Germania, una locomotiva in recessione: perchè la crisi tedesca rischia di trascinare giù anche l'Italia
Il legame con la Germania resta primario: Berlino rappresenta la principale destinazione dell’export manifatturiero dell’Italia. Parla Saverio Berlinzani, Senior Analyst di ActivTrades
Germania, Olaf Sholz
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La Germania si è arresa alla recessione per la seconda volta di fila. I dati non mentono: una contrazione dello 0,2%, dopo la flessione dello 0,3% già accusata lo scorso anno, è qualcosa che il governo tedesco non poteva ignorare. La locomotiva d'Europa ha smesso di funzionare, ma il futuro si prospetta più roseo. Da gennaio, infatti, l'economia dovrebbe avviarsi su un sentiero di ripresa, con una crescita prevista dell'1,1% per il prossimo anno, una revisione al rialzo rispetto all'1% stimato in precedenza, e un ulteriore 1,6% nel 2026. A sostenere questa svolta è un pacchetto di misure di stimolo lanciato dal ministro dell’Economia e vice cancelliere, Robert Habeck, del partito dei Verdi.
Ma non mancano le cattive notizie. "La Germania e l’Europa sono intrappolate nella crisi tra Cina e Stati Uniti e devono imparare a farsi valere", ha affermato il ministro, eppure non è solo il contesto geopolitico a preoccupare. La Germania è anche alle prese con sfide interne da non sottovalutare: prima fra tutti la questione Volkswagen, tra il calo vendite e lo spettro dei licenziamenti. In 87 anni di storia il colosso tedesco dell'auto non aveva mai dovuto chiudere uno stabilimento, limitandosi solo a non rinnovare i contratti dei lavoratori assunti a tempo determinato.
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Secondo le stime degli esperti, il declino di Volkswagen segna il declino della Germania stessa, e con essa dell'Europa intera. L'economia tedesca ha perso la sua storica spinta. Un Paese che ha prosperato grazie al gas russo a basso costo e all'export verso la Cina, ora paga il prezzo della guerra in Ucraina e di un mondo sempre più protezionista. Lo shock energetico sta mettendo in ginocchio anche l'industria manifatturiera, mentre i consumatori, soffocati dall'incertezza, tagliano drasticamente la spesa. Gli esperti non si fermano qui: alle sfide immediate si aggiungono quelle di lungo termine che inevitabilmente impattano anche sulla Penisola, come delineato da Saverio Berlinzani, Senior Analyst di ActivTrades interpellato da Affaritaliani.it.
"Uno dei nodi principali è rappresentato dall’incertezza energetica, dall’eccessiva burocrazia, dalla mancanza di lavoratori qualificati e dai rischi geopolitici. Considerando che la Germania è il primo partner commerciale dell’Italia, appare chiaro come un suo rallentamento non possa che ridurre la domanda di prodotti italiani dall’ex locomotiva d'Europa", afferma Berlinzani. "La correlazione tra la crescita italiana e quella tedesca nel quinquennio pre-crisi finanziaria (quella del 2008) era molto significativa (0,60), più elevata rispetto a quella con gli altri partner europei (poco più di 0,20 tra Italia e Spagna o Francia)", aggiunge. "Ma nel periodo 2014-2019, dopo la crisi dei debiti sovrani, la sincronizzazione tra Italia e Germania è diminuita molto (0,25), mentre si è rafforzata quella italiana con Spagna (0,50) e Francia (0,66)".
"Il legame con la Germania però resta primario e infatti Berlino rappresenta la principale destinazione dell’export manifatturiero dell’Italia, per un valore di oltre 73 miliardi di euro nel 2023, pari al 12,5% del totale, anche se in misura minore rispetto al passato", conclude l'analista. Insomma, non è solo la stagnazione tedesca a preoccupare, e le ripercussioni potrebbero colpire duramente l'intera Europa, Italia inclusa. Un'economia tedesca in affanno potrebbe trascinare giù l'intera industria europea.