I Poteri Corti - Provare, provare, provare

In Italia manca una cultura della sperimentazione: senza test e investimenti graduali, rischiamo di costruire ‘cattedrali nel deserto’ incapaci di competere

di Redazione Corporate
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La trappola della fretta: senza test e pazienza, l’Italia rischia di perdere terreno

Come riportato da Marco Travaglini su L'Identità: il nostro, si sa, è un Paese che spende poco in ricerca e sviluppo (in proporzione al Pil) rispetto ad altri Paesi industrializzati. La causa non è solo la mancanza di offerta ma, molte volte, di una domanda capace di capire il significato del test e della prova continui, cui si aggiunge una normativa europea molto poco moderna e ancorata ad un modello passato.

Un modello che finanziava investimenti e nel quale, con una domanda più certa, un mondo meno complesso e un metodo di lavoro meno basato sulla vendita e più sulla produzione, il fattore industriale e di mercato era molto più proficuo e meno rischioso di oggi. Il mondo è cambiato totalmente: il problema di vendere, anziché produrre, ha necessariamente spostato l’attenzione su un approccio di test e di continuo smarcamento dall’incertezza, elementi tipici dei percorsi di ricerca e innovazione.

Purtroppo non siamo abituati a lavorare con tale approccio: pensiamo che le nostre idee italiane siano sempre vincenti e che sia necessario fare subito investimenti in beni e servizi produttivi, sbagliando spesso il tiro e costruendo, altrettanto spesso, cattedrali nel deserto che non hanno poi una vita di esercizio vincente e funzionale.

Moltissimi micro e piccoli imprenditori non hanno tale cultura, pensando che la ricerca sia una cosa solo per topi da laboratorio e, contemporaneamente, non dispongono dei fondi necessari a tali attività, perché il sistema bancario, da una parte, e lo Stato, dall’altra, finanziano molto poco la fase di semina (come dicono gli americani la fase seed): il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, ad esempio, ha poche risorse su ricerca di base e meno ancora su test di prodotti minimi avviabili (MVP sempre in gergo anglosassone) o su prototipi da realizzare da zero.

Questo è un grosso problema: la domanda cambia di continuo, stimolata da prodotti e servizi sempre nuovi (con tale metodo) e chi pensa di fare subito investimenti senza provare, provare e provare, prima, il suo prodotto/servizio, resta indietro.

Il problema della ricerca e sviluppo, dunque, non è solo di fondi e tecnologia ma, anzitutto, culturale e di pazienza, legata alla possibilità di testare e trovare soluzioni e ad un modello di cassa che spesso viene anche buttata al gabinetto (portando tuttavia valore di conoscenza forte), prima di investire in qualsiasi struttura produttiva.

Anche ciò rende la nostra società e il nostro modello di lavoro molto spesso improduttivi, nell’avviare e riavviare produzioni che non portano beneficio ottimale, magari perché non trovati a valle di un modello di test e prova continui. E ad un italiano “a cui piace fare più inaugurazioni che manutenzioni” (cit. di Longanesi), questo approccio non giova e rischia di comprometterne le possibilità di sviluppo.

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