Pellicioli, le 3 vite da manager. In pensione l'uomo che sussurrava ai salotti

Con l'approvazione del bilancio, a giugno 2022, della holding De Agostini si ritirerà il Ceo Lorenzo Pellicioli, uno dei protagonisti della finanza tricolore

di Andrea Deugeni
Economia
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L'uomo che "sapeva parlare ai salotti" e l'asse di ferro con Mediobanca

Con l’approvazione del bilancio della holding De Agostini Spa, il prossimo giugno se ne andrà in pensione (ritirandosi dagli incarichi operativi, ma senza lasciare - a quanto risulta - i vertici del gruppo) l’amministratore delegato Lorenzo Pellicioli, “l’uomo che sapeva parlare ai salotti”, titolava Repubblica nel 2011 in un articolo dedicato al top manager dell'impero finanziario del gruppo di Novara.

Racconta infatti il banchiere romano Cesare Geronzi in “Confiteor”, il libro-intervista fatto da Geronzi con Massimo Mucchetti, che, invitato in Mediobanca, il giorno prima del consiglio di amministrazione delle Assicurazioni Generali di inizio aprile 2011 in cui l’allora presidente della compagnia, considerato uno degli uomini più potenti d'Italia, fu messo di fronte - stupito - alla scelta fra sfiducia-dimissioni, ad accoglierlo in Piazzetta Cuccia nell’ufficio di Alberto Nagel per preannunciargli l’epilogo che sarebbe arrivato da lì a qualche ora, con il Ceo della merchant era seduto anche Lorenzo Pellicioli.

Di lui non ci sono molte interviste (in cinquant'anni di carriera ha sempre optato per un british low profile, come tutti i veri uomini d'affari di alto standing e un po' d'antan che si rispettino) che aiutano a capire chi è veramente. Per Pellicioli, piuttosto, parlano i fatti che dimostrano di quanto l'attuale amministratore delegato della conglomerata De Agostini, sia riuscito a creare business, partendo da giovane redattore, iscritto a 15 anni alla Gioventù liberale, per il Giornale di Bergamo e, pare, senza una laurea

La quota in Generali e il posto in consiglio

E quello dell'asse di ferro con Mediobanca, costruito mentre disegnava l'espansione oltre confine del gruppo piemontese controllato da oltre 100 anni delle famiglie Boroli e Drago e dopo aver venduto la Toro Assicurazioni alle Generali con 900 milioni di plusvalenza (in parte reinvestiti a Trieste) per la società di Novara, è un altro indizio della capacità del manager di sfruttare appieno le opportunità che gli si presentano: posizionarsi nel profittevole cuore della finanza tricolore, ha permesso infatti a Pellicioli di sedere da oltre 14 anni nella stanza dei bottoni dell'altro grande salotto del capitalismo Nord, quel Leone da cui uscirà ad aprile del prossimo anno, quando alle Generali si rinnoveranno le cariche sociali.

Il motivo? Non solo perché lo storico manager di De Agostini andrà a 70 anni, compiuti a luglio, in pensione, ma perché la conglomerata piemontese, senza far mancare il proprio appoggio (conserverà i diritti di voto) all'alleato Mediobanca nella battaglia del secolo contro gli agguerritissimi Leonardo Del Vecchio e Francesco Caltagirone per la conferma di Philippe Donnet, venderà il proprio 1,44%.

Approfittando ora dell’appeal speculativo a Trieste che ha permesso al Leone di riacciuffare in borsa a inizio novembre quota 19 euro dopo due lunghi anni, dismettendo la propria quota già svalutata nel corso degli anni, De Agostini incasserà ai prezzi attuali circa 400 milioni da mettere a servizio nei prossimi mesi (assieme alla cassa rinveniente dalla vendita delle slot machine e dai proventi della cessione di De Agostini Scuola - 157,5 milioni- e del 50% di De Agostini Libri a Mondadori) dell’ennesima acquisizione del gruppo piemontese. Un impero di partecipazioni che in vent'anni, 15 dei quali sotto la regia di Pellicioli, è diventato un player mondiale, dall’Europa agli Stati Uniti, da poco più di tre miliardi di ricavi consolidati (nel 2020) e che spazia dall’industria (editoria con De Agostini Editoriale e media, attraverso De Agostini Communication) alle lotterie, gaming online e servizi (tramite l’americana International Game Technology) fino alla finanza, dove opera con la poliedrica Dea Capital.

Chi trova un Pellicioli trova un tesoro

Chi trova un Pellicioli trova un tesoro”, commentava qualche anno fa un profondo conoscitore della storia del capitalismo tricolore degli ultimi 50 anni, di cui il manager bergamasco di nascita (di Alzano Lombardo, sposato con tre figli) con la passione per le sfide e da oltre vent’anni di casa in Francia dove si divide fra Parigi ("la più bella città del mondo dove vivere", dice de La Ville Lumière) e Saint Rémy de Provence, dedicandosi anche alle coltivazioni di viti e ulivi per cui segue rigorosamente i criteri della coltivazione biologica, è un assoluto protagonista. In grado di moltiplicare magistralmente i propri denari e quelli dei propri azionisti.

I primi passi professionali

E dire che Pellicioli, dopo i primi passi professionali come redattore della carta stampata al Giornale di Bergamo, si riconverte ancora giovanissimo di nuovo come giornalista televisivo alla direzione dei programmi di Bergamo Tv, per passare poi dall’81 all’84 alla Publikompass, concessionaria delle partecipazioni editoriali dell'allora Fiat (La Stampa, Retequattro e Italia Uno prima che passassero a Silvio Berlusconi) dov’è stato direttore del settore televisivo. Da lì il salto, azzeccatissimo, dai contenuti al marketing, alla pubblicità e ai bilanci, di cui diventa un autentico mago e dà il via a una storia manageriale in continua crescita, in cui il profondo conoscitore della storia del capitalismo tricolore individuava almeno "tre vite professionali".

Dall'84 al 1990: la "prima vita" da manager

La prima, dall’84 al ’90, nella galassia Mondadori prima della battaglia di Segrate e del Lodo Mondadori, secondo molti la sua esperienza fondativa di lavoro, dove diventa direttore generale della pubblicità e vice direttore generale dei periodici, per passare poi alla concessionaria di pubblicità Manzoni ribattezzata, dopo il suo ingresso come amministratore delegato, la “Grande Manzoni”. Nel 1989, con tanto di sinergie milionarie, Pellicioli mette a segno la fusione fra le reti di vendita della Manzoni, della Mondadori e quella della Publietas, concessionaria di casa del gruppo Espresso.

(Segue: Francesco Paolo Mattioli, Franco Tatò ed Eugenio Scalfari...)

Francesco Paolo MattioliFranco Tatò ed Eugenio Scalfari

In quel periodo, Pellicioli lavora a stretto contatto anche con Franco Tatò, che era amministratore delegato della Mondadori quando Pellicioli si occupava della raccolta pubblicitaria del gruppo di Segrate ed Eugenio Scalfari, direttore di Repubblica quando Pellicioli era responsabile della Manzoni, che curava anche il budget pubblicitario del quotidiano fondato da Scalfari. Due autentici fuoriclasse che, riportano le cronache, rappresentano gli unici “due amori professionali” del top manager, da cui apprende e per cui nutre ammirazione. "Ho imparato da tutti i miei capi e in tutte le mie esperienze, ma direi Francesco Paolo Mattioli in Fiat e Franco Tató in Mondadori", dirà nel 2017 al Corriere della Sera in una delle poche interviste concesse a proposito dei pezzi grossi del business da cui più ha tratto insegnamenti professionali. 

Dal '90 al 2001: dalla Costa Crociere alle fortune di borsa con la Seat, fino al sogno del terzo polo tv. La "seconda vita" da manager

Dopo l’arrivo a Segrate della Fininvest di Berlusconi, con cui il feeling non sboccia, finisce la “prima vita professionale" di Pellicioli che lascia così l’editoria e va alla Costa Crociere di Genova dove inizia a viaggiare e a fare le valigie. In quegli anni, oltre confine, cambierà due volte casa, al di qua e al di là dell’Atlantico: è prima presidente ed amministratore delegato di Costa Cruise Lines a Miami, controllata che opera sul mercato nordamericano (Usa, Canada, Messico) per le crociere nei Caraibi e in Alaska e poi di Compagnie Francaise de Croisières (Costa-Paquet), a Parigi, quindi, direttore generale worldwide del gruppo. Sette anni da vero globetrotter, dal 1990 al 1997, quando lascia la Costa subito dopo l’offerta della Carnival che vuole rilevare la compagnia di Genova, convinto che gli americani non vogliano certo trattenerlo.

Il capolavoro professionale, narrano sempre le cronache, arriva tra il 1997 e il 2001 quando Pellicioli riesce a costruirsi una ricchezza personale (quasi 86 milioni di euro) tale da rendere il lavoro un optional. Sono gli anni della Seat Pagine Gialle, società nella cui tolda di comando arriva a novembre del ’97 come amministratore delegato proposto da Gianfilippo Cuneo, che entra con la Bain Capital (16%) e altri investitori fra cui la Comit, la De Agostini e alcuni fondi tra gli azionisti della Otto, la holding che Telecom e i componenti della cordata hanno costituito per acquistare l’azienda delle Pagine Gialle, un patrimonio ricco ma tendente all’obsolescenza messo sul mercato dall’era delle privatizzazioni aggiusta-bilancio pubblico di asset dello Stato da parte di Romano Prodi.

Gli anni della finanza rapace in borsa

Seat diventa un caso di scuola nel nostro Paese, ma non solo, per i leveraged buyout (è il periodo della ribalta della razza padana di Colaninno&C), casi in cui i capitalisti si comprano le aziende utilizzando poco capitale e molti debiti e poi si ripagano con la liquidità prodotta dalla stessa azienda che comincia a distribuire dividendi attingendo anche dalle riserve. In solo nove mesi dalla privatizzazione, grazie alla posizione monopolistica di mercato di cui gode, Seat raddoppia la propria capitalizzazione, passando da 1,65 a tre miliardi di valore e mettendo in cantiere solo un piano di riduzione dei costi, senza alcun intervento sul fronte dello sviluppo o degli investimenti. Tanto la cassa è sicura e si alimenta da sola.

A proposito della febbre da new economy sui listini azionari, "ho sempre pensato che il compito di un amministratore delegato sia di essere trasparente sui propri piani e risultati, senza commentare mai il valore della sua azione in borsa. Il mercato ha diritto di essere folle o saggio, prudente o aggressivo. Sono soldi suoi", dirà qualche anno più tardi. Fine delle discussioni.

All'inizio del 2000, la fusione tra Seat e Tin.it, la società internet di Telecom Italia, (valorizzazione stimata tra i 70 e gli 80 mila miliardi delle vecchie lire) è l’occasione per manager ed azionisti di fare paccate, direbbe l'ex ministra Elsa Fornero, di soldi, poco prima che la bolla inizi a sgonfiarsi rovinosamente a partire dal marzo del 2001. Dall’Opa successiva che Pellicioli impone alla Telecom di Colaninno, che compra, arrivano le plusvalenze e le laute stock option per i manager (che hanno investito anche nelle azioni della propria società).

E' Bingo. Anche per gli azionisti che hanno seguito il fiuto di Pellicioli: il gruppo De Agostini, che cinque anni dopo lo chiamerà mettendolo a capo della holding per fare le proprie fortune, metterà in saccoccia una plusvalenza netta di 3.500 miliardi delle vecchie lire.

Alla tolda di comando di SeatTin.it, dove nel frattempo a monte della catena societaria di controllo è arrivato a marzo 2001 Marco Tronchetti Provera, finisce con il tentativo di creare attorno a Telemontecarlo, (nel frattempo diventata La7) e a Mtv (sotto Telecom Italia Media) il terzo polo tv osteggiato dall'allora Cavaliere di Arcore, la seconda vita professionale di Pellicioli: il top manager si prenderà una pausa fino fino al 2005, prima di approdare alla guida dell’impero De Agostini. Anni in cui dopo aver acquistato una vasta proprietà in Provenza, Pellicioli può permettersi il lusso di congedarsi dalla business community, dedicandosi a un'altra passione: la produzione di olio e di vino di qualità. La Francia gli regalerà quindici anni dopo anche la prestigiosa Legione d'Onore, la più alta decorazione della Repubblica transalpina, per “la sua azione a favore del patrimonio culturale" di Parigi. Amore ricambiato. 

(Segue: dal 2005, la "terza vita" da manager nell'impero De Agostini...)

Dal 2005, la "terza vita" da manager nell'impero De Agostini

A Novara, dove arriva dopo oltre 25 anni di versatile carriera da giornalista, pubblicitario, manager, passando per quotidiani, periodici, tv, sviluppo commerciale e internet, prosegue prima la diversificazione del gruppo editoriale, iniziata qualche anno prima da Marco Drago (presidente di De Agostini Spa ed esponente di uno dei quattro rami famigliari che nel '97 lo investono in B&D Holding della guida degli affari) con Seat, Toro Assicurazioni (acquistata dalla Fiat e piazzata poi alle Generali) e Lottomatica.

Avvia Dea Capital per investire negli investimenti alternativi e nell’asset management, in Italia e all'estero. E poi l’internazionalizzazione di tutto il gruppo, tanto a vedere l'Italia da fuori è abituato ormai da parecchi anni.

Sono gli anni dei blitz nel Vecchio Continente nel mercato dei media con Antena 3 in Atresmedia, quotata alla borsa di Madrid e Zodiak che confluisce poi in Banijay Group nella produzione e distribuzione di contenuti. E poi, ancora, nel gaming con Lottomatica, controllata che nel 2006 mette le mani al di là dell'Atlantico prima su GTech e poi sulle slot machine di Igt, creando un colosso mondiale dei giochi in grado di capitalizzare a Wall Street oltre 6 miliardi di dollari.

Marco Drago, il "pezzo grosso del business" con cui si è "più sentito in sintonia"

Con Marco Drago, uno dei businessman con cui Pellicioli "si è sentito più in sintonia" durante la propria carriera, il top manager bergamasco è ancora una volta il playmaker dello schema che moltiplica, questa volta, la rendita generata dal core-business editoriale e da un'azzeccata diversificazione: attualmente è ancora Ceo, fino all'approvazione del prossimo bilancio, di De Agostini Spa, è presidente di Igt e di Dea Capital. A giugno del prossimo anno lascerà le redini dell'impero finanziario piemontese, dove la quarta generazione dei Boroli-Drago si è già affacciata alla guida.

Chi trova un Pellicioli trova un tesoro”, commentava qualche anno fa un profondo conoscitore della storia del capitalismo tricolore degli ultimi 50 anni. Chissà se a Novara le nuove generazioni un altro tesoro l’hanno già trovato. Il tempo stringe, giugno 2022 è dietro l'angolo. Dedicando più tempo alle sue amate vigne, Pellicioli rimarrà nelle retrovie a suggerire strategie e piani, ma le leve del comando operativo spetteranno ai giovani top-manager.  

@andreadeugeni