Dazi e inflazione, Trump vuole la testa di Powell: alla Casa Bianca si studia come mandare a casa il governatore della Fed

Trump e la sua amministrazione stanno valutando se licenziare il capo della Federal Reserve

di Redazione

Jerome Hayden Powell

Economia

Dazi e inflazione, Trump vuole la testa di Powell

L'amministrazione Trump sta "studiando le opzioni" per silurare il capo della Fed Jerome Powell. Lo riferisce un funzionario della Casa Bianca. "Il presidente e il suo team continueranno a studiare la questione", ha deTrump e la sua amministrazione stanno valutando se licenziare il capo della Federal Reserve.tto il direttore del National Economic Council, Kevin Hassett, parlando con i giornalisti alla Casa Bianca. Intanto oggi il tycoon ha ribadito che se gli Usa  avessero "un capo della Fed che sa cosa fare taglierebbe i tassi d'interessi. Dobvrebbe tagliarli". 

Intanto le Borse stanno vivendo una fase critica. Con la Fed cauta nel seguire la Bce sulla discesa del costo del denaro, proprio a causa dei dazi che rischiano di infiammare l'inflazione Usa, gli investitori potrebbero rispondere male a una cacciata del banchiere centrale. Perché è un colpo a un'istituzione la cui indipendenza garantisce il valore del dollaro, già offuscato dalla guerra commerciale coi treasuries oggetto di vendite pesanti dopo il cosiddetto Liberation Day.  E perché l'appiglio legale cui lavorerebbero gli uomini di Trump creerebbe un precedente pesante per la vita pubblica americana: i legali del tycoon puntano a smontare una storica decisione della Corte suprema che 90 anni fa dichiarò illegittima la decisione del presidente Franklin Delano Roosevelt di licenziare il capo della Federal Trade Commission.

Una "minaccia alla credibilità della Fed" - dice al Financial Times l'ex economista dell'organismo federale ora all'Istituto Peterson David Wilcox - tanto che "potremmo vedere una reazione dei mercati piuttosto grave". L'instabilità arriverebbe sulle piazze finanziarie già in sommovimento. Per la Borsa di New York, che oggi si sente 'abbandonata' da un'amministrazione Trump più attenta al suo elettorato popolare, e da una Fed che ha le mani legate, "questo periodo è quello più pericoloso", spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte. Deve prima finire la fase negoziale sui dazi, che durerà fino almeno a giugno, e poi sarà possibile "un buon finale su mercati a fine anno". Poi ci sono i treasuries americani, col trentennale finito alla soglia di guardia del 5% nei giorni successivi al 2 aprile, fra timori per il bilancio Usa e capitali in uscita di fronte all'imprevedibilità di Trump.

Proprio oggi Deutsche Bank ha dato conferme che la Cina è fra i grandi detentori di debito Usa che si sta alleggerendo: "abbiamo osservato una diversificazione con uscite dal dollaro nei portafogli degli investitori cinesi" e "sempre più clienti hanno cominciato a guardare ai bund tedeschi, ai mercati di Spagna o Italia". I dati ufficiali ancora non ci sono, ma per Cesarano è chiaro che per il debito Usa "si è un po' appannata l'immagine di approdo sicuro".

Certo, a differenza della Borsa i treasuries hanno un paracadute: come "extrema ratio" c'è l'ipotesi che la Fed compri debito riattivando il quantitative easing', spiega Cesarano. E poi sempre la Fed - come accadde durante la pandemia da aprile 2020 fino a marzo 2021 - "può sospendere per i soli Treasury il cosiddetto 'supplementary leverage ratio' per le banche americane, che consentirebbe loro di accumulare treasuries senza assorbire capitale dando al debito Usa un polmone aggiuntivo".

La Fed giocherebbe un ruolo centrale nello stabilizzare i mercati. E forse è proprio questo a spiegare l'insofferenza di Trump nei confronti di un profilo indipendente come quello di Powell. Il piano del capo degli advisor economici di Trump, David Miran, teso a ridisegnare il sistema finanziario globale col grimaldello dei dazi, sta spingendo le banche centrali di Cina, India, Turchia a diversificare dai dollari Usa comprando oro. Già da tempo Bundesbank, come altre banche centrali (ad esempio l'India con la Bank of England) sta chiedendo di 'rimpatriare' il 30% delle sue riserve in oro che è depositato alla Federal Reserve di New York. Un campanello d'allarme che indica elevata sfiducia e tensione geopolitica.

"La Cina ha 3.200 miliardi di dollari di riserve di cui solo il 6% oro, l'India 650 miliardi col 13% in lingotti, mentre gli Usa, la Germania o l'Italia sono circa al 70%. Se Cina e India volessero arrivare anche solo al 30-40% in 4 anni, dovrebbero spendere almeno 1000 miliardi di dollari in oro e comprare quasi tutta la produzione annuale delle miniere globali. Liberandosi, lentamente, di treasuries americani", spiega ancora Cesarano. Una minaccia che spiega bene i timori di Washington, passata ora all'attacco con i dazi e con l'idea, contenuta nel rapporto Miran, di usarli per ottenere sottoscrizioni di treasuries a 100 anni.

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