Cinecittà, da gioiello a cattedrale nel deserto: l’effetto della riforma del tax credit
La situazione a Cinecittà è precipitata con l’attuazione della riforma nella scorsa estate
Cinecittà, l’effetto della riforma del tax credit
Cinecittà, simbolo del cinema italiano e meta ambita dalle produzioni internazionali, sta vivendo un dramma che nulla ha a che vedere con le pellicole prodotte nei suoi celebri studios di Via Tuscolana. Il Giornale racconta come l’azienda, fino a poco tempo fa in ottima salute, si trovi ora sull’orlo di una crisi profonda, innescata dalla contestata riforma del tax credit, meglio nota come “legge Franceschini”.
Il tax credit, fino al 2023, era un potente magnete per le major internazionali, coprendo fino al 40% dei costi di produzione. Questo aveva permesso a Cinecittà di competere con i giganti di Hollywood e con i Pinewood Studios di Londra, colpiti dalla Brexit. Risultato? Dal 2020 al 2023, i ricavi hanno superato i 115 milioni di euro, con utili di 4,1 milioni: numeri solidi per un’azienda pubblica sotto la vigilanza del Ministero della Cultura e controllata dal MEF. L’ex amministratore delegato Nicola Maccanico aveva portato Cinecittà verso un futuro promettente, ma ora si parla di lui solo al passato.
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La situazione è precipitata con l’attuazione della riforma nella scorsa estate. La nuova normativa, che apparentemente innalzava il credito d’imposta al 70%, è in realtà diventata un boomerang per le produzioni internazionali, riducendo l’incentivo al 40% per i grandi player. Inoltre, la stretta sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale ha ulteriormente reso gli studios meno competitivi rispetto ai concorrenti europei ed extraeuropei, con il Regno Unito e i paesi dell’Est in testa.
Secondo quanto riferisce Il Giornale, la paralisi delle produzioni e l’incertezza normativa hanno provocato un crollo dei ricavi previsti per il 2024, stimati tra i 15 e i 18 milioni di euro: meno della metà rispetto al 2023. Una débâcle che pesa come un macigno su un’azienda che aveva rappresentato un’alternativa a basso costo per le produzioni di tutto il mondo.
L’attuale management, guidato dalla presidente Chiara Sbarigia (vicina alla Lega) e dall’amministratore delegato Manuela Cacciamani (FdI), sta cercando un’uscita d’emergenza. Tra le ipotesi allo studio ci sarebbe una manovra contabile: svalutare crediti e attivi nel bilancio 2023 per amplificare le perdite e giustificare una richiesta di aiuti al MEF per circa 35 milioni di euro. Un’operazione che, come sottolinea Il Giornale, solleva più di qualche dubbio: è davvero necessario rappresentare come “un catorcio” un’azienda che ha performato positivamente per due anni?
Intanto, Cinecittà si trova a completare nuovi studios che, nelle intenzioni, dovrebbero aumentare del 60% la capacità produttiva. Ma senza produzioni estere a occupare gli spazi, il rischio è che questi si trasformino in una “cattedrale nel deserto” sulla Via Tuscolana.
L’epilogo di questa vicenda sembra ancora lontano, ma la morale è già chiara: il cinema italiano rischia di essere vittima di una politica miope, incapace di cogliere l’importanza di strumenti come il tax credit per attrarre investimenti esteri. E intanto, il gioiello di Cinecittà, che aveva fatto sognare registi e produttori da tutto il mondo, sembra destinato a un futuro incerto, stretto nella morsa di scelte legislative discutibili e di una concorrenza internazionale sempre più agguerrita.