I POTERI CORTI – Qualità, qualità e ancora qualità

Dobbiamo lavorare su questo, non continuare a prendercela con gli imprenditori cattivi, che non alzano lo stipendio o non pagano le tasse, o con un sistema dove non si sa mai di chi è la "colpa"

Corporate - Il giornale delle imprese

L’importanza della qualità nel lavoro: superare l’illusione della fortuna per affrontare le sfide moderne

Chi stenta o non riesce a farcela, aldilà di quelli, già nominati, che antepongono l’invidia per il lusso alla stima per l’impegno che spesso c’è dietro, parte dalla convinzione, fortemente sbagliata, che chi ha fatto bene nella vita lo debba a una manna dal cielo (una botta di …, come dicono a Roma). Questa devastante convinzione, unitamente ad un modello novecentesco del lavoro, genera una modalità di vita professionale e spesso personale, di presappochismo, superficialità, finta speranza che le cose comunque vanno e andranno bene per chissà quale mano invisibile, e dove la fortuna è una componente essenziale.

In Italia, il lavoro e il fare impresa (soprattutto piccola), sono troppo legati a questo modello, frutto anche dell’errata convinzione tecnica di ritenere il prodotto l’unico focus per il successo. Il mondo è davvero cambiato e, a partire dalla scuola, dalla famiglia, dal sistema della Pubblica Amministrazione e da tutti gli operatori di settore, i concetti di qualità, organizzazione/gestione dei processi e dei passaggi, attenzione all’obiettivo e al risultato, alla comunicazione e al ciò che viene effettivamente recepito dagli altri, visione “maniacale” di tutti i particolari che distinguono un qualsiasi impiegato passacarte da un vero professionista del suo lavoro (a qualsiasi livello), sono diventati essenziali per migliorare il lavoro e la capacità produttiva aziendali e, volendo, anche noi stessi, per quella gratificante ed appagante sensazione di soddisfazione di fine giornata, frutto di quell’approccio qualitativo al fare e al riuscire a comunicare, oltre che al produrre: molto di questo, sotto il cappello di ciò che oggi chiamiamo smart working.

In un’epoca di complessità estrema, determinata da cambiamenti epocali di vita, sociale ed economica, in cui la tecnologia e la marea di nuovi prodotti e servizi hanno aumentato le cose da fare e i problemi da risolvere, condizionando fortemente i nostri stili di vita ed aumentando il “rumore” nei rapporti tra le persone e i popoli, una maggiore attenzione a questi elementi, che noi italiani consideriamo banali, è l’unica strada per il successo professionale.

Le nostre capacità di esecuzione e messa a terra quotidiana, lente e spesso fatte bene solo dai pochi che hanno compreso il problema, senza sperare nella fortuna, dovrebbero essere i primi elementi su cui lavorare, a partire dalla scuola, umanistica o STEM, elementare o superiore e da una P.A. che deve anteporre i concetti culturali di responsabilizzazione e organizzazione ad ogni modello tecnologico di sistema (su cui spesso buttiamo soldi e tempo). Dobbiamo lavorare su questo, non continuare a prendercela con gli imprenditori cattivi, che non alzano lo stipendio o non pagano le tasse, o con un sistema dove non si sa mai di chi è la “colpa” e, di sicuro, non è mai la nostra.

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