I Poteri Corti - 748 mila

Senza strumenti abilitanti, la povertà resta intrappolata in lavori a basso valore aggiunto e disuguaglianze crescenti

di Redazione Corporate
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Povertà, giovani in fuga e imprese schiacciate: l’urgenza di un cambio di paradigma per il futuro dell’Italia

Come riportato da Marco Travaglini su L'Identità, secondo l'Istat “5,7 milioni di italiani in povertà assoluta; di cui 748 mila le famiglie con minori”. Dati che fanno rabbrividire chiunque abbia un po’ di senso sociale o sensibilità per gli altri e la comunità, nonché fortemente correlati – e qui non serve la scienza – agli oltre 1,4 milioni di giovani espatriati negli ultimi 10 anni (dati Adaptland).

Ma a parte il cuore e la solidarietà, che devono essere sempre messi al centro di ogni azione verso i meno fortunati, qui dobbiamo cominciare ad utilizzare il cervello, la razionalità e la logica. L’analisi che sto cercando di condurre e che, qualora non riuscissi, affiderò a qualche esperto tecnico, riguarda aspetti (azzardatamente) correlati, tanto lampanti quanto euristicamente giusti: cosa fanno e dove lavorano tali famiglie? Che livello di istruzione le accomuna? Sempre che il sapere possa considerarsi l’unico fattore dirimente.

Senza tali dati, è facile ipotizzare che le famiglie in povertà facciano lavori a basso valore aggiunto in settori commodity, spesso piccoli retail, artigiani e soggetti che fanno produzione in conto terzi, schiacciati dalla filiera, oppure in aziende di servizi a basso valore aggiunto, come pulizie, facchinaggio e assemblaggio, ma anche ristorazione e somministrazione di basso valore, nell’incapacità di generare produttività, margini e cassa mediante processi, marketing, finanza, tecnologia e tutto quanto compone il mondo di oggi.

Si tratta di realtà impegnate, anzi, impiegate come manovalanza d’impresa, senza nessun asset immateriale (marchio, dati etc) e con un modello attendista di commesse esterne (spesso mono), che vacilla ormai da anni. Se pensiamo di intervenire ancora con una mentalità assistenzialista – che trovo giusto a breve termine e per i casi più disperati – e un modello ad indotto a “goccia” – che accresce le disuguaglianze e la mancanza di margini nei vari passaggi dall’essere piccoli al diventare grandi – stiamo sbagliando ricetta, perché la copert(ur)a finanziaria risulterà sempre corta.

Dobbiamo smetterla di pensare che solo “quelli bravi” (bisogna vedere quanto), portano soluzioni (a favore di chi, poi). È assolutamente necessario un forte cambio di paradigma, partendo da una nuova proposta metodologica – che le classi manageriale, dirigente e politica devono proporre – capace di offrire a tali famiglie e imprese non “soluzioni”, ma “strumenti” abilitanti, cioè idonei a costruire e trasmettere pratiche, azioni, metodi e organizzazioni in grado di distribuire conoscenza non solo scolastica ma, soprattutto, lavorativa, professionale e di vita.

E se il cuore non ce lo si vuole proprio mettere e tutte le classi direzionali sopra indicate vogliono continuare ad essere motivate dal solo interesse economico, becero e consumistico, bisognerebbe attenzionare comunque tale target anche per far ripartire i consumi e la domanda interna, a beneficio di un modello che dal basso possa portare flussi anche ai livelli “superiori”, economici e sociali, del nostro bel (e strano) Paese.

Fonte: L'Identità

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