Milleri nominato presidente anche di Delfin: le mani sulla "cassaforte"

L’attuale amministratore delegato di EssilorLuxottica ha conquistato lo scettro lasciato dall’ex-Martinitt e ha sconfitto anche il principale aspirante al trono

di Marco Scotti
IPA
Economia
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Francesco Milleri nominato anche presidente di Delfin

Era facile capire che l’apertura del testamento di Leonardo Del Vecchio sarebbe stato un autentico spartiacque in questa stagione economica già così complessa. Intanto, per la sorpresa dell’inclusione nella cassaforte di famiglia, la Delfin, anche del figlio Rocco Basilico, con conseguente riduzione della quota destinata alla moglie Nicoletta Zampillo. Poi, perché da oggi Francesco Milleri è il presidente della holding, mentre Romolo Bardin rimane al timone con le deleghe operative. È evidente però che ci sia una sorta di riequilibrio dei poteri a favore di Milleri. Finché Del Vecchio è rimasto in vita, infatti, questi era “solo” amministratore delegato di EssilorLuxottica, mentre Bardin era al contempo ceo di Delfin e consigliere del colosso italo-francese dell’occhialeria.

Ora invece gli assetti cambiano. Milleri è contemporaneamente presidente e amministratore delegato di Luxottica e presidente di Delfin. Mentre Bardin rimane con la pagliuzza più corta. Avevamo preconizzato su Affari che il vero busillis sarebbe stato chi, tra lo schivo ceo della cassaforte di famiglia e il vulcanico numero uno dell’azienda di occhiali avrebbe prevalso. I bookmaker, che spesso sbagliano, questa volta avevano visto giusto quando avevano “fiutato” che Del Vecchio avrebbe preferito Milleri. D’altronde, c’era maggiore vicinanza di vedute, d’intenti, di peculiarità tra questi due che non tra Bardin, un manager con un cursus honorum solido e studiato a tavolino per diventare numero uno. 

L’affermazione di Milleri è anche il viatico per una rinnovata stagione di “conquista” sul capitalismo italiano. Per un quarto di secolo, infatti, i rapporti tra Mediobanca e Del Vecchio sono stati di reciproco rispetto. Il salotto di Milano aveva interesse che un industriale così liquido rimanesse nel suo capitale; il “paperone” di Agordo voleva sedere nei luoghi contano. Ma poi, proprio su consiglio di Milleri, qualcosa si è rotto e Del Vecchio è andato allo scontro in Piazzetta Cuccia, provando la scalata – fermata dalla Bce – e cercando, in tandem con Caltagirone, di prendersi anche Generali. Tensione ulteriormente accresciuta dalla vicenda Ieo-Monzino, con l’offerta da 500 milioni da parte del patron di Luxottica rispedita al mittente da Mediobanca.

E Bardin? Il ceo di Delfin ha combattuto fieramente la partita di Generali, dimettendosi dal consiglio di amministrazione di Trieste a gennaio di quest’anno. Era l’uomo di riferimento di Del Vecchio nel board del Leone. Un Del vecchio che, fin dai tempi di Giovanni Perissinotto, non ha mai lesinato critiche all’operato del top management. La sua idea era chiara: fare di Generali un campione europeo del mondo assicurativo, con operazioni di M&A che avrebbero portato il suo 10% a diluirsi, ma a far decollare il valore della sua partecipazione. Un sogno destinato a rimanere tale? Chissà che cosa vorranno fare gli otto eredi dell’imprenditore con le varie quote delle società. Sarà probabilmente Milleri, sempre più plenipotenziario, a decidere le sorti di una cassaforte che vale oltre 30 miliardi.