pena seguire l’evoluzione del mercato cinese.
Tuttavia, aspetto importante per gli investitori internazionali attenti ai fattori ESG, ciò sarà subordinato alla garanzia che le filiere produttive non abbiano alcuna esposizione alle violazioni dei diritti umani degli uiguri nella regione dello Xinjiang.
*di Jin Xu, Gestore di portafoglio e Jess Williams, Analista di portafoglio, Investimento responsabile di Columbia Threadneedle Investments