Evergrande non preoccupa l'Occidente. Al Nyse lo tsunami solo su Vanguard

La crisi del mattone cinese e gli impatti sistemici

di Marco Scotti
Economia
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Si susseguono a ritmo incessante le catastrofiche notizie su Evergrande Group. Il gigante del real estate cinese ha registrato profitti in calo del 29%. Ma è soprattutto il debito a far preoccupare: si tratta di una montagna da 305 miliardi di dollari con una leva tra indebitamento e fatturato del 1.300%. Sono cifre che non possono consentire una prosecuzione dell’attività. Il debito in scadenza entro un anno è arrivato oltre i 37 miliardi, mentre la cassa ne ha poco più di un terzo.

E infatti Evegrande non è riuscita a onorare la prima tranche di pagamento del debito nonostante detenga il 50% della quota del complessivo offshore di tutta la Cina. Il motivo è presto detto: nonostante il progressivo aumento della classe media nel Paese del Dragone, i prezzi degli immobili sono talmente in salita da far pensare che ci sia il rischio di una bolla.


 

Tant’è che il Partito si è affrettato ad annunciare una stretta sul prezzo delle abitazioni, calmierando l’esborso per consentire a più persone di poter acquistare casa. Per capire l’impennata dei prezzi si prenda Shanghai. Il costo di un pranzo in un ristorante economico si aggira sui 4 dollari e un menù completo in un fast food si aggira intorno ai 6,2.

Ma gli affitti e i prezzi di compravendita al metro quadro sono fuori dalla corretta dinamica: un monolocale in centro costa circa 1.300 dollari al mese, ma soprattutto un appartamento di tre camere fuori dal centro può superare tranquillamente i 1.500. Considerando le dimensioni spropositate della città, è facile pensare che una casa lontana dal posto di lavoro – seppur a caro prezzo - non può garantire una vita confortevole.

Non va meglio se si guardano i prezzi degli immobili da acquistare. Si va dagli 8.500 ai 16.500 dollari al metro quadro a seconda della posizione. Il tutto con uno stipendio netto medio intorno ai 1.600 dollari al mese. Per fare un paragone: il prezzo dell’immobiliare è simile a quello di New York, ma lì lo stipendio medio è intorno ai 6.300 dollari.

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Evergrande è con l’acqua alla gola, dunque, perché è a corto di liquidità, non riesce a pagare i fornitori, non può avviare nuovi progetti e non può onorare le scadenze. Un circolo vizioso dal quale è complesso uscire. E il partito ha già fatto capire chiaramente che non ci saranno aiuti statali, dichiarando altresì che Evergrande non potrà pagare gli interessi sul debito in scadenza il prossimo 20 settembre.

Non rimane, dunque, che avviare una soluzione di ristrutturazione del debito. Sì, ma come? La crisi di Evergrande sta trascinando con sé anche altre realtà: la prima è Suning, che è già flagellato da una situazione debitoria pesante (come sa bene anche l’Inter) e che ha acquistato una quota vicino al 4% del colosso dell’immobiliare. Come farà a rientrare dell’investimento profuso? Il fondatore di Evergrande, hui Ka Yan, è uno degli uomini più ricchi del mondo, ma il suo patrimonio da oltre 20 miliardi di dollari non può bastare neanche a tamponare la situazione nell’immediato.

In tutto questo c’è da capire come una crisi così gigantesca in Cina potrebbe avere effetti nel mondo Occidentale. I fondi americani sono quasi fuori dalla partita, e, complessivamente, è in mani straniere una quota intorno al 2% del totale con Vanguard Group che è il più esposto con lo 0,63% del capitale totale.

Ci troviamo di fronte a un’altra Lehman Brothers? No, perché la Cina è storicamente meno interconnessa con l’economia globale e il Covid non ha fatto altro che acuire questa tendenza. Ma certo le scene dei creditori che si assiepano davanti agli uffici di Evegrande hanno riportato la memoria a quell’ottobre del 2008 che cambiò, forse per sempre, il mondo della finanza.