Pernigotti, i turchi Toksoz chiudono la storica fabbrica italiana
Pernigotti, la proprietà turca chiude lo stabilimento di Novi: 100 dipendenti licenziati
La storica fabbrica della Pernigotti a Novi Ligure (Alessandria) ha chiuso i battenti. La notizia arriva dai sindacati, che nell'incontro di ieri con i rappresentanti del gruppo turco Toksoz, proprietario della storica azienda dolciaria, hanno appreso la decisione "definitiva" di fermare le macchine dello stabilimento.
La chiusura dello stabilimento di Novi Ligure si tradurra' nel licenziamento di circa cento persone", ha raccontato il segretario Flai Cgil Marco Malpassi, che ieri era all'incontro con i colleghi Tiziano Crocco di Uila Uil ed Enzo Medicina della Fai Cisl.
"Sono cinque anni che facciamo proposte all'azienda, a fronte di bilanci mediamente in rosso per 10 milioni ogni anno e di quattro amministratori delegati che si sono avvicendati. Continuavamo a vedere questo 'bagno di sangue' nella gestione e per anni ci hanno dato dei gufi, tanto che anche ad Eurochocolate di ottobre la proprieta' negava che lo stabilimento di Novi avesse problemi. Ma adesso hanno deciso di chiudere. Certo prima o poi ce lo aspettavamo - osserva - ma la follia di tutta la vicenda e' che hanno perso 50 milioni di euro per arrivare alla chiusura dopo cinque anni quando, con un piano industriale serio cinque anni fa e l'uso di ammortizzatori sociali forse si riuscivano a salvare bilanci e posti di lavoro". In questa fase estrema di crisi i sindacati avevano la possibilita' di ottenere dal Mise un anno di cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione e un investimento alla proprieta' per cercare di rilanciare lo stabilimento, "ma l'azienda - ha spiegato Malpassi - ha detto un 'no' definitivo, irresponsabile a arrogante".
Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil non hanno comunque intenzione di arrendersi. Gia' dalle 6 di stamani sono in assemblea permanente in fabbrica. Una delegazione di lavoratori accompagnera' i segretari e le Rsu in Comune a Novi alle 11 per incontrare il sindaco, Rocchino Muliere, e i segretari confederali hanno gia' visto di buon mattino il prefetto.
Insomma, Gianduiotto addio. Almeno quello piu' famoso nel mondo, quello di una tradizione dolciaria che vantava 160 anni di storia. E la diffusione su scala globale di gianduiotti, torroni e cremini piemontesi.
- LA PIAZZA DEL MERCATO A NOVI, GLI INIZI Tutto ha inizio nel 1860, quando Stefano Pernigotti apre nella piazza del Mercato, a Novi Ligure, una drogheria specializzata in 'droghe e coloniali', famosa in tutta la zona (parliamo degli anni in cui Torino e' capitale d'Italia) per la produzione di un pregiato torrone. Fuori dal negozio c'e' sempre la fila e l'operoso Stefano per accontentare tutti i suoi avventori decide di allargare l'impresa e nel 1868 fonda insieme al figlio Francesco la "Stefano Pernigotti & Figlio", azienda specializzata in produzione dolciaria. E' il primo giugno e il capitale per l'impresa ammonta a seimila lire.
- LO STEMMA DEL RE E L'INTUIZIONE DI FRANCESCO La mostarda e il classico torrone di Natale sono i piatti forti dell'azienda Pernigotti, che inizia a esportare i suoi dolci prelibati in molte citta' del nuovo Regno d'Italia. A rendere famose le prelibatezze al cioccolato di Novi e' soprattutto la golosita' della famiglia Reale italiana, di cui Pernigotti diviene fornitore ufficiale. Tanto che 25 aprile del 1882 quando Re Umberto I in persona suggerisce e concede a Pernigotti la facolta' d'innalzare lo stemma reale sull'insegna della sua fabbrica. Stemma che accompagnera' il logo dell'azienda fino al 2004. Sono anni di soddisfazioni e investimenti che porteranno la fabbrica, ad allargarsi e assumere nuovo personale. E quando arriva la Prima Guerra Mondiale e il blocco delle importazioni di zucchero decretato dal Governo italiano rischia di mandare all'aria gli sforzi e i successi ottenuti, Francesco ha un'intuizione geniale che gli permette di trasformare l'ostacolo in opportunita': lo zucchero viene sapientemente sostituito con il miele e soprattutto il torrone ne guadagna, in gusto e consistenza. Tanto che l'uso del miele per alcune lavorazioni non sara' mai abbandonato.
- IL GIANDUIOTTO PRODOTTO DI PUNTA E ALTRE PRELIBATEZZE Nel 1919 a Francesco succede il figlio Paolo, che prende le redini dell'azienda di famiglia. E' un periodo molto fiorente ma la vera svolta arriva qualche anno piu' tardi, nel 1927 quando viene avviata per la prima volta la produzione industriale del gianduiotto, il nobile cioccolatino a forma di barca rovesciata nato ufficialmente a Torino nel 1865 e arricchito con l'inconfondibile sapore delle nocciole gentili delle Langhe. Per la Pernigotti sono anni di successi e riconoscimenti. Uno per tutti il prestigioso 'Diploma di Gran Premio' conseguito all'Esposizione nazionale e internazionale di Torino. Nel 1935, poi, Paolo Pernigotti compra la cremonese Enea Sperlari, specializzata nella produzione del torrone, e l'anno successivo si cimenta in una nuova scommessa, i preparati per gelateria. Scommessa vinta, con un prodotto che ancora oggi si trova sui banchi di negozi e supermercati. Un'altra svolta per l'attivita' si ha nel 1944. Un bombardamento distrugge la fabbrica che viene ricostruita negli ex magazzini militari di viale della Rimembranza, dove ancor oggi la Pernigotti ha sede. La nuova sede offre opportunita' di crescita e nel 1971 l'azienda si allarga ancora e acquista la Streglio, specializzata nei prodotti a base di cacao.
- LA CRISI, I LUTTI E LA 'CONQUISTA' TURCA Con gli anni ottanta sopraggiunge un periodo di crisi che portera' alla cessione della Sperlari nel 1981 agli americani della H.J.Heinz Company. Poi nel 1995 Stefano Pernigotti, succeduto al anni prima al padre Paolo, perde i due giovanissimi figli in un incidente in Uruguay e, rimasto senza eredi, nell'estate del 1980 decide di cedere lo storico marchio novese alla famiglia Averna (quella del famoso amaro). Nel 2000 cede anche la Streglio a una nipote. L'11 luglio 2013 la famiglia Averna vende al gruppo turco Toksoz. Ieri la famiglia Toksoz ha deciso di chiudere i battenti dello stabilimento di Novi Ligure, lasciando a casa 100 lavoratori. Il marchio non e' stato dismesso.