Licenziamenti, Tridico: con il blocco abbiamo salvato 330.000 posti
Il blocco dei licenziamenti ha salvato 330.000 posti lavoro. E' quanto stimato dall'Inps nel rapporto annuale nel quale si sottolinea come la Cig covid e il Reddito di emergenza siano stati fondamentali per arginare gli effetti della crisi evitando l'aumento della povertà. Gli interventi messi in atto dall'Inps per l'emergenza Covid hanno raggiunto oltre 15 milioni di beneficiari pari a circa 20 milioni di persone per una spesa complessiva di 44,5 miliardi di euro. Dopo lo sblocco dei licenziamenti, ha messo in evidenza il presidente Pasquale Tridico, "si tratterà" di vedere come evolverà questo saldo.
"Negli anni precedenti la pandemia i licenziamenti di natura economica superavano il mezzo milione all'anno, a fronte tuttavia di una dinamica positiva di assunzioni nel complesso, considerando tutte le tipologie contrattuali, a fine febbraio 2021 i posti di lavoro dipendente presso le aziende private risultavano diminuiti di 37mila unità rispetto allo stesso momento dell'anno precedente". L'evoluzione del mercato del lavoro dopo lo sblocco delle uscite è seguito con attenzione dal governo. L'impegno per "evitare dolorosi impatti sociali va nella direzione di accompagnare il processo di ripresa. Senza approccio ideologico, ma solo guardando a quello che serve al Paese e cercando di non lasciare indietro nessuno", ha precisato il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, intervenendo alla presentazione del rapporto alla Camera.
Per quanto riguarda i numeri della Cig, con i provvedimenti in deroga, i pagamenti sono aumentati di oltre 13 volte, passando da 1,4 miliardi di euro nel 2019 a 18,7 miliardi nel 2020, a seguito dell'aumento di quasi 11 volte il numero dei beneficiari, passati da 620mila nel 2019 a 6 milioni e 700mila lavoratori coperti da Cig nel solo 2020, con un valore medio pro capite della prestazione pari a 2.788 euro".
Tridico ha messo in evidenza che si è trattato di un "fenomeno che ha riguardato tutti i lavoratori, se si considera che i dipendenti in cassa a zero ore, inizialmente pari alla metà dei beneficiari nel primo lockdown, con il 45% ad aprile 2020, sono calati come incidenza al 9% nel luglio 2020 fino a raggiungere il 7% nel febbraio 2021". Dai dati, ha precisato Tridico, emerge che metà dei dipendenti è stato in cassa per un massimo di tre mesi, mentre la recessione "appare contemporaneamente come generalizzata e transitoria".
Il gruppo di dipendenti per i quali la sospensione dal lavoro risulta "massiccia" è infatti identificabile come il gruppo collocato in Cig per almeno 10 mesi e con una quota complessiva di Cassa superiore al 60% delle ore lavorabili: si tratta di 310.000 dipendenti, per i quali il numero di ore integrate nel periodo osservato ha superato quota 1.000. "Se ci focalizziamo sulle aziende stabilmente presenti nel periodo pandemico da marzo 2020 a febbraio 2021, pari a 1.267.000 imprese, il 43% (pari a 541.000 imprese) non ha mai usufruito di Cig, il 18% (227.000 imprese) ha fatto ricorso alla Cig esclusivamente nella fase più severa del lockdown nella primavera 2020 e il 17% (211.000 imprese) ha avuto qualche trascinamento comunque esauritosi nel corso del 2020. C'è solo un residuo 22% (288.000 imprese), che corrisponde al 26,5% dell'occupazione, facente ancora ricorso alla Cig e che presumibilmente non è riuscita ancora a risollevarsi dalla crisi pandemica".
I dati sulle forze di lavoro, ha sottolineato Tridico, "dipingono un mercato in sospensione, in cui i disoccupati crescono poco, i contratti a termine non vengono rinnovati e i lavoratori indipendenti perdono componenti significative, pur tuttavia senza che il tasso di disoccupazione si impenni".
"L'ingessatura" appare anche dai dati sui flussi che nel 2020 si sono "contratti, irrigiditi" per tutte le tipologie di rapporti di lavoro. Le assunzioni hanno subito una contrazione attorno al 30%, arrivando a sfiorare il 40% per intermittenti e apprendisti. Le trasformazioni sono diminuite del 21% e le cessazioni sono calate mediamente del 25%, con livelli piu' elevati in particolare per l'apprendistato (31%) e per il tempo indeterminato (29%), vale a dire per le tipologie contrattuali piu' interessate dal blocco dei licenziamenti e dal ricorso contestuale alla Cig Covid. Guardando alle retribuzioni individuali, la retribuzione media annua dei dipendenti e' scesa da 24.140 euro nel 2019 a 23.091 euro nel 2020 (-4,3%, corrispondente a una perdita di poco piu' di 1.000 euro), a seguito della riduzione media delle settimane lavorate.
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Le misure del sostegno a reddito sono "fondamentali ed hanno avuto un ruolo ancor più importante in un anno complesso e drammatico come il 2020", ha sottolineato Tridico aggiungendo che "questa misura di contrasto alla povertà, seppur introdotta prima della crisi pandemica, si è rivelata di particolare efficacia per affrontare l'aggravarsi del disagio economico dei soggetti più deboli esposti alla crisi". I due terzi dei 3,7 milioni di beneficiari nel 2020, di cui un quarto minori, non risultano presenti negli archivi Inps degli estratti conto contributivi negli anni 2018 e 2019, e sono quindi 'distanti dal mercato del lavoro e forse non immediatamente rioccupabili; il restante terzo che invece risulta presente, rivela in media un reddito pari al 12% delle retribuzioni annue prevalenti tra i lavoratori del settore privato in Italia, e solo il 20% ha lavorato per piu' di 3 mesi nel corso del periodo precedente all'introduzione del sussidio.
"Ne emerge quindi un quadro di effettiva esclusione sociale per gli individui coinvolti dalle misure", ha precisato Tridico aggiungendo che "i percettori di RdC hanno un grado di prossimità al mercato del lavoro molto più ridotto rispetto agli altri percettori di sussidi, sia per le loro competenze ed età, sia per altre condizioni individuali". La discussione che si sta sviluppando sul reddito di cittadinanza, ha sottolineato Orlando, "appare a un tasso di strumentalità che fa sospettare che si sia in procinto di attuare una pericolosa, sbagliata campagna contro i poveri e di criminalizzazione della povertà. Se così fosse non sarebbe utile al Paese che ha bisogno di pace sociale, di coesione e non ha bisogno di riaprire fratture profonde. Ha bisogno di migliorare non di destrutturare, e non di aprire conflitti laddove non e' necessario".
Tridico ha poi sottolineato l'importanza di prevedere un salario minimo per aumentare la tutela dei lavoratori atipici spiegando che, "in una misura compresa tra gli 8 e i 9 euro orari (a seconda di quali componenti vi vengano ricompresi)", può essere immaginato ''non solo come misura di contrasto alla poverta' ma anche e soprattutto come fattore di crescita per altri indicatori di mercato". I lavoratori sotto questa soglia, ha precisato, "sarebbero compresi tra il 14% e il 26% del totale, ovvero tra i 2 e i 4 milioni circa. E al pari di altre misure puo' avere impatti anche su variabili che vanno al di la' del mercato del lavoro, come la salute e il benessere degli appartenenti alla famiglia del lavoratore, con un effetto positivo sulla stessa spesa sociale".
Effetti positivi, ha continuato, "si riscontrerebbero anche sulla finanza pubblica, con un aumento del gettito di circa 3 miliardi nell'ipotesi di un salario minimo di 9 euro lordi". Specularmente, "il maggior costo per le aziende, a parita' di altre condizioni, potrebbe indurre le stesse a fare investimenti capital intensive, con un positivo effetto-traino di maggiore produttività".
La dinamica della spesa pensionistica evidenzia un rallentamento della crescita a partire dal 2014. Tuttavia, il rapporto tra il numero di pensionati e occupati si mantiene su un livello che e' tra i piu' elevati nel quadro europeo. Inoltre, il rapporto tra l'importo complessivo delle pensioni (in termini nominali) e il numero di occupati e' cresciuto del 70% tra il 2001 e il 2020. Tra il 2012 e il 2020, aumenta 'visibilmente' anche la differenza tra le mediane del reddito pensionistico di uomini e donne, 'segno di una crescita della diseguaglianza di genere tra i pensionati'.