Francia e Italia ai ferri corti: da Anima a Stellantis, ecco tutti gli scontri
La difesa dell'italianità della Sgr è solo l'ultimo capitolo di una lunghissima querelle che va avanti da tempo
Che cosa sta succedendo con Anima Sgr
Tra Italia e Francia è tornata l'alta tensione. O forse non se n'è mai andata. Solo che ora il terreno di scontro è quello economico. Si prenda Anima, dove in due giorni è successo di tutto. Prima la notizia dell’acquisizione da parte di Fsi, il fondo guidato da Maurizio Tamagnini, del 7,2% di Anima Holding. La sgr ha in gestione circa 180 miliardi di euro. All’acquisto di Fsi ha fatto seguito un patto tra Poste Italiane (che detiene l’11% di Anima) e Francesco Gaetano Caltagirone (che ha il 3,2%) per un patto parasociale che prevede anche la presentazione di una lista di minoranza per il consiglio di amministrazione che scadrà il prossimo 31 marzo.
L’obiettivo? Secondo fonti finanziarie preservare l’italianità di Anima, che ha come primo azionista Banco Bpm che, a sua volta, vede una quota del 9,9% in mano a Credit Agricole. Non è un segreto, come riportato da Repubblica nei giorni scorsi, che Giorgia Meloni non veda di buon occhio alcuna intromissione di capitali stranieri nel mondo del risparmio, visto che attualmente gli italiani hanno “parcheggiato” sui conti correnti oltre 6mila miliardi di euro. Una cifra che il governo vorrebbe destinare alla sottoscrizione – ovviamente in parte – di titoli di Stato per abbattere il debito pubblico. Ma se questi soldi finissero nella disponibilità dei francesi (o di chi per loro visto che la reclusione non è nei confronti di Parigi ma, più in generale, dei capitali stranieri)?
Itali-Francia: un rapporto complicato
Preservare l’italianità di Anima, come riportato da diverse testate, potrebbe essere un pretesto per una più accesa difesa dei capitali nostrani dagli ingressi degli stranieri. Una modalità che in Francia avviene già abitualmente da tempo. C’è solo l’imbarazzo della scelta: Parigi, che è il secondo azionista di Psa, è automaticamente diventato il terzo in Stellantis dopo Exor e la famiglia Peugeot. E il suo peso lo fa sentire, eccome. Il ceo? È espressione dei francesi. Il cda è a maggioranza transalpino. I manager di primo livello sono in schiacciante superiorità francese. E soprattutto, la componentistica auto del nostro Paese trema a pensare che il nuovo standard per il segmento B (cioè quello con i numeri più significativi) è stato quello scelto da Psa e non da Fca.
E che dire della telenovela con Fincantieri per l’acquisizione dei cantieri Saint Nazaire? Alla fine l’azienda italiana ha dovuto mollare la presa perché la maggioranza assoluta in un’infrastruttura reputata così strategica Macron non voleva proprio concedergliela. Nello spazio, la collaborazione in Thales Alenia Space – che sta portando grandi risultati nella realizzazione di satelliti esplorativi – è in realtà una joint venture in cui il 66% è in mano ai francesi di Thales e il 33% in quelle di Leonardo. Si potrebbe ancora andare avanti: in molti sostengono che nell’iniziativa di dieci anni fa per rovesciare il governo di Gheddafi fu l’intento economico di togliere i preziosi giacimenti petroliferi dalle mani di Eni e di consegnarli a Total che convinse Sarkozy della necessità di intervenire.
Il rapporto tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron, al di là delle smentite di prammatica, non è esattamente idilliaco. Tant’è che ancora recentemente, sulla vicenda migranti, le frizioni sono state notevoli. Senza contare il tavolo con Zelensky organizzato da Parigi da cui è stata esclusa la premier non senza qualche sberleffo di troppo (“saremo liberi di invitare chi ci pare?”). Ecco, in un momento di grandi incertezze a livello continentale, tra Italia e Francia si torna a battagliare. Quale sarà il prossimo terreno di scontro?