Dai mld bruciati in Borsa da Nvidia a Meta ed Alphabet, l'intelligenza artificiale una svolta o una bolla? L'analisi
Luglio e agosto sono stai mesi caldi per l'IA: dal tracollo di Nvidia che da sola ha bruciato quasi 300 mld di dollari alle perplessità del mondo del tech. Quale futuro ci attende? L'analisi
Nvidia
IA e big tech, l'analisi
Luglio e agosto sono stati connotati da notizie roboanti sul futuro dell’Intelligenza artificiale e delle aziende ad essa legate. Un nome tra tutti, Nvidia, si è distinto per una corsa sfrenata in borsa. Per chiunque sia un gamer Nvidia è una garanzia: sono storici produttori di schede grafiche utilizzate dai videogiochi. È proprio la flessibilità e la velocità di calcolo delle schede grafiche ad essere parte della rivoluzione della blockchain prima e della IA in questi mesi.
Nell’estate tuttavia, in parallelo con un crollo del valore di circa 653$ miliardi delle “magnifiche 7”, Apple Alphabet Amazon Meta Microsoft Nvidia and Tesla, qualcuno ha iniziato a domandarsi se la tanto decantata rivoluzione delle IA non sia l’ennesima bolla. In settimana Nvidia da sola ha “bruciato” quasi 300$ miliardi di valore. Facciamo due conti.
Ma sono veramente “intelligenze artificiali”? Per correttezza si deve iniziare dal concetto stesso di intelligenza. Fu Turing, l’inventore del primo calcolatore che aiutò a interpretare il sistema di codici segreto tedesco Enigma, ad aver definito il concetto di intelligenza. Spiegata semplice il famoso test di Turing (conosciuto come il gioco dell’imitazione, per un ottima ragione come vedremo) implica un giudice umano che, tramite chat scritta (e allora non esistevano i computer, immaginate quanto era avanti Turing) si confronta con due soggetti dei quali ignora la natura. Un soggetto è sintetico l’altro umano. Stante 100 la capacità cognitiva del giudice, se i due soggetti raggiungono o superano il valore cognitivo del giudice, sarà chiaro comprendere, per il giudice, chi dei due sia un sintetico.
Questo il test spiegato in modo estremamente sintetico. Turing tuttavia non considerava la deficienza cognitiva di ritorno: sono molti in Usa prima e i EU poi, ad aver difficoltà ad interpretare un testo di 200 parole. E il livello di attenzione delle nuove generazioni è sempre più orientato alla comprensione di concetti semplici, veicolati in forma audio e video. Questo implica che modelli di imitazione dell’intelligenza, come gli algoritmi generativi, non sono intelligenti, non vi è effettiva creatività ma solo un assemblare elementi appresi “imitando” ciò che è stato creato da menti umane. Tuttavia, in uno scenario dove la capacità cognitiva umana sta sensibilmente decrescendo, esiste un palese rischio: che un “giudice biologico” nel confrontare una chat tra un umano cognitivamente deficiente e un sintetico che è stato “addestrato”, con testi ed opere di grandi menti umane possa, decidere che il sintetico sia il più “cognitivamente avanzato”; di fatto riconoscendo il sintetico come umano e l’umano deficiente come sintetico.
Bolla o vero investimento? È importante comprendere che la cosiddetta rivoluzione delle IA consta di due elementi, uno fisico e uno digitale (immateriale).
Quello fisico include le grandi infrastrutture di fibre ottiche sottomarine e satelliti che trasportano i dati centri di calcolo. All’interno di questi datacenter vi sono computer che ospitano hardware come le schede di Nvidia.
Il secondo elemento è quello immateriale che consta degli algoritmi (i più famosi quelli generativi). Con questa premessa cerchiamo di comprendere se siamo in una bolla. Il mondo degli algoritmi è stato spinto, negli ultimi anni, dallo sviluppo di algoritmi generativi come ChatGPT e simili. Nel mondo dell’hardware Nvidia si è distinta nell’ultimo anno come campione delle IA, in quanto azienda produttrice di hardware (schede grafiche). Più volte negli ultimi mesi è stato chiesto al Ceo di Nvidia, Jensen Huang, quale fosse il suo punto di vista sulle ROI per il gruppo, legate allo sviluppo delle industrie delle IA.
Le tesi espresse da Huang sono auliche, per essere gentili, e sono generalmente focalizzate nel rispondere con visioni di ampio respiro. In una recente intervista, per esempio, ha spiegato che "l'elaborazione accelerata, ovviamente, accelera le applicazioni. Consente inoltre di eseguire operazioni informatiche su scala molto più ampia, ad esempio in ambito scientifico, simulazioni o elaborazione di database. Questi processi si traducono direttamente in costi inferiori e minore consumo energetico. Le persone che investono nell'infrastruttura Nvidia ne ottengono subito dei ritorni." La posizione del Ceo di Nvidia, ribadita in modo simile in differenti consessi, offre una visione di sistema ma non risponde alla domanda chiave: esiste una bolla e se esiste quando scoppierà?
La domanda di calcolo per sostenere la transizione digitale è un dato di fatto; Nvidia sta cercando, insieme ad altre aziende, di rispondere a questa domanda, quanto meno nel mercato occidentale. Resta da comprendere se questo “hype” come si dice nel gergo nerd della Silicon Valley, sia giustificato da reali risultati o sia estremamente volatile.
Le perplessità sull’efficienza di elaborazione
In una conferenza nel novembre 2023 Sam Altman, il fondatore di Open AI, dichiarò che nel 2024 vi sarebbe stata una rapida e imprevedibile evoluzione delle IA. James Manyika, Senior Vice President of Technology and Society di Google, ha dimostrato perplessità, come riporta il Financial Times in questi giorni. Le vendite di questi giorni estivi di titoli Tech sembrano dimostrare una crescente perplessità, da parte di operatori del settore e grandi attori della finanza, nei confronti del successo immediato delle IA dichiarato da Altman.
È lo stesso Manyika a spiegare i cosidetti successi delle IA, grazie alla sua esperienza in Google.
Ha spiegato al FT che i Trasformers, la tecnologia alla base dei large language models (LLM) permettono a Google Translate di supportare 243 lingue. La IA di Google, Gemini, ha capacità di elaborare, senza interruzioni, testo, immagini e video. Egualmente permette all’utilizzatore di fare domande sempre più complesse. Eppure il software in sé è ben lungi dall’essere adottato su larga scala. È visto più come una curiosità che uno strumento veramente utile. A questo tema si deve aggiungere che nella stessa Google ci sono molte perplessità. L’anno scorso il padrino della IA, Geoffrey Hinton si è licenziato da Google, giustificando la sua dipartita con l’elevato rischio che le tecnologie su cui lavorava rappresentino per la società umana.
Lo stesso Manyika, analizzando i primi casi storici di applicazione delle IA nel mondo del lavoro, ha osservato come le sue prime applicazioni non siano state positive. Ricordando il Covid e la necessità delle aziende di ottimizzare il lavoro, le prime applicazioni di IA generativa sono state (come spiegato da Manyika) usate per ridurre il personale umano a vantaggio di potenza di calcolo sintetica.
Solo per citare il mondo del giornalismo sono differenti le testate che, dal post Covid, stanno sperimentando soluzioni generative al posto di giornalisti, centinaia di risorse umane licenziate da un giorno all’altro.
Questioni legali
Se gli aspetti legati alle migliorate performance sono oggetto di dibattito tra gli esperti, gli aspetti legali, quanto meno in California, stanno subendo una rapida evoluzione, a sfavore delle IA. Il “Safe and Secure Innovation for Frontier Artificial Intelligence Models Act (SB 1047)” approvato dal senato della California dovrebbe creare un importante precedente per normale lo sviluppo di algoritmi (IA nel gergo comune). Se da un lato miliardari tecnologici come Musk supportano questo atto, altri grandi attori dell’industria ne criticano la ristrettezza di visione. Questa legge californiana, potrebbe creare un precedente per il governo federale per sviluppare una matrice di leggi più conservativa, raffreddando quindi l’entusiamo degli investitori nella “crescita infinita” dell’industria delle IA e spingendoli a ridurre le loro posizioni finanziarie nelle aziende del settore.
Aspetti ambientali ed energetici
Uno dei temi spesso trascurato quando si discute della rivoluzione digitale, in particolare delle IA è quello energetico e per conseguenza ambientale. Persino il mondo della finanza si è accorto della domanda energetica che è richiesta dai sistemi di IA. Goldman Sachs spiegava in primavera che “in media una ricerca fatta con ChatGPT richiede 10 volte l’elettricità richiesta per processare una comune ricerca con Google. La differenza di domanda energetica definisce un oceano di cambiamenti che gli Stati Uniti, l’Europa e il resto del mondo dovrà affrontare, in chiave energetica. Per anni i datacenter hanno avuto una domanda energetica con una crescita stabile negli anni. Ora invece con la rivoluzione delle IA il Goldman Sachs Research stima che la domanda energetica dai datacenter crescerà del 160% entro il 2030. Al momento i datacenter consumano a livello mondiale il 1-2% dell’energia prodotta sulla terra. Entro la fine di questa decade la domanda raddoppierà. Per conseguenza la produzione di energia, possibilmente a basso costo, dovrà aumentare, spingendo alla ricerca di fonti di energia il più possibile economici”.
Se pensiamo a forme di energia economiche ovviamente non possiamo dimenticare che la Cina, che ad oggi sta investendo massicciamente in IA, pur dispiegando sul suo terreno ogni anno l’equivalente europeo in termini di rinnovabili, ha previsto di cominciare a decrescere la produzione energetica a base carbone non prima del 2030. Detta semplice la domanda energetica delle IA rischia di essere soddisfatta, in larga parte, dalla valorizzazione energetica di carburanti fossili. Considerando che l’Occidente, e in scia il resto del mondo, sta giustamente ponendo molta enfasi sulla transizione dalle risorse fossili a quelle sostenibili, la domanda energetica questa industria potrebbe essere vista, dagli investitori e dagli stati, come un fattore negativo nelle riflessioni di crescite sostenibili.
Se la bolla delle IA dovesse scoppiare, o quanto meno rallentare la sua crescita nei prossimi mesi, è plausibile pensare che anche l’hype esagerato su questa nuova tecnologia possa essere maggiormente moderato, a vantaggio delle attività lavorative umane e della domanda energetica globale, già messa in crisi dalla transizione energetica occidentale.