Covid, una crisi che cambierà il modello di consumo (e il capitalismo)
La pandemia ha illuminato molti angoli oscuri della civiltà del Capitale, ha messo a fuoco molti punti di tensione tra quelle che una volta erano le classi sociali ma, soprattutto, ha messo in chiaro che il pianeta non ha confini e che la questione sanitaria si risolve globalmente.
E’ ormai evidente che i ricchi dovranno diventar meno ricchi e i non-ricchi più istruiti: è solo l’istruzione, anzi la cultura umanistica e scientifica di massa, ovvero diffusa tra le ‘moltitudini’ – dirla alla Toni Negri –, consentirà mutare ‘modello di sviluppo’ capitalistico e di togliere centralità al consumo individuale come misura del valore dell’esistenza, della vita di ciascuno. Non tanto una ‘decrescita felice’ quanto piuttosto una crescita del consumo di beni sociali.
La vera domanda è se la potenza del capitale finanziario sia domabile, sia disposta ad essere governata da principi etici forti, resi inflessibili dalla limitatezza delle risorse del pianeta, dalla violazione dei suoi equilibri ecologici – i cui effetti speriamo siano reversibili nel medio-lungo periodo – e, ultime ma non peggiori, dalle fratture degli equilibri sociali nei paesi industriali avanzati
E’ ormai evidente che la salute del Pianeta può essere garantita soltanto se la stragrande maggioranza dei sui abitanti che hanno accesso al consumo del superfluo saranno perfettamente coscienti dell’impatto sull’ambiente di ogni loro fare, consumare, ovvero ‘essere’.
Per giungere a questo risultato, ovvero di avere una vasta comunità umana cosciente di appartenere ad un “Intero” – gli Umani e il Pianeta - sono necessari ingenti investimenti nel sistema educativo per dare - ma direi meglio “imporre” - un’educazione ampia e profonda, improntata a valori umanistici e percorsa da una ‘sana’ spiritualità, ovvero quella oltrepassante il meramente religioso.
Nessun produttore e nessun governo ammetterà facilmente che va cambiato il modello di consumo; un’operazione di vasta portata, un intervento alla radice sul ‘modello umano’, trasformandolo in eco-compatibile. Ci vorranno generazioni. Tutto ciò per quanto concerne il ‘lato della domanda’.
Per quanto riguarda invece il ‘lato dell’offerta’ si tratta di definire il complesso sistema delle regole per governare l’evoluzione del Capitalismo Finanziario in prospettiva green. Il Pianeta richiede la qualità etica degli obiettivi strategici, sia dei singoli operatori locali che i grandi potentati finanziari internazionali; senza dimenticare ovviamente i grandi ‘condottieri’ di oggi quali Zucky, Musk, Gates, Bezos e gli altri innovatori rivoluzionari.
La direzione del mondo nei prossimi cinquant’anni: questa è la posta in gioco che la virtù del Covid19, in quanto Male planetario, ha determinato, chiarito, svelato, definito come problema attuale ed ineludibile. Il nodo è giunto al pettine nella forma della domanda essenziale: “quale pianeta vogliamo consegnare ai nostri nipoti?”
I prossimi cinquant’anni saranno cruciali per ridurre in modo significativo l’impatto delle attività umane sul pianeta e sarà necessario ‘tener botta’ fino alla diffusione della tecnologia della fusione nucleare, che renderà disponibile energia illimitata a costi contenuti. Intanto oggi c’è una battaglia da affrontare; si svolge su un terreno segnato dai confini chiari perché la Scienza ci offre la capacità di calcolare il futuro, di assegnare probabilità ai diversi scenari.
In ogni caso sappiamo già oggi che non abbiamo molto tempo disponibile; è urgente mettere a punto le misure necessarie affinché la riproduzione del capitale – la benzina di ogni sistema, energia di ogni dinamica D-M-D – si confermi nell’ambito di strategie di sviluppo green e di politiche economiche di riequilibrio sociale.
Per attuare questa prospettiva, per costringere gli spiriti animali degli imprenditori alla ragione planetaria e non solo a quella individuale, è necessario che la potenza della Finanza Internazionale che li finanzia, si pieghi a principi etici universali, semplici e condivisibili da tutti.
Principi che poi sono sempre gli stessi: sono quelli a suo tempo enunciati dalla borghesia rivoluzionaria parigina ma, ed è questo il punto, espressi in una nuova sequenza: Uguaglianza, Fraternità e Libertà. Uguaglianza delle condizioni di partenza significa in sostanza offrire a tutti la possibilità di raggiungere una buona e vasta formazione culturale di base: il fondamento per mettere a patrimonio e sfruttare i propri talenti. Ripristinare con la cultura umanista e la preparazione tecnica, il funzionamento dell’ascensore sociale, ovvero dare priorità al merito solo sulla base di un’equa distribuzione delle potenzialità.
Fraternità intesa come coabitazione: è la Madre Terra che fa tutti noi fratelli. Soltanto se ci rendiamo conto di abitare tutti allo stesso indirizzo, condividendo inoltre una coperta energetica stretta, allora il rispetto dell’ambiente - di cui l’elemento portante è la minimizzazione degli sprechi e la regola fondamentale è quella di non voler consumare nulla di troppo -, solo allora la cura della Terra potrà diventare il criterio regolativo dell’esserci. In sintesi estrema tutto ciò si riduce a passare dall’uti al frui, come dice un lucido Cacciari.
Libertà giunge per ultima per significare che è condizionata, regolata, anzi ‘costretta’, da i due principi precedenti. Dall’altra parte la Libertà non ha quasi nulla in mano perché c’è un unico soggetto veramente libero: è quello non ancora pienamente consistente, è quello che progettiamo di essere, il nostro ‘io ideale’, colui che vorremo essere. La Libertà è soltanto quella di poterci immaginare ‘altro’ da ciò che adesso siamo per poi, nello spazio ristretto dell’ora, progettarsi, lottare, lavorare, studiare, correggersi per esserlo questo ‘altro’. Certo, ci vuole anche una certa dose di fortuna: quella fortuna che è aiutata ad essere sé dagli audaci.
La libertà è solo progettuale e si esprime, si realizza nei limiti del realismo tecnico scientifico (calcolo) e psicologico (passione) perché non si può voler la Luna senza calcolare il volo o esser dei condottieri timidi. Questa Libertà che dunque non è mai assoluta, è la stessa libertà che l’imprenditore pretende sia garantita al suo operare economico. Il mito sottostante a questa per molti versi, ma non tutti, sacrosanta pretesa di libertà è quella del laissez-nous faire, della ‘mano invisibile’ capace di trasformare ogni interesse privato in ricchezza pubblica.
Che non sia vero lo sappiamo dal 1936 quando Keynes pubblica la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta. Abbiamo capito perfettamente che si tratta di un puro delirio di onnipotenza: la fase infantile del Capitalismo, direbbe un psicomarxista dai capelli arruffati e barba lunga; hybris in ateniese stretto. Naturalmente allo Stato, oltre alla funzione keynesiana di sostegno alla domanda aggregata, vanno affidate molte altre utilità pubbliche e responsabilità: educazione e sanità, solo per citare le prime.
Ma ciò senza dimenticare che gli ‘spiriti animali’ degli imprenditori nutrono il loro ‘io’ con l’ebbrezza del successo. Una dieta che è in qualche modo una garanzia: il minimo sindacale che possiamo pretendere dagli indispensabili generatori di dynamis; loro: gli imprenditori innovativi, insieme agli artisti e a tutti i creativi di qualsiasi dominio, ovviamente.
Gli autentici, che in greco significa ‘i capaci’, vanno premiati; non c’è nulla da fare, c’è poco da protestare: viviamo tutti sotto il dominio dello ‘io’. Siamo determinati ad essere ciò che siamo e siamo capaci soltanto di essere il nostro ‘io’. Uno non vale mai uno, vale sempre ‘me’.
E’ necessario uscire da questi bassi fondali: trasformare quel ‘me’ in ‘mi’. Il programma è già scritto da millenni nell’episodio del Roveto Ardente: basta copiare nel senso anglosassone di ‘aderire’ (to cope). Aderire dunque al Roveto Ardente: un evento che si risolve – ci lascia liberi, solti - quando Moshè, nostro maestro, finalmente la smette di dire ma: ma tu chi sei? ma tu come ti chiami? ma come si chiama tuo padre? E, finalmente, passa al mi.
Quello stesso mi che ripete ogni volta che vien convocato alla presenza del Dio Creatore: Eccomi, ovvero ci sono nel senso puntuale di essere localizzato, di insistere sul terreno. Ma c’è anche un’eco in questa dichiarazione, oltre a quella di “obbedisco”: in eccomi risuona un “guardami, son qui, non puoi non vedermi”.In altre parole: in eccomi la posizionalità è implicata dal significato “sono qui”.
E ‘avere una posizione’, come si sa, è la pesante responsabilità dello ‘stare’, mentre ‘prendere posizione’ implica aprire il conflitto: la forma della relazione: io sono io e mi contrappongo a te che sei il mio altro. Ma mi significa anche essere parte, appartenere ad un contesto, ad una comunità. Il mi esprime un io che ha saputo oltrepassare l’autismo, l’autoreferenzialità del me. Insomma, ciò che in mi viene espresso, viene esperito è l’essere uno in molti.
Ecco: la virtù del Covid19 – il Male che attraversa tutte frontiere del Mondo – fa segno, insegna e significa l’essere ciascuno di noi in molti e l’essere tutti noi – i Molti – uno con la Terra. Speriamo che non sia troppo tardi.