Infratel alza il velo sui bandi vinti da Open Fiber. Il nodo dei contributi

La sentenza del Tar che chiede a Infratel di dare accesso agli atti di gara rischia di scatenare un putiferio

di Marco Scotti
Economia
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Secondo il Piano Banda Ultralarga (BUL), realizzato il 3 marzo 2015 e avviato ufficialmente il 1° gennaio 2018 entro il 31 dicembre 2022 6.232 comuni dovranno essere coperti da una connessione veloce. Attenzione perché le date sono importanti: il Piano BUL era stato pensato e realizzato quando – bei tempi… - il Covid era paragonabile come probabilità allo sbarco degli alieni e nessuno immaginava che ci sarebbe stato un Pnrr a scrivere nero su bianco la centralità del digitale nelle nostre vite. A settembre 2021, però, i comuni terminati sono 1.803, ovvero poco più del 30%.

Oggi, a maggior ragione, avere una connessione efficiente significa non soltanto che tutti (e non soltanto gli abitanti delle grandi città) possono beneficiare di una rete stabile che permetta di lavorare e di far transitare enormi moli di dati lungo i nodi dell’internet italiano. Ebbene, secondo il sito ufficiale del Piano banda Ultralarga, il primo obiettivo era che l’85% della popolazione venisse raggiunta da una connessione ad almeno 100 Mbit/sec entro il 2020.

Ma secondo il rapporto Desi, al 31 dicembre scorso l’Italia era al 17° posto per “Connettività”: solo il 13% delle famiglie italiane aveva un abbonamento di rete fissa ad almeno 100 Mbit/s, mentre la media UE è del 26%.

Ora arriva un altro colpo di scena: il Tar ha accolto il ricorso di Fastweb nei confronti di Infratel che dovrà quindi fornire la documentazione con cui Open Fiber si è aggiudicata i bandi nel 2017. Una richiesta che fino ad ora la stessa Infratel aveva tacitamente negato, ma che ora dovrà essere resa operativa entro 30 giorni.

Nel dispositivo (che Affaritaliani.it può pubblicare integralmente) si legge che “la conoscenza dei documenti richiesti si rivela quindi indispensabile per  comprendere in che misura i costi in base ai quali OF ottiene aiuti pubblici siano stati modificati e a valutare se i prezzi di accesso del Listino OF per le aree bianche non debbano a loro volta essere modificati” per quanto riguarda Fastweb. Ma è ovvio che tutti gli operatori di telecomunicazioni potranno ora cercare di capire meglio che cosa sta succedendo.

Nella relazione dello stato avanzamento lavori (https://bandaultralarga.italia.it/wp-content/uploads/2021/07/Relazione-Stato-avanzamento-BUL_final_30062021.pdf) si legge anche che “per ciascuna delle 4 fasi di gara 1 e 2 e per le tre fasi della gara 3 (si tratta di diversi bandi aggiudicati da OF, ndr) sono stati riscontrati dei ritardi da parte di Open Fiber nella presentazione della progettazione definitiva e per tali ritardi sono state applicate le relative penali contrattuali per un ammontare complessivo di € 3.808.750. Infratel Italia verifica tutti i progetti definitivi per riscontrare il rispetto degli obblighi contrattuali e li approva”.

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A questo punto si levano principalmente due domande. Sul sito di Infratel si legge che il Governo italiano ha scelto di sostenere, tramite fondi nazionali (FSC), fondi comunitari (FESR e FEASR, assegnati dalle Regioni al Ministero dello Sviluppo Economico in base ad accordi Stato-Regioni) e fondi regionali, un modello ad “intervento diretto”, autorizzato dalla Commissione Europea ai sensi della disciplina sugli aiuti di Stato. “L’intervento pubblico in tali aree è ritenuto necessario per correggere le disuguaglianze sociali e geografiche generate dall’assenza di iniziativa privata da parte degli operatori e consentire, pertanto, una maggiore coesione sociale e territoriale, mediante l’accesso ai mezzi di comunicazione tramite la rete a banda ultra larga”.

Ora, poiché però il ritardo c’è – come testimoniato dalle sanzioni – la domanda è: al di là delle multe, il contributo pubblico rimane invariato o è sceso? E poi, proprio perché il servizio stenta a decollare, quale dovrebbe essere il prezzo “wholesale”, cioè b2b da applicare?

Nella sentenza del Tar si leggono altri passaggi degni di nota, poiché si fa riferimento a una modifica strutturale degli accordi già siglati con Open Fiber. In particolare si legge nel dispositivo del tribunale amministrativo che “l’istanza di accesso di Fastweb lungi dall’avere un contenuto meramente esplorativo, trova il suo fondamento in una serie di modifiche in concreto apportate ai documenti oggetto di pubblicazione e che dagli stessi documenti pubblicati tuttavia non emergono in modo manifesto, quali quelle concernenti: il cronoprogramma, in quanto OF avrebbe richiesto una proroga di ben 3 anni per la costruzione dell’infrastruttura; la riduzione delle unità immobiliari da interconnettere mediante l’infrastruttura da realizzare in concessione, che sarebbe di consistenza superiore al 20%, senza l’evidenza che a tale riduzione sia conseguita una riduzione proporzionale dell’aiuto pubblico da corrispondere al concessionario; la copertura offerta da OF in termini di banda e di tecnologia, su cui non vi sarebbe adeguata chiarezza; l’infrastruttura ottica Ftth (la cui realizzazione rappresenta il principale obiettivo dell’intervento pubblicamente finanziato), inoltre, pare essere stata molto ridimensionata, riconvertendo su tecnologia Fwa (Fixed wireless access) moltissimi Comuni; la qualità delle opere in via di realizzazione, essendovi il dubbio che essa corrisponda a quella prevista dalla concessione; i punti di consegna neutri (Pcn), ossia le centrali locali ottiche di Open Fiber dove si attestano gli altri operatori, inizialmente previsti in circa 600 per le aree ricomprese nelle prime due gare e che sarebbero stati aumentati fino a circa 3.000; le norme tecniche allegate alla documentazione di gara, che definivano con maggiore dettaglio le prestazioni e le modalità di realizzazione dell’infrastruttura, i collaudi, l’esecuzione della concessione e le relative verifiche”.

Ora, in attesa di leggere gli accordi siglati, non rimane che un’urgenza da chiarire: il piano “Italia Digitale” voluto dal ministro per l'Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale Vittorio Colao prevede che entro il 2026 il nostro Paese debba avere una connessione veloce (con la famosa neutralità tecnologica e quindi non solo tramite fibra), dando però l’addio a modalità vetuste come il FTTC (Fiber To The Cabinet) o, peggio ancora, il rame. Sul digitale l’Italia si gioca l’osso del collo, non ci sono più margini d’errore.