Guerra Ucraina, big petroliferi in fuga da Mosca: Bp-Equinor escono da Rosneft

La major britannica dismetterà la sua quota del 19,75% che detiene dal 2013. Il colosso norvegese Equinor cesserà gli investimenti: il patrimonio è di 1,2 mld

Economia
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Bernard Looney, amministratore delegato del gruppo britannico Bp, si dimetterà con effetto immediato dal board russo

I big del petrolio fuggono da Mosca: la major britannica Bp ha annunciato che dismetterà la sua quota del 19,75% nel gigante petrolifero di stato russo Rosneft, che manteneva dal 2013: attualmente la quota è valutata a 14 miliardi di dollari.  Sulla stessa scia anche il colosso dell'energia norvegese Equinor: cesserà i suoi investimenti in Russia e si ritirerà dalle sue joint venture nel Paese, a seguito dell'invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca. Controllata al 67% dallo stato norvegese, Equinor aveva alla fine del 2021 un patrimonio di 1,2 miliardi di dollari in Russia, legata ad una partnership con il gruppo petrolifero Rosneft dal 2012.

"Nella situazione attuale, consideriamo la nostra posizione insostenibile", ha affermato l'amministratore delegato della società norvegese, Anders Opedal, in un comunicato stampa. "Cesseremo tutti i nuovi investimenti nelle nostre operazioni russe e inizieremo il processo di uscita dalle nostre joint venture in modo coerente con i nostri valori", ha aggiunto. La compagnia norvegese produce circa 25.000 barili di petrolio equivalente al giorno in Russia, una frazione della sua produzione totale che si aggira intorno ai 2 milioni di barili al giorno.

"Siamo tutti profondamente turbati dall'invasione dell'Ucraina, che rappresenta una terribile battuta d'arresto per il mondo, e pensiamo a tutti coloro che stanno soffrendo a causa dell'operazione militare", ha affermato Opedal. La Norvegia non è membro dell'Unione Europea ma ha applicato le stesse sanzioni dell'Ue contro la Russia dall'inizio della crisi in Ucraina. Ieri il governo norvegese ha anche annunciato che il fondo sovrano del Paese si sarebbe completamente disimpegnato dalla Russia, dove alla fine del 2021 aveva 2,5 miliardi di euro in azioni e obbligazioni.

Sulla stessa linea anche il Ceo di Bp Bernard Looney che in una nota ha sottolineato: "Come molti, sono stato profondamente scioccato e rattristato dalla situazione che si sta svolgendo in Ucraina e il mio cuore va a tutte le persone colpite. Ci ha fatto ripensare fondamentalmente la posizione della BP con Rosneft". 

"Bp ha subito una pressione senza precedenti sia dal regolatore che dai suoi azionisti. La decisione della Bp è stata preceduta da una campagna mediatica occidentale piena di rapporti e conclusioni false", ha detto Rosneft in una dichiarazione sul suo sito web, tradotta da The Associated Press. "La decisione del più grande azionista di minoranza di Rosneft distrugge la cooperazione di successo di 30 anni delle due società". 

(Seguono le ricadute energetiche a livello mondiale....) 

Guerra Ucraina, la major britannica abbandona Rosneft: il primo esempio di auto-sanzione

La decisione di Bp di abbandonare la sua partecipazione nel gigante petrolifero Rosneft è il primo esempio di alto profilo dell'auto-sanzione da parte delle aziende dei loro legami commerciali con la Russia. Un processo che potrebbe avere implicazioni importanti - a breve e lungo termine - per i mercati energetici.

La drammatica uscita della Bp dalla sua quota del 19,75% di Rosneft potrebbe costare alla major petrolifera quotata a Londra fino a 25 miliardi di dollari, un prezzo pesante da pagare "per fare la cosa giusta" in risposta all'invasione russa dell'Ucraina. La rottura di un solido legame durato tre decenni da parte della Bp verso la Russia fa pressione anche su altre major petrolifere occidentali, spingendole a riconsiderare i loro rapporti commerciali con Mosca.

Questi includono Shell, che possiede il 27,5% dell'impianto di gas naturale liquefatto (Gnl) Sakhalin-2 sull'isola russa di Sakhalin nel Pacifico, e la francese TotalEnergies, che come una partecipazione del 19,4% in Novatek, una partecipazione del 20% nell'impresa Yamal LNG e il 21,6% nel progetto Arctic LNG 2. Se altre societa' occidentali cercheranno di abbandonare le loro operazioni russe, è probabile che le ramificazioni siano significative. Le implicazioni nel breve termine sono che quelle società occidentali probabilmente non solleveranno più carichi di petrolio greggio e Gnl da queste operazioni.

Ciò significa che non acquisteranno, scambieranno o trasporteranno i volumi che avevano in passato. Questo non vuol dire necessariamente che il greggio e il Gnl non verranno venduti o consegnati, ma renderà più difficile commercializzarli per le società russe coinvolte e vendere i carichi che venivano presi dalle major petrolifere occidentali prima. Se a questo aggiungiamo anche la rimozione di alcune banche russe dal sistema di pagamento internazionale Swift, si intuisce come il commercio di greggio russo e Gnl sia appena diventato sostanzialmente piu' complicato.

Non importa che le sanzioni occidentali contro la Russia, Putin e la sua cerchia ristretta non prendano direttamente di mira le materie prime energetiche, perchè è comunque probabile che la maggior parte delle societa' commerciali, raffinerie, servizi pubblici, spedizionieri, banche e assicuratori riterranno che nelle circostanze attuali fare affari con la Russia sia troppo rischioso.

E anche se le aziende tentassero di continuare il business con Mosca, è probabile che diventi tutto piu' complicato. E quindi i volumi delle esportazioni potrebbero ridursi poiche' ci vuole piu' tempo per organizzare i carichi e, al fine di incentivare le aziende a continuare a fare affari con la Russia, il prezzo del suo greggio e GNL, e probabilmente anche del carbone, dovra' essere sostanzialmente al di sotto delle alternative. Anche le implicazioni a lungo termine per le esportazioni di energia della Russia sono profonde.

In apparenza puo' sembrare praticamente impossibile per il mondo cavarsela senza il paese che produce il 10% del greggio mondiale e fornisce il 40% del gas naturale all'Europa, ed e' improbabile che le esportazioni di energia della Russia scendano a zero.

Ma nel tempo gli acquirenti cercheranno di allontanarsi dalle forniture russe, specialmente i paesi occidentali. Nel tempo i flussi di petrolio potrebbero cambiare, con paesi come la Cina e l'India che acquisterebbero piu' petrolio russo, ma solo se il prezzo calera'. Il Gnl russo e il gas naturale potrebbero essere piu' difficili da sostituire nel breve o addirittura a medio termine.

Ma l'aggressione di Putin e' stato un importante campanello d'allarme per i leader europei, che probabilmente cercheranno soluzioni a breve termine come l'acquisto di piu' GNL dal mercato spot, cercando di aumentare la produzione domestica di gas naturale e persino posticipando il ritiro della generazione a carbone e nucleare. Col tempo maggiori investimenti nelle energie rinnovabili e nello stoccaggio delle batterie contribuiranno a ridurre la dipendenza dal gas russo. Il punto e' che l'invasione di

Putin ha probabilmente dato il via a un processo che non sara' fermato, anche se la Russia interrompesse le azioni militari in Ucraina, ritirasse le truppe e cercasse una soluzione diplomatica al confitto. I cambiamenti che stanno arrivando alle esportazioni di energia della Russia saranno probabilmente strutturali e potrebbero vedere Mosca diventare sempre piu' dipendente da una manciata di grandi acquirenti che non vorranno piu' avere a che fare con un regime autoritario e instabile. 

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