Le banche italiane? Sempre più negozi finanziari. Addio rischi da prestiti

Nel 2020 il sorpasso dei ricavi commissionali su quelli legati ai prestiti alle famiglie e alle imprese. L'analisi Fabi dei bilanci dei principali istituti

Economia
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Le banche italiane? Stanno diventando sempre più negozi finanziari, meno orientate all’attività tradizionale legata ai prestiti. E lo dimostra il focus sui ricavi commissionali dei principali campioni della redditività del settore, come Intesa-Sanpaolo e Mediobanca. La Federazione autonoma bancari italiani (Fabi), il sindacato italiano dei lavoratori del credito con più iscritti, ha realizzato un'analisi dei principali dati bancari italiani e sui ricavi 2020: su 78,1 miliardi oltre la metà, cioè 39,4 miliardi, arriva da commissioni su prodotti finanziari (assicurazioni, risparmio gestito), mentre il credito garantisce entrate per 38,7 miliardi. "La distanza tra le percentuali, 50,5% contro 49,5% - sottolinea la Fabi - sembra irrilevante, ma in realtà si tratta di un sorpasso storicamente importante che si riflette sulla clientela”.


 

Sempre più prodotti finanziari vengono venduti allo sportello e meno prestiti sono erogati a imprese e famiglie. Il settore sta perdendo redditività: il Roe (return on equity, ritorno sul capitale, cioè l'indice che misura la redditività di una banca) era al 6% nel 2018 ed è sceso all'1,9% nel 2020 dal 5% dell'anno precedente; lo stock di prestiti è salito di 52 miliardi, nonostante i 190 miliardi di garanzie dello Stato messe a disposizione nell'anno del Covid, usate per sostituire vecchie linee di credito; sono stati ceduti 33 miliardi di sofferenze grazie alle agevolazioni fiscali.


Il Ceo di Intesa-Sanpaolo Carlo Messina

Le banche sostengono che i tassi di interesse particolarmente contenuti rendano poco redditizia l'attività creditizia. Laddove le banche lamentano scarsi profitti col margine d'interesse, tuttavia, occorre notare che i costi della "provvista" di denaro sono assai bassi: la raccolta diretta da clientela di fatto non è remunerata e la liquidità fornita dalla Banca centrale europea con le operazioni di rifinanziamento a lungo termine viene acquistata addirittura a tassi negativi. Ne consegue che i finanziamenti a imprese e famiglie, anche se erogati a tassi d'interessi quasi irrilevanti, cioè di pochissimi punti percentuali, assicurerebbero comunque alle banche un margine di guadagno discreto, ancorché lieve e più contenuto rispetto a quello di qualche anno fa.


Il Ceo di Mediobanca Alberto Nagel

Senza dimenticare che "impiegare" denaro verso le imprese e le famiglie consentirebbe alle banche di svolgere quel ruolo sociale che non dovrebbe mancare mai. Soltanto grazie al Fondo centrale di garanzia e alle altre forme di sostegno pubblico a protezione dei prestiti - attivati dal governo per favorire un maggior apporto di liquidità all'economia reale, fiaccata dagli effetti della pandemia - è stata possibile, nell'ultimo anno, una crescita dello stock degli impieghi. Il positivo aumento registrato, tuttavia, merita di essere esaminato a fondo, poiché i numeri, da soli, non consentono una analisi trasparente. Dietro le statistiche si nascondono elementi di rilievo: non c'è corrispondenza tra l'ammontare dei prestiti erogati con le garanzie pubbliche e il saldo positivo dello stock. Se i finanziamenti garantiti dallo Stato sono stati pari a oltre 190 miliardi di euro, infatti, l'aumento complessivo dell'ammontare dei finanziamenti bancari a imprese e famiglie si e' attestato a 52 miliardi.


Il Ceo di BancoBpm Giuseppe Castagna

Se le garanzie statali fossero state sfruttate a pieno per sostenere nuove linee di credito, la variazione positiva avrebbe dovuto essere più vicina a 190 miliardi, invece la distanza risulta ampia: l'anomalo scarto riscontrato è spiegabile col fatto che la garanzia statale è stata utilizzata, per la fetta maggiore, per sostituire linee di credito "in essere" (cioè vecchi prestiti) e non per erogare liquidita' aggiuntiva alle imprese, come auspicava, invece, il governo nel varare quella norma del decreto legge 23 dell'8 aprile 2020. Le banche, in sostanza, hanno sfruttato la misura per aumentare il grado di copertura dei loro bilanci, alleggerendo il grado di rischio. Il "paracadute" dello Stato, insomma, ha rappresentato una formidabile soluzione per ridurre i rischi del settore bancario.

(Segue: l'analisi dei bilanci bancari dei principali istituti di credito nazionali)

Una strategia, quella delle banche, legata, seppur non esplicitamente, anche dall'inasprimento delle regole imposte sia dall’Autorità bancaria europea sia dalla Banca centrale europea: nel corso degli ultimi anni è diventata più severa la gestione delle sofferenze e, in generale, dei crediti deteriorati; allo stesso tempo, alle banche europee vengono chiesti maggiori accantonamenti e coperture proprio per mitigare il rischio di credito.

A partire dal 2017, il tasso di copertura del credito è stabile sopra quota 50%, contemporaneamente l'incidenza lorda del totale delle sofferenze e dei crediti deteriorati è scesa sotto il 50% per arrivare sotto quota 20% nel 2020. Non a caso, le rettifiche di valore e gli accantonamenti, in linea con la rigidità normativa europea, sono passate da 14,4 miliardi del 2019 a 22,6 miliardi nel 2020, in netto aumento.

A riprova che il credito risulta sempre meno appetibile per le banche, è sufficiente scorrere le serie storiche: nel 2018, rispetto al 2017, il totale degli impieghi alla clientela è sceso di 27,6 miliardi, mentre nel 2019, rispetto al 2018, è diminuito d i 40,7 miliardi. Frattanto, sempre nell'ottica della pulizia dei bilanci, è proseguita la cessione di non performing loan: nel corso del 2020, le banche italiane hanno ceduto 33 miliardi di Npl, un valore assai più alto rispetto a quanto preventivato.

Nell'arco di soli 12 mesi, le banche hanno smaltito circa il 20% dell'ammontare totale delle sofferenze iscritte a bilancio alla fine del 2019; il risultato è più alto della media registrata nel triennio 2017-2019, pari a circa il 17%. La dinamica è stata favorita da una agevolazione fiscale contenuta in una norma del decreto "cura Italia", approvato durante la pandemia da Covid, che ha consentito alle banche di convertire le imposte anticipate (dta: deffered tax asset) in crediti d'imposta, in occasione di cessione di crediti deteriorati.