La “sostenibilità” cambia il modo di fare impresa: strada lunga ma tracciata

Sostenibilità nel mondo delle imprese. Il vademecum dell’Avvocato Nicola Ferraro

Avv. Nicola Ferraro
Economia
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Un piccolo vademecum a cura dell’Avvocato Nicola Ferraro, founder partner di de Tilla Studio Legale, sul tema della sostenibilità nel mondo delle imprese 

 

Avvocato Ferraro dopo la pandemia da Covid-19 si è assistito a una accelerazione mediatica verso il tema della sostenibilità. Ci spiega il ruolo delle imprese in quello che sembra, oramai, diventato un obbiettivo del modo di generare utili?

La “sostenibilità” va intesa come presa di coscienza che il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente non deve compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri.

La pandemia ha accentuato la spinta verso la sostenibilità, accelerando la riflessione, già in atto, sul ruolo dell’impresa all’interno della società e sul perché la ricerca del profitto (che è, indubbiamente, il motore del “contratto sociale”) deve essere accompagnata dalla presa di coscienza delle sue ricadute nell’ambiente e nella società circostante, anche in termini di investimenti più duraturi e vantaggiosi. Il concetto è, a mio parere esaurientemente, sintetizzato da Larry Fink - cofondatore, presidente e CEO di Black Rock - nella ultima lettera annuale agli azionisti: “Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ecologisti, ma perché siamo capitalisti”.

Attenzione però. Diversi studi dimostrano che, ancora nel 2020, la maggior parte degli investimenti della BCE erano destinati a imprese ad alta densità di carbonio, per i maggiori rendimenti resi e per gli inferiori fattori di rischio sul mercato finanziario.

Si tratta di un percorso in divenire. In Italia tra il 2020 e il 2021 è triplicato il numero delle società benefit (a fine 2021 erano circa 1400): un nuovo modello societario introdotto dal legislatore italiano il cui tratto distintivo è che, per statuto, lo scopo di lucro si accompagna alla realizzazione di un valore sociale.

Per facilitarne la diffusione il 18 novembre 2021 è stato approvato il Decreto attuativo dell’art. 38-ter del DL 34/2020 (Decreto rilancio) - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 14 gennaio 2022 - teso a riconoscere, sotto forma di credito di imposta, una agevolazione dei costi sostenuti per la costituzione (ex novo) di società benefit ovvero per modificare, nel senso richiesto dalla normativa speciale, le clausole statutarie delle società già in essere (si tratta dei costi notarili, dei costi di iscrizione alla camera di commercio e dei costi di assistenza e consulenza professionale).

Si sente parlare di Società Benefit e di B-Corp quali soggetti giuridici che operano con il fine di bilanciare il profitto con la sostenibilità. Ne può spiegare i caratteri distintivi e le differenze?

Società Benefit e B-Corp sono due realtà distinte.

La B-Corp è un modello di derivazione USA in cui il perseguimento del “beneficio” (B sta appunto per “benefit”) è certificato da un ente esterno mediante applicazione di un protocollo di analisi chiamato B Impact Assessment. In sintesi, le B-Corp sono imprese che hanno conseguito una certificazione e possono usare il brand e il logo “Certified B-Corp” sui loro prodotti e in tutte le loro comunicazioni. La certificazione deve essere rinnovata ogni due anni.

La Società Benefit è, invece, un modello di impresa previsto nel nostro sistema giuridico, in cui il perseguimento del “beneficio” c.d. comune (pre-individuato dai soci al momento della costituzione della società ovvero della sua trasformazione in Società Benefit) è inserito, a livello statutario, nell’oggetto sociale. L’oggetto sociale delinea il perimetro entro cui, per contratto (sociale), deve svolgersi l’esercizio dell’attività economica dell’impresa. Quindi, nelle Società Benefit il perseguimento del beneficio comune rappresenta un dovere a cui l’organo amministrativo è soggetto per legge statutaria.

Perché avvocato Ferraro, nel riferirsi alla Società Benefit, parla di “modello societario” e non di “tipo” di società?

Perché il legislatore non ha introdotto un tipo di società diversa da quelle che sono tipizzate nel libro V, titoli V e VI, del cod. civ. Nella sostanza, nella Società Benefit l’attività di impresa viene esercitata nella forma tipica delle società di capitali, con l’aggiunta, in statuto, della previsione del perseguimento di un “beneficio comune” verso persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse.

In poche parole, le Società Benefit non sono aziende non-profit ma sono aziende for profit, aziende che hanno scopo di lucro ma che adottano, in più per statuto, un modo di fare impresa socialmente responsabile.

Ci spieghi meglio le caratteristiche delle Società Benefit in Italia.

Le Società Benefit sono un unicum nel panorama dell’Unione Europea in quanto il legislatore italiano è l’unico ad avere tipizzato questo modello societario.

La disciplina specifica delle Società Benefit, dettata dagli artt. 276-383 Legge 28 dicembre 2015, n 208 (in vigore dal 1° gennaio 2016), si aggiunge (e non si sostituisce) alle norme del codice civile per il tipo societario prescelto dai soci per fare impresa.

Ai sensi dell’articolo 377 Legge 28 dicembre 2015, n. 208 la finalità di beneficio comune può essere perseguita:

dalle società semplici,

dalle società in nome collettivo,

dalle società in accomandita semplice,

dalle società per azioni,

dalle società in accomandita per azioni,

dalle società a responsabilità limitata,

dalle società cooperative.

Alla Legge 28 dicembre 2015, n. 208 è quindi devoluta la sola disciplina degli aspetti inerenti il perseguimento del beneficio comune, i doveri di amministrazione e la verifica di impatto.

Una Società Benefit può essere costituita ex novo. Oppure, il perseguimento del “beneficio comune” può essere introdotto mediante successiva modifica dell’atto costitutivo integrando lo statuto sociale con la previsione delle finalità specifiche di beneficio comune che si intende perseguire (art. 379 Legge 28 dicembre 2015, n 208).

Occorre precisare che la Legge non individua quali siano le finalità di beneficio comune che devono essere perseguite. L’individuazione dello scopo benefit è rimesso alla decisione dei soci. Non è nemmeno necessario che il vantaggio sia di tipo economico e di tipo ambientale, potendo originarsi vantaggi unicamente di tipo sociale oppure solamente di tipo ambientale.

Accanto alla denominazione sociale dell’impresa possono essere aggiunte le parole “Società Benefit” ovvero l’abbreviazione “SB”. La denominazione Società Benefit può essere utilizzata nella documentazione societaria, nelle comunicazioni e nei titoli emessi.

Il che risponde allo scopo di favorire la diffusione del modello societario “Società Benefit”, consentendo il delinearsi di situazioni vantaggiose verso coloro (investitori, imprenditori, dipendenti, manager) che sono attratti dai temi della sostenibilità-

Al tempo stesso, però, il Legislatore è stato anche attento a precisare, all’articolo 384 Legge 28 dicembre 2015, n 208, che la Società Benefit, che non operi per perseguire realmente il beneficio comune che si è data, è soggetta alle disposizioni di cui al decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 147 in materia di pubblicità ingannevole, nonché a quelle del Codice del Consumo. L’ente deputato ad eseguire i controlli sulle Società Benefit è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Il fine è chiaro: evitare forme di sfruttamento sterile del nuovo modello societario da parte di chi pensi di trarne profitto (anche sotto forma di indebito utilizzo delle agevolazioni fiscali) tradendo la vera finalità sottesa al fare impresa perseguendo una finalità sostenibile.

In sostanza, una volta scelto questo modello societario, il perseguimento dell’“obbiettivo comune” rappresenta un dovere dell’organo amministrativo. L’art. 380 Legge 28 dicembre 2015, n 208 precisa, infatti, che la Società Benefit deve essere amministrata in modo da bilanciare “l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi delle categorie indicate nel comma 376 (persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse) conformemente a quanto previsto dallo statuto”.

Per questo motivo, tra gli obblighi dell’organo gestorio, è stato inserito anche quello di individuare il soggetto a cui affidare, nello specifico, funzioni e compiti per il perseguimento delle suddette finalità.

L’inosservanza di tali obblighi è causa di responsabilità per gli amministratori ai sensi dell’art. 381 della citata Legge. Specificamente gli amministratori saranno responsabili:

per il mancato bilanciamento degli interessi dei soci con quelli dei terzi

per la mancata individuazione del soggetto responsabile di cui all’art. 380 Legge 28 dicembre 2015, n 208

per la mancata predisposizione della relazione annuale di cui all’art. 382.

Esiste una forma di controllo sul raggiungimento dell’obbiettivo comune?

Annualmente i soci devono rendere pubblici gli obbiettivi attuati, le modalità con cui questi sono stati raggiunti ovvero le circostanze che lo hanno impedito o anche soltanto rallentato; allo stesso modo devono essere comunicati, anche, gli obbiettivi che si intendono perseguire nell’esercizio successivo.

Il che avviene all’interno di una relazione che, annualmente, accompagna il bilancio di esercizio. La medesima relazione deve includere anche la valutazione di impatto (sviluppato da un ente esterno non controllato o collegato all’impresa) tesa a rendere conto e valutare il beneficio prodotto nei seguenti ambiti:

governo di impresa (grado di trasparenza e responsabilità nel perseguimento del beneficio comune)

lavoratori (relazioni con i dipendenti e collaboratori in termini di retribuzione, formazione, opportunità di crescita, comunicazione interna)

altri portatori di interessi (fornitori, territorio, comunità locale)

ambiente (utilizzo risorse, energia, materie prime, processi produttivi, logistici, uso e fine vita prodotti).

Esistono altri modelli societari nei quali il profitto non costituisce il solo obbiettivo di impresa?

La vocazione sociale non è prerogativa delle sole Società Benefit e delle B-Corp.

Il legislatore italiano con l’art 25, comma 4, DL 179/2012 (convertito con L. 221/2012) ha riconosciuto alle Startup innovative (ossia a quelle società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, che hanno come oggetto sociale, esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico) di ottenere la qualifica di start up innovativa a vocazione sociale (SIAVS).

Il che è possibile se, in aggiunta al possesso dei requisiti propri delle Start up innovative, l’esercizio dell’attività di impresa avviene, in via esclusiva, nei settori della assistenza sociale, assistenza sanitaria, assistenza socio-sanitaria, educazione, istruzione e formazione, tutela dell'ambiente e dell’ecosistema, valorizzazione del patrimonio culturale, turismo sociale, formazione universitaria e post-universitaria, ricerca ed erogazione di servizi culturali, formazione extra-scolastica finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo, servizi strumentali alle imprese sociali.

Il riconoscimento dello status di start up innovativa a vocazione sociale avviene tramite autocertificazione da parte del legale rappresentante della società, a cui consegue l’iscrizione in una sezione speciale del registro delle imprese.

Anche le startup innovative a vocazione sociale sono tenute a dare evidenza annuale dell’impatto sociale prodotto dalla propria attività mediante la redazione di un Documento, definito Documento di descrizione di impatto sociale, da trasmettere alla Camera di commercio competente.

E in termini di valore quali sono le ricadute per le imprese che operano perseguendo, anche, il fine della sostenibilità?

Esse derivano dall’impatto sociale del modello.

Il concetto di sviluppo sostenibile ha acquisito sempre maggior peso nell’individuazione delle strategie di business e di comunicazione delle imprese. Da una parte il mercato è alla ricerca di brand e prodotti trasparenti in cui riconoscersi, dall’altra è cresciuta la consapevolezza dei profondi impatti e della relativa responsabilità che le imprese hanno nei confronti dell’ambiente che le circonda e degli stakeholders.

Per cui sempre più imprese guardano al tema della responsabilità sociale d’impresa come a una opportunità di business.

Il crescente interesse degli investitori, anche istituzionali, alle imprese che hanno messo al centro della propria attività il loro impatto sociale e ambientale è dipendente dal fatto che esse vengono reputate più trasparenti relativamente ai rischi non finanziari e quindi di medio-lungo termine.

La capacità di conciliare il proprio business con il valore condiviso o shared value è diventato quindi uno dei fattori determinanti per la crescita aziendale.

Più una società avrà chiaro il proprio scopo nel generare valore, comunicarlo e dimostrarlo ai propri clienti, ai dipendenti, alla comunità di riferimento, più potrà generare profitti duraturi a lungo termine.

Quale è, quindi, il valore intrinseco delle Società Benefit e quali i rischi che si possono nascondere?

Nelle Società Benefit c’è la necessità di far coesistere il beneficio ambientale/sociale con l’obiettivo economico. L’elemento che contraddistingue il valore della Società Benefit è l’attenzione dell’impatto sociale del progetto di impresa.

Tuttavia, a mio parere, lo sforzo che il management è chiamato a compiere è quello di non svolgere l’attività di impresa secondo il paradigma “classico”, ossia produrre per poi redistribuire, quanto far entrare il sociale nel processo produttivo. In altri termini, non la mera distribuzione di parte dei profitti a progetti a valenza sociale, quanto piuttosto l’attuazione di programmi di investimento che producano valore nuovo, eticamente apprezzabile e durevole fin da subito.

Il rischio, come sempre accade, è che l’abuso di attenzione verso il modello di fare impresa in modo sostenibile conduca alla diffusione di SB e SIAVS in cui il perseguimento del beneficio comune sia solo apparente e privo di riscontro effettivo. Si parla, in questo caso, di greenwashing: messaggio vuoto, teso solo a conquistare l’attenzione dei clienti.

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