Draghi torna e dà la sveglia all'Europa: "Servono subito investimenti enormi"
L'ex premier: "Se l'Ue non recupera gli enormi ritardi accumulati nei confronti degli Usa diventerà sempre più oggetto, e non soggetto"
Draghi scuote l’Ecofin: "Investimenti enormi, vanno finanziati"
Dopo il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, ieri è toccato all’ex presidente della Bce Mario Draghi costringere i ministri delle Finanze dell’Ue ad un bagno di realtà. Mentre l’enarca transalpino ieri ha sferzato l’Eurogruppo sulla necessità di procedere verso l’Unione dei mercati dei capitali su base volontaria, per sfuggire ad un futuro di declino per inerzia, allo stadio di Gand, nelle Fiandre, è stato l’ex banchiere centrale a snocciolare, davanti ai ministri, le cifre che attestano la dura realtà. Cioè, in parole povere, che l’Ue, se non si sveglia, rischia di non recuperare più gli enormi ritardi accumulati nei confronti degli Usa dalla crisi finanziaria in poi, diventando sempre più oggetto, e non soggetto, sul piano geopolitico.
Draghi, cui la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha affidato il compito di redigere un rapporto sulla competitività dell’Ue, ha ripetuto ai ministri, sia pure sotto forma di interrogativi e suggerimenti, i concetti che aveva già espresso ai colleghi capi di Stato e di governo quando stava a palazzo Chigi, in particolare ai più refrattari. In sostanza, ha ricordato oggi Draghi, l’Ue dovrà effettuare “investimenti enormi” nei prossimi anni, in un arco di tempo “relativamente breve”, per affrontare la transizione verde, quella digitale e le spese nella difesa.
Lo stesso Valdis Dombrovskis, che è un falco in tema di conti pubblici ma viene dalla Lettonia, che ha la Russia ai suoi confini, ha sottolineato che sulla difesa l’Ue deve fare di più, dato che “alcuni Paesi” non rispettano neppure il target minimo della Nato, che è di avere una spesa militare pari almeno al 2% del Pil. Tra l’altro, proprio oggi cade il secondo ‘anniversario’ dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. E la situazione al fronte, ha detto la ministra finlandese Riikka Purra, una Vera Finlandese (Perussuomalaiset, gruppo Ecr), è “piuttosto disperata”: a Kiev servono “più armi e più munizioni”, ha sottolineato. Senza contare le spese per la difesa, Draghi ha stimato che, solo per la transizione verde e per quella digitale, serviranno all’Unione qualcosa come “500 mld di euro” all’anno di investimenti. Le stime econometriche variano, ma una cosa è chiara: serviranno tanti, tanti soldi.
Insomma, occorrono investimenti “enormi”, che ovviamente vanno finanziati, altrimenti resteranno sulla carta. Così Draghi ha discusso con i ministri le possibili vie per recuperare il gap di investimenti, ormai cronico, dell’Europa affezionata all’austerity nei confronti degli Usa. Illudersi che bastino i soldi pubblici dei singoli Stati, ha spiegato l’ex presidente della Bce, è comunque vano, perché “non saranno mai sufficienti”. Draghi ha dato indicazioni chiare, sia pure sotto forma di interrogativi o suggerimenti: sui finanziamenti pubblici a livello nazionale, ha sottolineato che va valutato quanto “spazio fiscale” possa garantire il nuovo patto di stabilità ai singoli Paesi.
Quando era premier, l'ex governatore aveva più volte rimarcato che, senza incentivi regolatori seri per gli investimenti per il verde e il digitale, semplicemente gli Stati membri con i bilanci più deboli non li avrebbero fatti. Il che non farebbe altro che accrescere, di nuovo, le divergenze interne all’Unione, che Next Generation Eu ha contribuito a ridurre. Anche se Draghi ha formulato degli interrogativi, come la pensa è abbastanza chiaro da come li ha articolati.
Il gap di investimenti che separa l’economia Ue da quella Usa, che si va allargando sempre più ed è ormai salito a “mezzo trilione l’anno”, è composto, ha rimarcato, solo per “un terzo” da investimenti pubblici. I due terzi sono ascrivibili all’investimento privato, negli Usa. E qui entra in gioco la necessità di mobilitare il cospicuo risparmio degli europei per finanziare l’economia reale, cioè le imprese del Vecchio Continente. E per poterlo convogliare verso usi più produttivi, cioè nei titoli emessi dalle imprese europee, serve l’Unione dei mercati dei capitali, come ha accennato anche Draghi.
Sennò si andrà avanti come ora, con i risparmiatori europei che vanno a investire a Wall Street anziché sulle Borse europee, piccole e in concorrenza tra loro: i deflussi netti di capitali verso l’altra sponda dell’Atlantico ammontano a 250 miliardi di euro l’anno, ha ricordato Lagarde. Una situazione a lungo andare insostenibile se l’Ue vuole evitare di arretrare ulteriormente, come hanno evidenziato sia Le Maire, sia, tra le righe ma neanche tanto, l’attuale presidente della Bce (francese anche lei).
Terzo corno del problema, l’opportunità di finanziare a livello Ue gli investimenti necessari alle priorità comuni dell’Unione. A questo proposito, Draghi ha suggerito l’istituzione di un “fondo dedicato”, di un “prestito” o di un “partenariato pubblico-privato”, con un ruolo “significativo” della Bei, ora guidata dalla spagnola Nadia Calvino. Non è una via condivisa da tutte le capitali: von der Leyen ha dovuto sotterrare rapidamente l’idea di un fondo sovrano Ue per via della contrarietà di alcune cancellerie.
La discussione tra Draghi e i ministri, a quanto è stato riferito, ha confermato la divergenza di opinioni tra gli Stati membri sull’opportunità di procedere a finanziamenti in comune: i nordici e la Germania hanno accettato Next Generation Eu come un evento eccezionale, una tantum, solo per la pandemia. Gli Stati più ricchi resistono alla prospettiva di trasformare quel metodo, l’emissione in comune di bond, in qualcosa di strutturale, come invece ripete sempre di voler fare il commissario all'Economia Paolo Gentiloni.
Il rapporto che Mario Draghi stenderà su incarico di von der Leyen, ha aggiunto van Peteghem, aiuterà, insieme a quello che in parallelo sta preparando Enrico Letta, altro ex premier italiano, per conto del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, a preparare il programma della prossima Commissione. Draghi dovrebbe presentare il frutto del suo lavoro entro la fine di giugno, dopo le elezioni europee. Per Dombrovskis, il rischio che rimanga lettera morta, per l’inerzia dei 27, è limitato, perché oggi c’è tra le capitali una “maggiore consapevolezza” dei pericoli e dei rischi che l’Europa corre. Intanto, Draghi continua le sue consultazioni: martedì prossimo sarà a Strasburgo, per parlare con i presidenti delle commissioni del Parlamento Europeo.