Generali, oltre il buy-back c'è di più: serve M&A per tornare a "pesare"

La capitalizzazione in Borsa del Leone è inferiore a quella del 2005, mentre Axa e Allianz scappano, per non parlare dei giganti Usa e cinesi

di Redazione Economia

Philippe Donnet
Economia

Generali, oltre il buy-back c’è di più

Borbottavano i due grandi vecchi della finanza, cioè Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Maria Del Vecchio. Lo facevano perché insoddisfatti da un’azienda – Generali – cui mancava il coraggio e che non aveva sprigionato la sua forza. “Risvegliamo il Leone” era il nome del piano industriale alternativo presentato per il rinnovo dei vertici nel 2022. Che poggiava su un tema, prima di tutto, di dimensioni: perché la capitalizzazione di Borsa di Generali era passata dai 37,7 miliardi del 2005 ai 29,5 del 2021, mentre Zurich era passata da 25,9 a 58,1? Nello stesso periodo Axa era passata da 60,2 a 63,4 e Allianz da 50,8 a 85. E oggi il trend non è cambiato. Oggi Generali vale 37 miliardi, Axa 68, Allianz oltre 100. 

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La storia poi è nota: Caltagirone e Del Vecchio persero quella battaglia ma hanno sempre guardato al 2025 – data di rinnovo dei vertici – con grande speranza. Nel frattempo il patron di Luxottica non c’è più, ma il suo erede finanziario (Francesco Milleri) non ha mollato di un centimetro e sembra che lo scenario sia un po’ diverso da tre anni fa. Intanto, per il Ddl Capitali che impone diversi limiti alla presentazione delle liste da parte dei consigli di amministrazione uscenti, consentendo al contempo alle liste di minoranza che ottengono oltre il 20% dei voti di avere un numero proporzionale di seggi nel consiglio.

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Uno scenario che, secondo alcune simulazioni, permetterebbe a Caltagirone e ai suoi alleati di raddoppiare il numero di rappresentanti nel consiglio da tre a sei, su un totale di 13 membri. Inoltre, monta l'ipotesi che alla prossima tornata elettorale, il consiglio rinunci a presentare i propri candidati, aprendo così la strada a una competizione tra liste presentate dai soci. Poi perché nel frattempo la Fondazione Crt è entrata nel capitale del Leone acquistando il 2%. Per chi è una buona notizia? Palenzona ha sottolineato che la lista del consiglio è una pratica comune a livello internazionale e che Generali, seguendola, ha rispettato le "best practices", un punto importante per il CEO Philippe Donnet. Tuttavia, ha aggiunto, "il Ddl capitali ha cambiato la situazione".

In tutto questo, Generali ha avviato una strategia di buyback di azioni proprie che fa parte di un più ampio disegno di remunerazione a lungo termine dei dipendenti e degli azionisti. Il risultato è che i 500 milioni che potevano (e per certi versi dovevano) essere destinati al M&A sono in realtà stati dirottati al buyback. Procedura che non può fare impazzire perché di fatto “droga” il mercato. Così, Philippe Donnet si ritroverà a febbraio a presentare il piano industriale probabilmente con una capitalizzazione più elevata di quella attuale (anche se lontana da quella di Axa e Allianz). 

Ma se il Leone vuole tornare a ruggire deve trovare obiettivi concreti per continuare a crescita. Irrobustirsi, per reggere le temperie di un settore assicurativo che deve competere a livello globale con i giganti cinesi e americani e che rappresenta però una frazione dei colossi d’oltre Oceano. La compagnia italiana sarebbe interessata esclusivamente a transazioni “amichevoli” e avrebbe stilato una lista di oltre sei società, tra cui Aviva Plc e Uniqa Insurance Group, secondo quanto riportato alcuni mesi fa da Mf Dow Jones. Avrebbe inoltre analizzato i benefici di una possibile acquisizione dell’olandese NN Group NV, che ha una capitalizzazione di mercato di circa 11 miliardi di euro. In sintesi, si tratta di accordi europei nel settore delle assicurazioni pure.

Generali, con una capitalizzazione di 37 miliardi, considererebbe solo transazioni in cui il valore di mercato dell’obiettivo non superi la metà di quello della compagnia. Infatti, l’intenzione del gruppo, come spiegano fonti di mercato, è di eseguire operazioni carta contro carta, evitando l’uso di liquidità e garantendo il mantenimento del controllo. Peccato che poi non se ne sia fatto più nulla, e il tempo passa. Donnet fin qui ha lavorato bene, ma sta’ a vedere che i due grandi finanzieri un po’ di ragione ce l’hanno. 
 

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