Cop26, i green bond valgono oltre 1,4 trilioni. Il 71% dei fondi non allineati

Le emissioni globali di green bond hanno già superato 1,4 trilioni, arriveranno a 2,36 nel 2023. Ma il 71% dei fondi ancora non allineato agli accordi di Parigi

di Marco Scotti
Greta Thunberg 
Economia
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Con ancora nelle orecchie l’eco del “bla bla bla” targata Greta Thunberg, con cui ammoniva i grandi della Terra a non perdersi in chiacchiere sul clima, si apre a Glasgow la Cop26. La sensazione è che questa volta il contesto sia completamente diverso. I disastri naturali, l’innalzamento delle temperature, il rischio di 500 milioni di profughi per ogni grado in più sulla Terra sono improvvisamente diventati estremamente concreti.

E i governanti vogliono intervenire. Dunque taglio delle emissioni, riduzione dell’impronta di carbonio, net zero entro il 2050 e via dicendo. Ma anche gli investimenti e la finanza devono diventare sostenibili. Secondo il World Economic Forum, entro il 2023 il mercato dei green bond, cioè di emissioni obbligazionarie legate alla sostenibilità, varrà 2,36 trilioni di dollari.

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Ma la finanza green è già oggi una realtà. Come riportava Il Sole 24 ore, le emissioni cumulate di green bond a livello globale, secondo Climate Bond Initiative, hanno già superato 1,4 trilioni di dollari. Questi prodotti legati al raggiungimento di specifici obiettivi di sostenibilità (i cosiddetti Esg, cioè temi legati all’ambiente, alla minimizzazione dell’impatto e alla governance inclusiva) varranno il 25% di tutte le emissioni in Europa. Qualcosa si muove, insomma.

Rimanendo alla sola Europa, l’idea è di raccogliere il 30% dei fondi necessari al piano Next Generation Eu (che vale complessivamente oltre 670 miliardi di dollari) proprio attraverso green bonds. Il 12 ottobre scorso è stato emesso un primo ciclo di obbligazioni verdi che ha raccolto richieste per 135 miliardi, ovvero undici volte l’offerta iniziale. L’Italia ha già emesso a marzo il primo Btp green con scadenza 2045, con una sottoscrizione pari a 10 volte l’offerta iniziale. E a metà ottobre è stata annunciata una seconda emissione.

Rimanendo al nostro Paese, secondo i dati del Rapporto GreenItaly realizzato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere, l’Italia è leader nell'economia circolare. Un’analisi di Ener2Crowd dello scorso anno mostrava come un euro investito nella green economy ne restituisse 2,3 garantendo in 10 anni un rendimento tra le 3 e le 10 volte superiore a quello del Bpt Futura.

Per quanto concerne la Borsa Italiana, secondo un report Consob nel 2020 sono state scambiate 136 obbligazioni che avessero un occhio di riguardo per la sostenibilità, in aumento dell’89% rispetto all’anno precedente e con un controvalore pari a 230,6 miliardi di dollari.

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Anche l’economia reale, inoltre, si è accorta dell’importanza della svolta green. Sono, infatti, oltre 441mila le aziende che nel periodo tra il 2016 e il 2020 hanno deciso di investire in tecnologie e prodotti green: il 31,9% delle imprese nell’industria e nei servizi ha investito, nonostante la crisi causata dalla pandemia, in tecnologie e prodotti green, valore che sale al 36,3% nella manifattura. Tutto perfetto, dunque? Non esattamente. Secondo uno studio Influencemap pubblicato dal mensile Investire, il 71% dei fondi non è allineato agli accordi di Parigi.

E questo perché spesso i fondi usano come livello per definire "sostenibile" un investimento, il valore medio di un determinato settore a Wall Street. Ad esempio, se un combustibile fossile rappresenta il 20% degli investimenti totali, se il fondo si ferma a pochi decimi di punto da questa soglia può comunque raccontare di essere “sostenibile”, anche se non lo è.

Per questo l’Unione Europea è corsa ai ripari: ha adottato dallo scorso mese di marzo una Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), che vuole riuscire a smascherare le cosiddette pratiche di greenwashing. Rendendo più stringenti i criteri per ottenere il riconoscimento di Esg. Rivoluzione all’orizzonte?