I sauditi si sono rassegnati: svanisce l'obiettivo dei 100 dollari al barile
La concorrenza di nuovi produttori ed il calo cinese dei consumi costringono Riad a rivedere i propri piani. E ad aumentare di nuovo la produzione di greggio a fronte di un crollo dei prezzi
Il dilemma del petrolio dell’Arabia Saudita
L’Arabia Saudita fa i conti con i prezzi bassi del petrolio e ammette che l’obiettivo dei 100 dollari al barile, garanzia di totale sostenibilità dei conti pubblici del regno wahabita, non sarà raggiungibile a fine 2024 e nel prossimo anno. A rivelarlo il Financial Times, che ha indicato come il principale esportatore di greggio al mondo sia pronto a interrompere la strada dei tagli alla produzione di petrolio orientati a tenere alto artificialmente il prezzo.
Greggio internazionale sotto i 70 dollari al barile
Il Brent, principale indicatore del greggio internazionale, è sotto i 70 dollari al barile, contro la media di 99 raggiunta nel 2022. L’indebolimento della domanda del primo consumatore al mondo di greggio, la Cina, e l’intervento degli Stati Uniti per alzare la produzione al fine di spingere al ribasso i prezzi e tagliare le gambe all’inflazione energetica hanno concorso a portare a un netto ribasso le quotazioni.
L'Arabia deve evitare un ridimensionamento del mercato potenziale
La sfida di Casa Saud è chiara: la priorità di Riad oggi è difendere la quota di mercato su scala globale da possibili sfide in un mondo in cui la domanda di oro nero ha superato, due anni fa, i 100 milioni di barili al giorno. Dieci anni fa fu l’aumento massiccio della produzione saudita a spingere al termine la lunga era di barili sopra i 100 dollari quando Riad puntò a silurare l’industria dello shale oil nordamericana. Oggi le priorità sono altre: evitare che, in un mondo dove alleati e rivali nel mercato del greggio sono pronti a riversare l’offerta e in cui nuovi produttori come la Guyana si affacciano all'orizzonte, il mercato potenziale per Riad si ridimensioni.
Perchè l'Arabia aumenta la produzione di petrolio (spingendo i prezzi al ribasso)
Alcuni Paesi dell’Opec+, come Iraq e Kazakistan, si erano di fatto tirati fuori dalle decisioni di tagliare la produzione, “barando” per sottrarre posizioni a Paesi come l’Arabia Saudita nel mercato dell’oro nero mentre Riad tagliava l’estrazione. “Attualmente - ricorda il Ft - il Paese sta pompando 8,9 milioni di barili al giorno, il livello più basso dal 2011, se si escludono la pandemia di Coronavirus e l'attacco del 2019 all'impianto di lavorazione della compagnia petrolifera statale ad Abqaiq. Secondo il piano posticipato di inizio dell'ammortamento dei tagli, l'Arabia Saudita aumenterà la sua produzione mensile di ulteriori 83mila barili al giorno ogni mese a partire da dicembre, incrementando la sua produzione di un totale di 1 milione di barili al giorno entro dicembre 2025”.
La fine dei tagli spinge al ribasso i prezzi, che scontano questo effetti, e la speranza del leader di Riad, il principe ereditario Mohammad bin Salman, è che la diversificazione del piano Saudi Vision 2030 prenda piede e l’economia del Regno delle Spade non sia più greggio-dipendente. La dinamica andrà valutata in profondità nei prossimi mesi: la speranza di Riad è che l’arrivo della stagione fredda spinga molti produttori, dagli Usa alla Russia, a riorientare all’interno la produzione e le scorte, aprendo la strada a maggiori prospettive per l’export del Paese. E al contempo, l’Arabia Saudita può permettersi, col tesoretto accumulato nel biennio della crisi energetica, una fase di relativa maretta.
In attesa di capire se il “valore magico” di 100 dollari al barile sia una soglia inderogabile. O se l’efficienza e l’avanzamento tecnologico possano portare a una quota più bassa il target oltre cui il bilancio saudita è coperto dall’oro nero.