Meloni sposta miliardi dall'auto alla Difesa. E per l'industria italiana è una buona notizia

La transizione elettrica vacilla, la Difesa è un porto sicuro per la politica industriale. Con un notevole moltiplicatore economico

di Andrea Muratore
Economia

Meloni sposta miliardi dall'auto alla Difesa. E per l'industria italiana è una buona notizia

Nelle scorse ore ha fatto molto discutere la scelta del governo Meloni di togliere dalla prossima Legge di Bilancio 4,6 miliardi di euro dal fondo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) per gli incentivi alle auto elettriche e ibride. Una manovra che ha suscitato polemiche e discussioni, ma che va letta nel quadro di una ristrutturazione degli investimenti del sistema-Paese e che sarebbe incompleto giudicare senza un quadro chiaro sul parallelo processo di aumento delle spese dello Stato in settori decisivi come quello della Difesa e sicurezza.

Così parte del finanziamento dell'auto va a sviluppare il sistema-Difesa

“Per gli investimenti della difesa ci saranno 2,5 miliardi in più all’anno dal 2025, per un totale di 34 miliardi di euro da qui al 2039 (15 entro il 2030)” rileva il Corriere della Sera. Parte del finanziamento dell’auto, insomma, andrà a sostenere le politiche industriali tramite un fondo apposito del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) che contribuisce allo sviluppo del sistema-Difesa. Non rientrerà nel campo delle spese militari stricto sensu, dunque, ma contribuirà a quel rafforzamento delle prerogative delle imprese italiane per ricerca, sviluppo e produzione di nuovi dispositivi.

I recenti sviluppi sul fronte degli investimenti per la Difesa

L’Italia ha visto di recente grandi sviluppi su questo tema: il passaggio da Leonardo a Fincantieri della divisione underwater; il rafforzamento del colosso della cantieristica nel mercato internazionale; gli accordi che Leonardo ha siglato con Rheinmetall per il piano dei nuovi carri armati Panther da 23 miliardi di euro in 15 anni; il progetto congiunto per il caccia di sesta generazione italo-anglo-nipponico Gcap. Tutti questi progetti si preannunciano capaci di generare investimenti produttivi, occupazione e sviluppo economico nel sistema-Paese, contribuendo inoltre alla sicurezza nazionale. Fondi che hanno la possibilità di generare un moltiplicatore economico ben maggiore di quello dei fondi per finanziare le auto elettriche o ibride, in larga misura (75-80%) destinati a veicoli prodotti fuori dal suolo nazionale.

Difesa, un porto sicuro per la politica industriale

Il Centro Studi Internazionali (Cesi) in una ricerca ha ricordato che potenzialmente “il moltiplicatore economico delle imprese del settore Difesa e Aerospazio è pari a 2.6, ben il 71% in più rispetto alla media dell'economia italiana”. E questo prima che entrino a maturazione programmi capaci di generare economie di scala e, soprattutto, una nuova centralità della Difesa nelle strategie europee. Inoltre, con un’Europa incerta sul futuro del settore auto e una transizione all’elettrico sussidiato dai fondi pubblici che latita, la Difesa è oggigiorno un porto più sicuro per la politica industriale. Non sarà ancora tempo per toccare il 2% della spesa militare sul Pil del target Nato, ma certamente la scelta di spostare fondi dall’auto al riarmo, in termini strettamente industriali nazionali, non si può definire a monte peregrina.

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