"Glifosato non cancerogeno", il piano dei lobbisti di Trump per salvare Bayer

Secondo il Washington Post una nuova clausola per i pesticidi ridurrebbe cause e multe del colosso tedesco, messo in ginocchio dai danni provocati dal glifosato

di Redazione
Economia

Bayer, la lobby di destra in aiuto al gigante tedesco

C’è una città tedesca di quasi 200.000 abitanti che, se potesse farlo, voterebbe a mani basse Donald Trump. E questo perché, secondo il Washington Post, la Bayer, cuore economico della città, sta cercando di non andare in fallimento usando la Delta Force dei lobbisti americani (in primis quelli repubblicani) per inserire una clausola nella legge sull’Agricoltura. Questo ridurrebbe, almeno in parte, l’incubo delle cause miliardarie legate al glifosate.

La città in questione è Leverkusen, tra Dusseldorf e Colonia, storica sede della Bayer Ag, uno dei leader mondiali nella progettazione, produzione e commercializzazione di prodotti farmaceutici e adesso soprattutto agrochimici con circa 100.000 dipendenti. 

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Le vendite sono distribuite tra prodotti agrochimici (48,8%): erbicidi, fungicidi, insetticidi e prodotti farmaceutici (38%): per la  prevenzione e il trattamento di malattie cardiovascolari e respiratorie, diabete, disturbi del sistema nervoso, prodotti OTC e integratori alimentari (12,7%). Germania (5,1%), Svizzera (1,2%), Europa-Medio Oriente-Africa (23,2%), Stati Uniti (30,6%), Nord America (3,5%), Cina (7,6%), Asia-Pacifico (10%), Brasile (10,4%) e America Latina (8,4%) i paesi di riferimento per le vendite.

Bayer, il lento declino del gigante di Leverkusen

Prima di dire come alcune lobbies Usa (legali al 100%), stiano lavorando per ottenere il miracolo, vale la pena ricordare come il gigante tedesco, sano ma a rischio di ko, sia arrivato sull’orlo del baratro. Nel 2016 l’azione del Gruppo superava di poco i 100 euro, ora non arriva a 27 euro, quasi tre quarti del valore spazzati via. Ma dove è nato quello che poi si è rivelato un “disastro” finanziario, un vero e proprio “nightmare" che sembra non avere fine. 

L’anno fatidico fu il 2016 quando l’allora Ceo Werner Baumann decise l’acquisto, record per l’industria tedesca, del Gruppo Monsanto per 66 miliardi di dollari. Ma i dipendenti non erano assolutamente convinti della bontà della scelta. Il via libera al deal venne però anche favorito dalle rassicurazioni dei più importanti studi legali internazionali riguardo le potenziali vittorie legali contro le cause sui prodotti Monsanto.

Sulla carta l’idea funzionava. Dall’operazione sarebbe nato un leader globale di sementi e agrochimica con una pipeline di prodotti vincenti nell’agrobusiness, dagli antibiotici ai semi geneticamente modificati, fino ai pesticidi. Un accordo tra il diavolo e l’acqua santa. Monsanto ricca di prodotti innovativi e utili, ma ritenuti in alcuni casi discussi per quanto riguarda la salubrità. Bayer esperta, potente, con un’immagine e prodotti da dieci e lode.

Bayer, il deal con Monsanto un boccone quasi "mortale"

Ma nemmeno il più pessimista dell’epoca avrebbe potuto immaginare quanto velenoso si sarebbe dimostrato nel tempo il boccone acquistato a caro prezzo. Nel pacchetto c’era infatti anche  il diserbante Roundup accusato da diversi agricoltori, soprattutto nordamericani, di essere responsabile dello sviluppo di tumori.

E negli Stati Uniti i giudici sono sempre stai inflessibili contro i grandi gruppi, e durissimi contro quelli non americani. Le multe sono stratosferiche. Le ultime due cause, in Missouri e a Philadelphia di due agricoltori che lamentavano di aver avuto lesioni in un caso e preso il cancro nel secondo per l’utilizzo del Round up sono state “bombe” da 1,5 miliardi di dollari la prima e 2,3 miliardi  la seconda. 

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Le sentenze fanno giurisprudenza, e costituiscono un disastro totale per il Gruppo. La coda di richiedenti, per adesso di 170.000 persone, sembra non avere fine. Praticamente i soldi per cercare nuovi prodotti devono essere accantonati per pagare le cause e sembrano non bastare mai.

Bayer, un ultimo tentativo per evitare il Ko

Ecco perché l’ultimo tentativo per evitare il ko, secondo il prestigioso Washington Post (forse l’ultima spiaggia) coinvolgerebbe i lobbisti americani, in particolare quelli di destra. Al Congresso la lobby starebbe cercando di inserire una piccola clausola nel testo-quadro sull’Agricoltura (rinnovo quinquennale). Il focus è che l’Epa (U.S. Environmental Protection Agency) non riconosce il glifosate come cancerogeno.

Quindi la strategia sarebbe quella di far inserire nella nuova legge quadro la clausola di porre su ogni confezione un’etichettatura nazionale su questo concetto. Etichettatura che “peserebbe” sulle azioni degli stati  singoli come Missouri e Idaho dove si concentra la max dei casi. La data limite per questa operazione è settembre. L'escamotage dovrebbe ridurre sia il numero delle cause sia soprattutto il loro peso economico. Insomma un piccolo ultimo spiraglio di luce per il gigante tedesco.

E se i professionisti della politica non dovessero riuscire nell’intento? Ebbene allora le parole di qualche tempo fa del Ceo, l’americano Bill Anderson, riguardo a una eventuale scissione "la nostra risposta è "non ora”, e questo non deve essere frainteso come "mai" potrebbero cominciare ad avere un senso più concreto. Ma la case history da università non è destinata a finire tanto presto e, mentre Leverkusen fa il tifo per Trump, alcune Big Pharma, Pfizer in primis, sono sulla sponda del fiume ad attendere che possa passare qualcosa di interessante da “mangiarsi” in un solo boccone.

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