Energia, verso biocarburanti e nucleare: gli Houthi il viatico per accelerare

Timori per un eventuale incremento del prezzo del carburante che tornerebbe a far crescere l’inflazione

di Marco Scotti
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Economia

Energia, gli Houthi il viatico per accelerare nella transizione

È una brutta grana quella dei ribelli filo-iraniani, gli Houthi, che hanno iniziato da ieri a prendere di mira le navi che transitano nel Canale di Suez. Il problema non è tanto l’aggressione ai container e ai cargo che trasportano combustibili, pratica che al momento sembra limitata ai soli natanti battenti bandiera israeliana o che hanno come meta i porti dello Stato ebraico. No, il problema è che molto più della guerra tra Russia e Ucraina, molto più del conflitto tra Hamas e Tel Aviv, questo terzo fronte di tensione rappresenta quello che può portare alle conseguenze peggiori.

Tant’è che qualcuno inizia a dirlo anche in Italia e anche in quelle aziende, partecipate dallo Stato, che hanno saputo garantire la sicurezza energetica e l’approvvigionamento anche nell’anno orribile 2022, quando il costo del gas schizzava sopra quota 300 euro al Mw/h e ci si interrogava sulla capacità di riempire gli stoccaggi. Ora la vicenda è per certi versi più complessa. Perché il blocco del Canale costringerebbe le navi a una rotta lunghissima, con costi di assicurazione alle stelle e con un impiego di risorse elevatissimo: bisognerebbe passare infatti dal Capo di Buona Speranza.

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Per intenderci: se oggi una nave dovesse percorrere dal Golfo Arabico, attraversando il Canale di Suez, fino all’Italia, dovrebbe mettere in preventivo un po’ più di 4.200 miglia nautiche. Se invece dovesse bypassare il Mar Rosso e scendere dall’Africa per risalire poi dallo Stretto di Gibilterra, in quel caso le miglia nautiche diventerebbero oltre 11.200. Contando che una petroliera viaggia a circa 15 nodi (poco più di 20 km/h), percorrere 7.000 miglia nautiche in più, cioè 12.500 Km in più, vorrebbe dire impiegare 26 giorni in più per arrivare a destinazione, aumentando i costi del carburante, dell’equipaggio e delle assicurazioni. Un disastro che ovviamente si riverbererebbe anche sul prezzo del petrolio e del gas.

Secondo alcuni analisti il greggio potrebbe facilmente sfondare quota 100 dollari al barile, con conseguenti incrementi del carburante che tornerebbero a far crescere l’inflazione. Con una spirale recessiva che costringerebbe la Bce a intervenire nuovamente. Insomma, un bel grattacapo che si inserisce perfettamente in quella “policrisi” (copyright Christine Lagarde) che accompagna da anni il nostro Secolo.

Diciamocelo, però, che un po’ ce lo meritiamo anche. Perché l’incapacità di trovare soluzioni alternative al gas e al petrolio (che non significa elettrificare tutto) ci hanno portati in questa situazione. Attenzione: quando si iniziò progressivamente a rinunciare al gas russo in Europa, non si attinse infatti a risorse differenti, ma si tornò al carbone, che registrò un incremento dell’11% complessivamente. Qualcuno ha sentito dire al gran capo di Eni Claudio Descalzi che la pervicace ostinazione con cui si è insistito sull’elettrico ad ogni costo è paragonabile a quella con cui ci si schianta contro un muro con effetti facilmente immaginabili.

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Il futuro, per fortuna, c’è e si chiama, da un lato, biocarburanti, che diventeranno sempre più centrali nella mobilità del futuro e che daranno – secondo le stime di Eni – fino a 1,2 milioni di posti di lavoro in Africa, in un meccanismo (era ora) in cui l’Occidente restituisce quanto ha preso per secoli dal continente più antico del mondo. L’altra occasione è rappresentato dal nucleare. La fusione non è più una chimera, e sempre secondo il cane a sei zampe si potrebbe iniziare a vedere qualche progresso significativo nel suo impiego all’inizio del prossimo decennio. Domani, se si pensa ai tempi lunghissimi che caratterizzano il mondo dell’energia.

Insomma: gli Houthi rappresentano una gran scocciatura anche perché – diversamente da quanto successo con Hamas – hanno la capacità di coinvolgere un buon numero di Paesi della zona, nonostante l’attività di pattuglia svolta dagli occidentali, Italia in testa. Ma sono anche il viatico per accelerare una transizione fin qui assai stentata. Un numero su tutti: l’attesa per il 2023, in Italia, era di avere due milioni di auto elettriche. Ne circolano, invece, 300mila. È il momento di cambiare marcia.