Ex-Ilva, il tempo sta per scadere: e c'è il rischio di nuove cause legali

La famiglia Danieli era pronta a mettere sul tavolo una cifra intorno a 1,4 miliardi. Ma si è preferito continuare con Arcelor Mittal

di Marco Scotti
Acciaierie Arvedi
Economia

Ex-Ilva a rischio. E torna lo spettro delle cause legali

In gergo le chiamano “mamme”: sono quelle aziende che sfamano intere città. A volte, come nel caso della Ferrero ad Alba creando una sorta di isola felice, in cui i lavoratori hanno, oltre a una sede costantemente all’avanguardia, servizi accessori che permettono di migliorare la fruizione del territorio: scuole, asili nido, mostre d’arte, trasporti. Altre aziende, invece, danno lavoro a migliaia di persone ma impongono un prezzo altissimo, in termini di ricadute sulla vita degli abitanti (è il caso della Eternit di Casale Monferrato e dei morti per amianto) o sulla collettività, come nel caso dell’ex Ilva a Taranto. Una vicenda che, mai come ora, sembra giunta a un punto di svolta: o si trova una soluzione, o si chiude. Ma attenzione perché, secondo fonti accreditate che Affaritaliani.it ha potuto consultare in via esclusiva, anche la stagione delle vicissitudini legali potrebbe non essere conclusa

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Lo stabilimento tarantino è ormai una polveriera. I sindacati minacciano 24 ore di sciopero (come minimo); la produzione è inferiore anche alle attese più grigie, tanto che l’export pugliese è arretrato a causa di una minore consegna da parte dell’ex-Ilva. Il governo è in ansia: non ha siglato in prima persona l’accordo con Arcelor Mittal che ha visto Invitalia entrare nell’azionariato con un aumento di capitale dedicato per il 32% dell’azienda. In cambio dei 680 milioni messi sul piatto, l’ente statale ha ottenuto diritti di voto paritetici con Arcelor e la possibilità di nominare il presidente.

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Quest’anno si sarebbero dovuti profondere nuovi investimenti per aiutare una manodopera in cassa integrazione cosante dal 2019 e per progredire con la decarbonizzazione che deve procedere a tappe forzate per venire incontro alle richieste europee. Servirebbero 5,5 miliardi per realizzare l’impianto del preridotto di ferro necessario ad alimentare i futuri forni elettrici al posto degli altoforni. Ma il governo ha anche due teste che pensano in modo differente. Da una parte il ministro Adolfo Urso, che spinge per un investimento statale che riporti il controllo dell’ex-Ilva in mano pubblica; dall’altra il suo “collega” Raffaele Fitto che invece è pronto a trattare con Arcelor Mittal per ridefinire gli accordi

Secondo il Partito Democratico pugliese “del futuro dell’acciaieria non si sa più nulla da mesi, salvo le continue richieste di Cassa integrazione. Da tempo ascoltiamo annunci su progetti di decarbonizzazione ma poi è proprio Fitto a togliere 1 miliardo del PNRR per il DRI (Direct Reduced Iron, cioè il preridotto, ndr) a Taranto”. Due pezzi da novanta dei Dem come Francesco Boccia e Antonio Misiani avevano parlato di un accordo raggiunto per complessivi due miliardi tra governo e Arcelor Mittal. Ma è arrivata una secca smentita da parte dell’esecutivo.

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Dunque che cosa c’è in ballo? Prima di tutto la sopravvivenza dell’impianto stesso e, a cascata, dei lavoratori che dipendono da questa “mamma”: parliamo di circa 8.500 persone cui si somma l'indotto. Come scrive il Corriere del Mezzogiorno, in cassa non ci sono quasi più soldi, si fatica ad acquistare le materie prime, l’altoforno 1 è sempre fermo. Di chi è la colpa? Della politica, sicuramente. Ma anche di un’azienda come Arcelor Mittal che ha pensato di poter dettare condizioni sempre più capestro, soprattutto per quanto concerne quello scudo penale che era stato rimosso provocando il disimpegno dell’azienda. Serve dunque un nuovo accordo, un nuovo capitolo di un partenariato pubblico-privato che ha funzionato fin qui malissimo. Tanto che qualcuno ha chiesto: ma perché si è scelto Arcelor Mittal?

A quanto risulta ad Affaritaliani.it, l’acciaieria Danieli, leader mondiale nel settore dei prodotti lunghi (di cui detiene il 90% a livello globale) era pronta a mettere sul tavolo fino a 1,4 miliardi di euro tra investimenti e cash. La cosa non è andata in porto e qualcuno continua a chiedersi perché si sia preferito continuare con Arcelor Mittal nonostante "l'Aventino" del 2019 dopo la caduta dello scudo penale. Che è vero, hanno alle spalle un fatturato di quindici volte superiore a quello di Danieli, ma non hanno mostrato troppa affidabilità. Di più: c’è chi sostiene che a fronte di questa nuova frenata nel rapporto tra il gruppo indiano e lo Stato, ci potrebbero essere ulteriori code legali. Con la famiglia Danieli che potrebbe chiedere qualche chiarimento sulla vicenda. Solo che il tempo, mai come stavolta, sta inesorabilmente finendo. 

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