Quanto vale la rete unica? Due banker spiegano ad Affaritaliani come calcolare
Da mesi circolano cifre differenti e molto distanti: c'è chi parla di 16-18 miliardi e chi, come Vivendi, ritiene che l'asset debba "pesarne" 31. Gli scenari
Il ballo dei numeri sul prezzo della rete unica
C’è chi dice che vale tra i 16 e i 18 miliardi, chi 23, chi addirittura 31: nella ridda di voci che si rincorrono sulla valutazione della rete – o, per meglio dire, del prezzo che viene fatto di questo asset strategico – si continua a parlare di numeri molto distanti tra loro che rendono complesso anche solo capire se ci sarà o meno la possibilità di sedersi intorno a un tavolo. Open Fiber l’ha detto chiaramente: si fa solo a determinate condizioni, altrimenti esiste già un piano industriale “stand alone” che può essere portato avanti. Ma in molti sono convinti che si tratti di un bluff, per poter ottenere uno sconto sul prezzo. Perché in effetti ci troviamo di fronte a un'autentica partita di poker, con rilanci e piatti che "piangono". Arnaud De Puyfontaine, amministratore delegato di Vivendi e membro del board di Tim, ha fatto il suo prezzo: 31 miliardi. E qualcuno ha considerato questa richiesta particolarmente elevata. Ma è difficile pensare che un manager così accorto abbia “sparato” una cifra a caso. Affaritaliani.it ha avuto la possibilità di parlare con due esperti del settore che hanno fornito delle valutazioni completamente diverse.
Rimane però una domanda cui nessuno vuole rispondere, nonostante il tempo stringa: nel normale gioco delle parti il compratore offre al ribasso e il venditore chiede al rialzo. Ma una differenza tra gli 8 e i 15 miliardi su un asset di questo tipo non rientra nella normale trattativa, sembra più una distanza siderale difficile da colmare. Il 30 settembre dovrebbe essere presentata un’offerta informale che dovrebbe diventare vincolante il 31 ottobre. Ma se questa fosse “oltraggiosamente” bassa, Vivendi, in qualità di primo azionista di Tim, si siederebbe comunque al tavolo delle trattative o se ne andrebbe direttamente sbattendo la porta? Di seguito riportiamo due diverse visioni per la valutazione della rete: la prima, che la stima intorno ai 23 miliardi, la seconda che conferma i 31 indicati da Vivendi.
Rete unica: perché la valutazione corretta sarebbe intorno ai 23 miliardi
Rimane amplissima la distanza di valutazione sulla rete tra Vivendi e Cdp. Quest’ultima, per ovvie ragioni, non può dare una stima, ma le notizie trapelate nei giorni scorsi che parlano di una certa “irritazione” in Via Goito fanno capire come vi sia una notevole disparità. I francesi, si sa, hanno già detto da tempo quanto vorrebbero per la rete, cioè 31 miliardi. Ma come si è arrivati a questa valutazione? Affaritaliani.it, grazie al prezioso aiuto di un analista di una importantissima banca d’investimento, è riuscita a realizzare una complicata – ma accurata – definizione degli asset che compongono la rete e, di conseguenza, quale sarebbe il valore corretto: circa 23 miliardi di euro. Intanto partiamo dall’assunto che il valore della rete si compone della somma di tante parti diverse: FiberCop, cioè la parte più “nobile” perché è quella che porta la rete nelle case; Sparkle, primo fornitore di servizi wholesale internazionali in Italia; la rete primaria, cioè quella “storica” che rappresenta l’infrastruttura totale. A questo bisogna sommare la sinergia con Open Fiber.
Altro tema fondamentale: non si può prescindere dai multipli di mercato riconosciuti per ciascun asset. Per multiplo si intende un parametro – fisso a seconda delle varie industry – che permette di stimare per quale numero debba essere moltiplicata l’Ebitda per avere una valutazione congrua di un determinato bene che si vuole scambiare. Ma non basta: molto dipende anche dal compratore, da quanti e quali sinergie si possono realizzare e quale sia il fabbisogno d’investimenti per la manutenzione e le nuove coperture. Quindi, è sicuramente difficile stabilire con certezza un prezzo. Ovvio che Vivendi, in quanto venditore, sovrastimi l’asset a disposizione.
Eppure ci sono alcuni numeri che possono essere impiegati. L’Ebitda della Netco (la società che gestisce la rete di Tim dopo la separazione dalla ServiceCo) è di circa 2,2 miliardi. Se i francesi vogliono 31 miliardi, siamo a circa un multiplo di 14x. Ma attenzione: Tim ha venduto meno di anno fa FiberCop a 8.5x (cioè 7,7 miliardi vista Eitda da 900 milioni) a Kkr consentendole di prendere il 37.5%. La stessa FiberCop rappresenta l’asset più pregiato della rete Tim perché, come detto, arriva direttamente nelle case degli italiani. Viene dunque da pensare che o il cda di Tim, in cui siede anche il ceo di Vivendi, Arnaud De Puyfontaine, ha venduto a un multiplo tropo basso, oppure la valutazione data dai francesi è decisamente troppo alta.
Altro numero: per un asset interamente in fibra, senza più il rame, Telefonica in Spagna ha applicato un multiplo addirittura di 27x. Ma si tratta di una rete in aree rurali e con clienti cablati, dove chi compra ha un chiaro vantaggio competitivo perché nessun operatore Ftth avrebbe interesse a investire in aree a basso ritorno sugli investimenti, cioè quelle che in Italia ricadono sotto il nome di aree grigie e bianche. Inoltre, quella rete è stata venduta per 2 miliardi, cioè la scala conta: si può anche arrivare a “strapagare” per un asset di dimensioni contenute. E qui arriva la domanda a Vivendi: perché e dov’era quando ha accettato di vendere FiberCop a 8,5 come multiplo. Cioè, la parte più “pregiata” viene considerata meritevole di 7,7 miliardi complessivi e la restante infrastruttura di rete dovrebbe essere valutata 23,3 miliardi, cioè circa 18 volte l’Ebitda della NetCo.
Peccato che parliamo della rete primaria, meno pregiata perché più replicata dai competitor e quindi ridondante. Arriviamo quindi alla definizione del valore complessivo della rete: se si valorizzasse l’intera rete con un multiplo di 9, cioè superiore a quello stabilito per la parte “nobile” di FiberCop, si arriverebbe a poco meno di 20 miliardi. A questi bisognerebbe sommare le sinergie con la rete unica di Open Fiber che ammonterebbero a 5,5 miliardi. Di solito, in questo tipo di operazione, il compratore riconosce un 50% delle sinergie, per avere un ritorno congruo che giustifichi il suo investimento. Il che significa che la rete potrebbe valere tra i 22 e i 23 miliardi di euro.
Perché la valutazione di Vivendi sulla rete non è fuori mercato
Affaritaliani.it ha avuto la possibilità di parlare con un banker di primaria importanza in Italia, che ha permesso di vedere i dati da una prospettiva differente. Prima di tutto per quanto concerne FiberCop. Il multiplo indicato di 8,5x è sì più basso della media del comparto, ma perché è stato impiegato per l’acquisizione di una minoranza. Se ci fosse stato il controllo della società, invece, il dato sarebbe stato sensibilmente più alto. Secondo punto sempre relativo a FiberCop: all’aumentare del tempo dal closing dell’operazione con Kkr sale anche la quota di rete in fibra rispetto a quella in rame, quindi il valore cresce in maniera proporzionale. Terzo e forse più importante punto: nel caso di rete unica, l’operatore si muoverebbe in uno scenario in cui non ci sarebbe competizione. È questo il punto dirimente. L’operazione FiberCop era stata realizzata in uno scenario in cui altri player, specie nelle aree nere, concorrevano.
C’è poi un ulteriore tassello da tenere a mente: Tim andrebbe a perdere l’asset della rete e si troverebbe in una situazione unica in Europa, ancorché richiesta dall’Unione Europea per approvare il progetto di rete unica. L’ex-Sip, infatti, sarebbe un incumbent che non detiene più quote della rete. Per questo, nella richiesta che viene fatta da Vivendi si tiene conto di questa sorta di compensazione o risarcimento. Perché una volta che lo scorporo tra NetCo e ServiceCo sarà completato, gli azionisti si ritroveranno con una società molto diversa da quella di prima. Negli altri Paesi vengono cedute solo porzioni dell’infrastruttura, non la rete nella sua interezza. Un simile esempio è avvenuto solo in Nuova Zelanda, ma si tratta di un mercato completamente diverso per bacino d’utenza e dimensioni.
Ancora, sempre dal punto di vista di tematiche più “intangibili” e più difficilmente prezzabili, è facile pensare che dal punto di vista regolatorio verranno riconosciuti dei benefici alla rete unica sul modello del Rab (Regulatory Asset Base, meccanismo secondo cui le aziende vengono remunerate sulla base di criteri definiti ex ante allo scopo di evitare comportamenti abusivi connessi alla posizione dominante). Perché sicuramente le Authority, nel momento in cui la rete unica dovesse concretizzarsi, andranno a regolare l’infrastruttura. E questo beneficio deve essere prezzato.
Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, inoltre, per dare una valutazione alla rete di Tim Vivendi ha scelto una modalità che si chiama Dividend Discount Model, con un dividendo annuo prefissato nell’ordine del 7-8%. Si tratta dello stesso schema applicato da Cdp, Macquarie e Blackstone per l’acquisizione di Autostrade. Questo perché si ritiene che la rete unica, proprio come la rete autostradale, possa rappresentare un asset fruttifero negli anni a venire per la sua situazione di assenza di mercato competitivo. Senza dimenticare, infine, il ruolo di catalizzatore che avrà il Pnrr, che ha destinato al digitale circa 50 miliardi di euro e che dovrà necessariamente poggiare su un’infrastruttura di rete efficiente.
Ricapitolando: la sola rete vale circa 25 miliardi, cui aggiungere altri 6 miliardi che comprendono il "risarcimento" per Tim di non essere più incumbent proprietario della rete, la possibile Rab e i ricavi accessori che derivano dall'assenza di competizione sul mercato. A questo, è bene ricordarlo, bisogna aggiungere le sinergie, che valgono - a seconda delle stime - alneno 4,2 miliardi e che devono essere imputate, come avviene in questi casi, per circa il 50%. Manca poco prima di capire chi potrà gridare "Ok, il prezzo è giusto".