Colaninno e la fine dell'Olivetti. Il ruolo di Bersani, D'Alema, Fiom

La scomparsa di Colaninno il responsabile della fine dell’Olivetti e delle scorribande in Telecom

Di Giuseppe Vatinno
Economia

Il ruolo di Bersani, D’Alema e della Fiom - Cgil nella distruzione dell’Olivetti

 

È scomparso Roberto Colaninno, un protagonista della finanza –ed in parte- della industria italiana dell’ultimo mezzo secolo.

Mantovano, fonda la Sogefi attiva nella componentistica dell’auto, poi confluita nella Cir di De Benedetti.

Diventa famoso nel 1996 quando diviene amministratore delegato dell’Olivetti che è in piena trasformazione. Dopo essere stata leader nelle macchine da scrivere è infatti diventata leader nell’informatica, andando a competere direttamente con la IBM e divenendo un gioiello nazionale che però De Benedetti non pensa due volte a distruggere a favore della Omnitel, compagnia privata di telefonia e di Infostrada, attiva nella telefonia fissa.

Insomma, come al solito, l’Ingegnere aveva fiutato il vento e soprattutto l’affare e gettò alle ortiche la professionalità italiana di tante persone operanti nell’azienda di Ivrea andando a cercare la telefonia che rappresentava il futuro. Tutto in nome del Dio Quattrino.

È allora che Colaninno, su input diretto di De Benedetti, vende –per oltre sette miliardi- a Mannesmann che poi cederà tutto a Vodafone.

Ma il punto chiave della vicenda è la “madre di tutte le privatizzazioni” e cioè quella di Telecom decisa da Romano Prodi a cui serviva mettere a posto i conti dello Stato per entrare nell’Euro.

Così nel 1999 si ha l’Opa su Telecom Italia con la banca Chase Manhattan che fa da garante e col il presidente del Consiglio Massimo D’Alema che definisce Colaninno e soci “capitani coraggiosi”.

Dopo soli due anni i soci di Bell vendono a Marco Tronchetti Provera, mostrando una visione eminentemente finanziaria più che industriale. Colaninno in (apparente) disaccordo corre a dimettersi.

Per capire bene cosa sia successo è interessante segnalare una intervista appena uscita sul Corriere della Sera.

Al di là del panegirico sull’amico ci interessa una domanda specifica e la relativa risposta:

“D: …Allora partì per l’avventura Telecom. Era stata la madre di tutte le privatizzazioni e diventò la madre di tutte le scalate...”

«R: Entrò (Colaninno, ndr) in contatto con il gruppo dei soci bresciani, in particolare Gnutti, e inventarono di comprare Telecom Italia. Un’operazione alla quale, e glielo dissi, ero assolutamente contrario perché non ritenevo avessimo la squadra per gestirla. La consideravo un’impresa ardua e sbagliata. Lui la fece lo stesso perché era una persona totalmente indipendente e determinata. Si organizzò l’Offerta pubblica di acquisto, poi mio figlio Marco andò con lui e Colaninno lo scelse come amministratore delegato di Tim».

Sembra proprio che l’Ingegnere voglia prendere le distanze dall’operazione ma, come suo costume, glissa il più possibile sul figlio Marco che “lo scelse come amministratore delegato Tim”.

Lasciando perdere la cortina fumogena delle parole restano i fatti e cioè che alla fine del gioco la famiglia De Benedetti comandava in Tim e si era liberata dell’Olivetti e del suo enorme patrimonio umano e tecnologico in una operazione eminentemente finanziaria e non industriale e che quindi ha danneggiato l’Italia.

Sullo sfondo agì anche la politica con Massimo D’Alema e il suo partito. Fu infatti l’allora ministro dell’Industria Pier Luigi Bersani che in combutta con la Fiom - Cgil permise a De Benedetti e soci di fare dell’Olivetti informatica il famoso “spezzatino” che vendette a tranci separati sul mercato, prima ai cinesi della Wang e poi agli olandesi della Getronics.

Ne ho parlato qui

Ma di questo, naturalmente, il furbo finanziere italiano non ne parla nell’intervista elogiativa. Resta per l’Italia e per gli italiani l’ennesimo scippo tecnologico che ancora grida vendetta.

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