Il Fondaco dei Tedeschi chiude i battenti con un rosso da 100 milioni: un brutto colpo per Arnault (Lvmh) e un boccone amaro per Alajmo
Dfs, il ramo di retail del gruppo LVMH, ha licenziato 226 dipendenti. Il centro commerciale di lusso veneziano chiuderà entro settembre 2025, quando scadrà il contratto di locazione dell'immobile di proprietà del gruppo Benetton
Fondaco dei Tedeschi a Venezia
Chiude il Fondaco dei Tedeschi: l'annuncio choc di Dfs (Lvmh)
La notizia della chiusura del Fondaco dei Tedeschi arriva come un fulmine a ciel sereno. A meno di otto anni dall’apertura, il tempio del lusso nel cuore della città della laguna abbasserà definitivamente la saracinesca entro settembre 2025 (quando scadrà il contratto di locazione con il gruppo Benetton, proprietario dell'immobile), con un impatto devastante che va ben oltre i 226 licenziamenti: si parla di un intero indotto di 500 persone.
I numeri della debacle
Il 14 novembre è arrivata la doccia fredda, la comunicazione ufficiale della chiusura. Un messaggio da parte di Dfs, il gigante del travel retail con sede a Hong Kong, controllato dal colosso LVMH di Bernard Arnault. Nel suo comunicato, il gruppo spiega che la chiusura è il risultato di una “ristrutturazione generale” dovuta a “situazioni e prospettive economiche molto critiche” per il gruppo. Infatti il Fondaco dei Tedeschi chiude dopo cinque anni di pesanti perdite per circa 100 milioni di euro. Il palazzo, un tempo sede delle Poste, ospitava dal 2016 un centro commerciale di alta gamma frequentato principalmente da turisti provenienti da Paesi orientali e mediorientali.
Tuttavia, la pandemia e le restrizioni legate al Covid hanno gravemente influito sul fatturato, con perdite di 30,6 milioni di euro nel 2020 e 24,4 milioni nel 2022. Anche nel 2023 e nei primi dieci mesi del 2024, le perdite sono continuate, oscillando tra i 6 e i 17 milioni di euro. La causa principale sarebbe la riduzione del flusso turistico dalle aree asiatiche, in particolare Cina, Giappone e Russia, che erano il pubblico di riferimento per il negozio di lusso.
La storia
Il Fondaco dei Tedeschi non è solo un negozio di alta moda, è parte della storia di Venezia. Il palazzo, risalente al XIII secolo, è sempre stato legato al commercio, dapprima come sede della comunità tedesca di Venezia, poi come quartier generale dei mercanti Fugger, e nel Novecento come sede delle Poste Italiane. Dopo un’accurata ristrutturazione, è diventato nel 2016 un luxury store gestito da Dfs, il ramo di retail del gruppo Lvmh, che l’ha trasformato in un polo di attrazione turistica di livello mondiale, simile a ciò che La Rinascente rappresenta in molte città italiane. Brand di lusso, una terrazza con vista sul Canal Grande, e perfino un bistrot degli Alajmo Il palazzo ospita anche mostre ed eventi culturali, sfruttando l'architettura, con una grande corte centrale e i piani distribuiti lungo il perimetro dell'edificio.
Alajmo: due milioni di euro investiti
Le autorità locali, tra cui il sindaco Luigi Brugnaro e l’assessore al turismo Simone Venturini, denunciano la mancanza di dialogo da parte di Dfs e convocano tavoli con i sindacati. Venturini, non nasconde la delusione: “Ci amareggia non aver ricevuto alcun tipo di preavviso.” Ma non è l'unico a essere sconfortato.
Raffaele Alajmo, noto ristoratore veneziano aveva investito 2 milioni di euro nel bistrot "Amo" all'interno del Fondaco, ha appreso la notizia dai giornali e la sua amarezza, in un'intervista al Corriere della Sera, è alquanto palpabile: “Non ci hanno avvisati, non abbiamo un piano B. Ma una cosa è certa: nessuno dei nostri 25 dipendenti resterà senza lavoro”. Alajmo era talmente all'oscuro delle sorti del Fondaco che aveva appena introdotto un nuovo menu in chiave orientale, un tentativo di attrarre ancora di più i turisti asiatici, proprio mentre le perdite continuavano ad accumularsi.
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Venezia senza il Fondaco
Sebbene Dfs continui a crescere a livello globale, l'esperienza veneziana è da considerarsi un fallimento. Se da un lato i numeri locali raccontano una crisi, dall’altro emerge la sensazione che Venezia, già provata dal calo demografico e dal turismo di massa, venga sacrificata in nome di strategie globali più remunerative. Oltre tutto, per quanto simbolo del turismo di élite, il capoluogo veneto non è più in grado di attrarre i flussi economici che una volta giustificavano l’investimento di colossi come lo stesso Lvmh. Tuttavia il vuoto lasciato dal gigante del lusso rischia di trasformarsi in un monito per l’intero settore del retail di alta gamma, ma anche per le città che fanno del turismo una monocultura economica.