Misiani: "No a nuovo debito, tassiamo i profitti delle aziende energetiche"
Il responsabile economico del Pd ad Affaritaliani.it: "La destra non ha ancora vinto, il 26 settembre mi aspetto delle sorprese"
Misiani: "Tassiamo gli extraprofitti delle aziende energetiche"
“Iniziamo a tassare in modo serio e rigoroso gli extra profitti delle imprese energetiche, prima di pensare ad uno scostamento di bilancio”. Antonio Misiani, senatore Pd e responsabile economico del partito guidato da Enrico Letta, non ha dubbi: l’idea di fare nuovo debito, come proposto da Matteo Salvini, non è praticabile. Serve invece chiedere e ottenere un contributo straordinario alle imprese energetiche, che nel 2022 stanno registrando utili stellari.
Senatore, nei giorni scorsi il leader della Lega ha proposto uno scostamento di bilancio da 30 miliardi adesso per non doverne fare uno più corposo tra qualche mese. È d’accordo con questa proposta?
Prima di discutere di scostamenti, caricando le generazioni future di ulteriori debiti, sarebbe meglio andare a prendere gli extra-profitti che stanno realizzando le imprese energetiche e tassarli. Il governo Draghi ci ha provato, ma bisogna fare di più. Nel 2022 le imprese del comparto hanno moltiplicato per tre o per quattro volte gli utili rispetto allo stesso periodo del 2021. Usiamo quegli extra-profitti per sostenere le imprese e le famiglie, è un atto necessario di giustizia sociale.
Sarebbe d’accordo a rendere pubblici gli accordi tra le imprese energetiche, specie se partecipate dallo Stato, e i loro omologhi russi per sapere a che prezzo acquistano il gas e sapere a quanto lo rivendono?
Non credo sia fattibile divulgare questi accordi, ma a mio avviso l’Autorità di regolazione dovrebbe conoscerli. Lo strumento definito dal governo per tassare gli extra-profitti delle aziende ha bisogno di miglioramenti, si faccia un tavolo con le imprese del settore ma senza mettere in dubbio l’obiettivo di fondo, cioè recuperare le risorse necessarie per sostenere le imprese e le famiglie di fronte alla crisi energetica.
Il cfo di Eni, Gattei, in una recente intervista al Sole 24 Ore ha detto che in Italia l’azienda ci ha rimesso 11 miliardi negli ultimi sette anni e che i profitti vengono realizzati all’estero.
Rimane il fatto che Eni nei primi sei mesi del 2022 ha moltiplicato per sette volte gli utili netti. E altre aziende che non operano all’estero hanno ottenuto guadagni altrettanto importanti. Iniziamo a tassare questi extra-profitti prima di imboccare la strada del debito pubblico.
Però gli italiani iniziano a chiedersi che cosa succederà in autunno e soprattutto chi siederà a Palazzo Chigi. I sondaggi danno il centro-sinistra largamente in svantaggio, pensa ci sia margine per un ribaltone, magari rispolverando dal 26 settembre un’alleanza con i Cinque Stelle?
Che governo ci sarà dopo il 25 settembre lo decideranno gli elettori. Sono in politica da tanti anni, ne ho viste di tutti i colori e ho visto non poche elezioni in cui i partiti che erano convinti di stravincere hanno avuto cocenti delusioni.
È successo anche a voi con Bersani nel 2013…
Certo, ma anche la destra ha sofferto di recente sventure simili. Alle regionali del 2020 in Puglia Michele Emiliano, che veniva dato dai sondaggi in svantaggio rispetto a Raffaele Fitto, alla fine ha vinto con oltre otto punti di vantaggio. In Toscana il centrodestra sempre nel 2020 veniva dato in vantaggio da alcuni sondaggi e invece è finito sotto di quasi otto punti. Insomma, non bisogna mai pensare che sia finita prima del tempo.
Il governo che verrà, qualunque esso sia, avrà diverse partite importanti da giocare. Partiamo dalla più recente, Ita: non si hanno grandi dettagli sull’offerta di Certares, che pure ha convinto il Mef. Lei ha qualche informazione in più?
Quello che posso dire è che il Ministero dell’Economia si è mosso in modo serio e rigoroso, scegliendo l’opzione più solida dal punto di vista industriale, occupazionale e di governance. Detto questo, siamo ancora all’inizio. Si è aperto un negoziato in esclusiva, speriamo che questo porti a un punto di caduta coerente con gli obiettivi che il governo ha condiviso con la ex maggioranza. Tra l’altro, partendo dall’assunto che allo Stato rimane un ruolo rilevante ma con presupposti diversi da quelli attuali.
Può ancora saltare?
In astratto sì, anche perché siamo solo al principio. Con Mps il negoziato avviato con Unicredit si è concluso con un nulla di fatto perché non c’era la possibilità di conseguire gli obiettivi indicati. Ci auguriamo, però, di non ripetere il film del 2008, quando il centrodestra bloccò l’operazione con Air France in nome di presunti capitani coraggiosi, per poi bruciare in Alitalia miliardi di euro dei contribuenti.
Come immagina il ruolo dello stato in economia?
Deve essere sicuramente attivo, in alleanza con il settore privato. L’industria italiana deve affrontare la duplice transizione digitale ed ecologica e una crisi energetica di grande portata. E il pubblico deve accompagnare il privato in modo da renderlo resiliente di fronte agli choc che stiamo vivendo. Ma questo non può e non deve tradursi nel ritorno di uno statalismo anni ‘70 come quello propugnato dalla destra di Giorgia Meloni che vorrebbe tornare al “panettone di Stato”. Noi abbiamo bisogno di uno Stato del XXI secolo.
Sulla rete pubblica come vi ponete?
Abbiamo già lavorato con il governo Conte 2 per costruire la prospettiva di una rete unica, è utile andare in quella direzione anche per le sinergie che si potrebbero costruire da un’integrazione tra Open Fiber e la rete di Tim, ma il tema è complesso perché incrocia i poteri antitrust della Commissione europea.
Cdp che cosa dovrebbe fare?
Cdp deve essere lo strumento principale di quel ruolo dinamico e attivo dello Stato a cui accennavo in precedenza, naturalmente operando secondo rigorose valutazioni di mercato, selezionando gli ambiti di intervento più utili allo sviluppo complessivo del Paese.
Deve entrare nella partita di Tim?
Lo è già, essendo al contempo azionista di Tim e di Open Fiber. Cdp deve guidare l’operazione rete unica, che ha valore strategico per il Paese.
Nel 2023 si decideranno anche i rinnovi dei vertici delle partecipate: la preoccupa che potrebbe essere un governo di centro-destra a scegliere i top manager di Eni, Enel, Poste, Terna, Leonardo e via dicendo?
Sono tante le cose che mi preoccuperebbero, se al potere ci andasse la destra. Ciò detto, se toccherà a noi per le nomine cercheremo di utilizzare criteri di scelta che guardino per ciascuna azienda essenzialmente ai risultati raggiunti e ai traguardi a cui puntare. Magari concentrandosi non solo sui numeri finanziari, ma anche sugli obiettivi sanciti dal Pnrr.