La moda riparte? Solo i marchi di lusso. Ma gli altri.. Ecco le criticità

Antonio Franceschini (CAN Federmoda) ad Affari: "Serve una moralizzazione economica". L'intervista

Di Monica Camozzi
(foto Lapresse)
Economia
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La moda riparte? Forse i grandi gruppi del lusso. O chi ha una catena distributive capillare e un brand riconoscibile, tale da favorire gli acquisti online. Ma per gran parte del comparto, per le piccole medie aziende e I marchi artigianali, la sofferenza è ancora tantissima. Infatti stiamo chiedendo la proroga della Cassa integrazione a fine dicembre 2021”.

Antonio Franceschini, responsabile nazionale di CAN Federmoda, non cede a facili entusiasmi di “ripresa post Covid”. Perché al lato pratico non vi è alcun “post”.

A CNA Federmoda sono iscritte circa 25.000 imprese. Quindi la panoramica che la Federazione ha sul comparto moda è molto ampia.

“Chiederemo un prolungamento della cassa integrazione al 31/12/2021, un allungamento della data di ammortamento da 6 a 10 anni per i mutui con garanzia pubblica Covid, un incremento dei plafond per i prossimi 3 anni per favorire l’accesso ai bandi” sottolinea Franceschini, che a dire il vero ha messo sul tavolo della discussione ottime proposte.

“Delle 58mila aziende che compongono il settore, gran parte è composta da piccole e medie imprese”. Come riportare investimenti e consumi su quelle che sono sempre state le prerogative di italianità?

Serve moralizzazione economica. E ritorna al centro la Blockchain

Una frase salta all’occhio, nel piano elaborato da CNA Federmoda. Moralizzazione economica.  Ovvero che contributi, sostegni, comunicazioni premianti vengano indirizzate seguendo un’ottica di valore reale.

“Rispetto dei CCNL, norme di sicurezza del lavoro e ambientali”, ma non solo.

il valore di competenze e di know-how made in Italy nel settore moda che gran parte del mondo ci invidia -anche perché è uno dei pochi rimasto integro e completo- non è “visibile” in nessun luogo e in nessun sito in nessun documentario”.

Ovvero, il nostro sistema basato sul valore non può reggere una mera competizione di prezzo. E il concetto di sostenibilità non è solo ambientale ma economico. Per questo CNA chiede che siano avviate campagne di sensibilizzazione per un consumo consapevole. In modo tale non solo da regolamentare i prezzi e i valori all’interno della filiera produttiva ma anche verso il consumatore finale.

Sia chiaro, insomma, ciò che stiamo comprando. La domanda “quanto costa” è obsoleta. Sarebbe corretto chiedere quanto costa socialmente, in termini di impatto ambientale e sfruttamento della forza lavoro.

Per questo, CNA riporta al centro il progetto blockchain che MISE avviò tempo fa.

“Le risorse investite dallo Stato sul settore devono essere impegnate per garantire il pagamento di dipendenti e fornitori. Promuoviamo un piano artigianato 4.0 che sostenga ammodernamento e innovazione tecnologica senza trascurare il valore aggiunto delle lavorazioni manuali”. Insomma un sistema che integri tecnologia e tradizione e che metta di fronte i consumatori a informazioni chiare.

Per sostenere la ricerca  CNA rilancia misure come il credito d’imposta design e ideazione estetica.

E che i finanziamenti non siano subordinati al cosiddetto “click day” ma attivando la selezione sui progetti più meritevoli.

Transizione ecologica? Deve essere redditiva e ancora non lo è.

“A oggi la redditività economica dei modelli di business circolari non è garantita dai sistemi di mercato”. Inoltre, il mostro burocratico stritola i mercati legati al riciclo.

Ma la raccolta differenziata del tessile è alle porte. (dal 2025 in Italia anticipata al gennaio 2022).

Anche qui, CNA Federmoda sostiene con forza una specifica misura per un “Piano nazionale per la realizzazione di termovalorizzatori di ultima generazione”, in grado di sviluppare a livello nazionale un piano per lo smaltimento dei rifiuti speciali.

E anche qui, il Fondo per la crescita sostenibile mette a disposizione strumenti da affinare affinché anche le imprese meno strutturate possano accedere con più facilità.

Energia? Nonostante la riforma del 2015 costa più ai piccoli che ai giganti

Nonostante con la “riforma” del 2015 si sia riusciti a coinvolgere anche le PMI nella disciplina sulle agevolazioni tariffarie per il consumo di energia, ad oggi le imprese  energivore sono poco più di tremila e per larga parte sono aziende di grandi dimensioni.

De facto, una impresa di piccolo-medie dimensioni, o una impresa artigiana, con consistente consumo energetico potrebbe essere esclusa; difatti, come anche sottolineato dall’Osservatorio Energia 2020 del Centro Studi della CNA Nazionale, sono gli artigiani e le micro imprese, ossia le realtà che rientrano nella fascia di consumo fino a 20 MWh e che rappresentano una grossa fetta del tessuto imprenditoriale italiano, verso cui incombe da un lato il peso di un costo energetico che supera quanto pagato dalle aziende di grandi dimensioni, dall’altro lato l’onere per la rete di distribuzione che è 7 volte maggiore rispetto a quello sostenuto dalle imprese energivore.

Alla luce di ciò, CNA Federmoda ritiene essenziale colmare definitivamente il gap attraverso misure maggiormente orientate verso le aziende meno strutturate, ossia: introdurre una classificazione non basata sui consumi elevati di energia elettrica, ma sull’incidenza di questi ultimi sull’intero fatturato.