Pmi ed Esg: quanto sono sostenibili le piccole aziende italiane?

Metà delle pmi si fa guidare nelle scelte di business dalla pratica dell'investimento sostenibile. I settori più coinvolti sono il manifatturiero e le utility

di Francesco Megna
Economia

Pmi ed Esg: che rapporto esiste tra piccole aziende e investimenti sostenibili?

Secondo il Forum per la Finanza Sostenibile, associazione no profit  che promuove la conoscenza e la pratica dell'investimento sostenibile e responsabile in Italia, per la metà circa delle Piccole e Medie Imprese la sostenibilità guida le decisioni strategiche e di investimento. I settori più coinvolti sono il manifatturiero e le utility.  Non mancano però aree di miglioramento se si considera che il 40% circa delle imprese analizzate non sa ipotizzare la misura dell'esposizione ai rischi climatici e solo poco più del 15% ha richiesto alle banche prestiti finalizzati a progetti ESG, nonostante  il 70% circa delle società in esame  si rivolge abitualmente a istituti di credito. Inoltre meno della metà  delle aziende è a conoscenza del fatto che gli aspetti Esg saranno integrati nelle analisi del merito di credito. Gli attori coinvolti nel ciclo produttivo rappresentano il primo fattore che induce a includere i temi di sostenibilità  nei progetti aziendali: le richieste su queste tematiche giungono infatti sia da parte di clienti  (imprese/persone fisiche) che da parte di fornitori.

Altre sollecitazioni arrivano dalle banche e dagli investitori. La metà delle aziende valuta poi positivamente lo sviluppo normativo quale stimolo per aderire alle politiche di sostenibilità mentre poco più del 30% lo ritiene irrilevante. Per quanto riguarda invece la recente normativa europea CSRD quasi tutte le aziende intervistate dichiarano di non conoscere il provvedimento. Lo stesso dicasi per la tassonomia europea delle attività ecosostenibili: 2/3 del campione si ritiene non informato in merito. Quasi la metà delle aziende coinvolte ritiene indispensabile sostenere rilevanti costi di gestione imputabili per esempio   all'applicazione di processi di reportistica e comunicazione, all'aggiornamento sulle tematiche di sostenibilità ed all'inserimento di professionalità qualificate. Altro aspetto non trascurabile è quello ascrivibile alle difficoltà burocratiche.

Le principali opportunità invece si riferiscono ai maggiori benefici reputazionali oltre ai risparmi scaturiti dai processi di efficientamento energetico. La maggior parte delle aziende è poi convinta che il cambiamento climatico comporterà  ricadute sulla propria attività nel medio lungo periodo, mentre la metà circa, non sa invece valutare l'entità della propria esposizione al rischio fisico e al rischio di transizione.  Poco più del 3% delle aziende ha fatto ricorso a strumenti finanziari diversi dal credito ma riferiti ad aspetti esg, come il private debt, intermediari che raccolgono i capitali dei risparmiatori alla ricerca di rendimento convogliandoli verso le imprese in cerca di finanziamenti per lo sviluppo della propria attività riguardante soprattutto una gestione più sostenibile delle risorse naturali.

Le aziende che intendono richiedere i fondi del PNRR sono quasi il 50% e intendono impiegarli fondamentalmente per la riduzione degli impatti ambientali e per la digitalizzazione. Occorre perciò creare sinergie con un orizzonte di medio-lungo termine  tra gli investitori responsabili ed il management delle PMI. Da un lato le aziende devono aumentare la loro consapevolezza sui vantaggi generati dallo sviluppo sostenibile, dall'altro gli esperti di finanza dovranno rendere sempre più disponibile l'offerta di strumenti creati sulle particolari necessità delle aziende. L'analisi finale conferma quindi che il percorso intrapreso dalle PMI è ancora in salita; determinante sarà perciò l'evoluzione della normativa, investitori e aziende di credito, nonchè le opportunità offerte dal  Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. 

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